Specchio di perfezione - parte1 - Ordine Francescano Secolare - fraternità di Monza

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L’ Ordine Francescano Secolare è costituito da cristiani che per una vocazione specifica, mediante una Professione Solenne, si impegnano a vivere il Vangelo alla maniera di San Francesco, nel proprio stato secolare, osservando una Regola specifica approvata dalla Chiesa.
SPECCHIO DI PERFEZIONE
 
 
Traduzione di
 
VERGILIO GAMBOSO
 
 
Note di
 
FELICIANO OLGIATI
 
 
           LO SPECCHIO di perfezione fu pubblicato, per la prima volta nella sua autonoma integrità, da Paul Sabatier nel 1898 come Leggenda antichissima di san Francesco, e più tardi come Memorie di frate Leone. Nessuno sostiene più oggi che questa importantissima e pregevolissima raccolta di gesti, di fatti, di discorsi di Francesco sia opera individuale di frate Leone. Alla datazione sabatierana del 1227 è stata sostituita, giustamente, quella del 1318, quale termine ultimo dell'ormai famosa redazione più ampia. Non meno della Leggenda antica perugina -- con la quale ha in comune 53 capitoli--è anch'essa una « compilazione» risultata da quelle sillogi, piccole o grandi, messe insieme tra la fine del Duecento e l'inizio del Trecento con testimonianze scritte e orali dei compagni di Francesco, dando così ragione delle ricorrenti pericopi «scrissero », « fecero scrivere », « riferirono » (cfr. Introduzione, qui, p 258) .
 
           Per la scelta dei testi che trascrive, per il piano che utilizza nel metterli in opera e per qualche commento che inserisce, « il compilatore si colloca--più decisamente di chi raccolse la Leggenda antica perugina--tra gli Spirituali, anche se l'esame delle varianti che apporta alle testimonianze già note, lo mostrerebbe mosso più da sollecitazioni stilistico-esegetiche che da preoccupazioni polemiche [...]. La sua nondimeno è una testimonianza preziosissima su di un preciso momento storico attraversato dall'interpretazione dell'ideale francescano, nonché dell'immagine che del fondatore gli Spirituali si erano formata » (ID., qui, p. 258). I riferimenti a certi stati d'animo di Francesco si fanno più espliciti e pressanti che nella Leggenda antica, ma non ne modificano sostanzialmente l'immagine.
 
           Il nostro volgarizzamento è stato condotto sull'edizione critica definitiva curata da P. Sabatier, Le Speculum perfectionis ou Mémoires de frère Léon sur la seconde partie de la vie de saint François d'Assise, I, Manchester 1928 (testo), 11, 1931 (apparato critico).
 
 
 
Incomincia lo Specchio di perfezione
 
dello stato di Frate Minore
 
 
 
1.
 
[COME IL BEATO FRANCESCO RISPOSE AI MINISTRI
 
CHE NON VOLEVANO ESSERE OBBLIGATI
 
A OSSERVARE LA REGOLA CHE STAVA FACENDO]
 
 
 
1677     [Il beato Francesco compose tre Regole: quella confermata, senza però la Bolla pontificia da papa Innocenzo III; un'altra più breve, che andò smarrita; quella infine che papa Onorio III approvò con la Bolla, e dalla quale molte cose furono soppresse a iniziativa dei ministri, contro il volere di Francesco.]
 
 
1678      Dopo che la seconda Regola composta dal beato Francesco andò perduta, egli con frate Leone d'Assisi e frate Bonizo da Bologna salì sopra un monte, per comporre un'altra Regola che egli dettò ispirato da Cristo.
 
           Molti ministri si raccolsero allora intorno a frate Elia, vicario di Francesco, e gli dissero: « Siamo venuti a sapere che questo fratello Francesco fa una nuova Regola, e abbiamo paura che la faccia troppo rigorosa, così che non possiamo osservarla. Vogliamo quindi che tu vada su da lui e gli dica che non intendiamo essere obbligati a quella Regola; se proprio vuole, la componga per sé, non per noi ».
 
           Rispose Elia che non voleva recarvisi, temendo la riprensione del beato Francesco. Insistendo quelli perché ci andasse, rispose che non voleva andarci senza di loro. Ci andarono pertanto tutti insieme. Quando furono nei pressi del luogo ove Francesco dimorava, frate Elia lo chiamò. Rispondendogli e vedendo il gruppo dei ministri, Francesco domandò: « Cosa desiderano questi frati? ». E frate Elia: « Questi sono i ministri, che avendo saputo che stai facendo una nuova Regola e temendo che sia troppo severa, dicono e protestano che non vogliono sentirsi obbligati ad essa, e perciò tu la faccia per te, non per loro ».
 
           Francesco rivolse la faccia al cielo, e parlò a Cristo così: «Signore, non ti dicevo giustamente che non mi avrebbero creduto? ». Allora tutti udirono nell'aria la voce di Cristo che rispondeva: «Francesco, nulla vi è di tuo nella Regola, poiché tutto quello che vi sta è mio. E voglio che sia osservata alla lettera, alla lettera, alla lettera, senza commenti, senza commenti, senza commenti! ». E soggiunse: « So bene quanto può la fragilità umana e so in quale misura intendo aiutarli. Quelli dunque che non vogliono osservarla, escano dall'Ordine ».
 
           Allora il beato Francesco si volse a quei frati e disse: « Avete udito? Avete udito? Volete che ve lo faccia ripetere? ». I ministri, riconoscendo la propria colpa, si allontanarono spaventati e confusi.
 
 
 
 
PARTE PRIMA
 
 
LA POVERTA' PERFETTA
 
 
2.
 
COME IL BEATO FRANCESCO DICHIARO LA VOLONTA'
 
E INTENZIONE CH' EGLI EBBE DAL PRINCIPIO ALLA FINE
 
CIRCA L' OSSERVANZA DELLA POVERTA'
 
 
 
1679   Frate Rizzerio della Marca, nobile per nascita e più nobile per santità, amato con grande affetto da Francesco, lo visitò un giorno nel palazzo del vescovo di Assisi. Fra gli argomenti dei quali parlò con il Santo intorno allo stato della Religione e all'osservanza della Regola, lo interrogò in particolare su questo punto: << Dimmi, o Padre, che intenzione hai avuto da principio, quando cominciasti ad avere dei fratelli, e qual'è l'intenzione che hai ora e credi d'avere fino al giorno della tua morte. Così sarò assicurato della tua intenzione e volontà prima e ultima. Noi frati chierici possediamo tanti libri: possiamo tenerceli, dicendo che appartengono alla Religione?».      Gli rispose Francesco: « Fratello, ecco la mia prima intenzione e ultima volontà--e volesse il cielo ch'io fossi riuscito a convincerli! -- che cioè nessun frate abbia se non l'abito che la Regola autorizza, con il cordiglio e le brache ».
 
 
1680     Qualche frate obbietterà: « Ma perché il beato Francesco al suo tempo non fece osservare così rigorosamente la povertà dai frati, come ebbe a dirlo a frate Rizzerio? ». Ebbene, noi che siamo vissuti con lui, risponderemo come udimmo dalla sua bocca. Egli stesso diceva ai frati queste e molte altre cose, e numerose prescrizioni inserì nella Regola, dopo averle ricevute dal Signore con assidua preghiera e riflessione, nell'interesse della Religione. E affermava che erano cose del tutto conformi al volere del Signore. Senonché dopo averle indicate ai fratelli, parvero a questi degli obblighi gravosi, impossibili a osservarsi. Essi ignoravano quello che sarebbe accaduto dopo la morte del Santo!
 
            Poiché temeva molto che scoppiassero scandali, sia a motivo suo che a motivo dei frati, non volle fare contese e a malincuore accondiscendeva alla loro volontà, scusandosene poi davanti a Dio. Ma affinché non tornasse infeconda a Dio la parola che Egli poneva nella bocca di Francesco per utilità dei fratelli, il Santo volle anzitutto farla fruttare in se stesso, e così ottenne la ricompensa divina. E trovò finalmente tranquillità e consolazione di spirito.
 
 
 
 
3.
 
COME RISPOSE AL MINISTRO
 
CHE VOLEVA TENERE DEI LIBRI CON IL SUO PERMESSO
 
E COME I MINISTRI, A SUA INSAPUTA,
 
FECERO TOGLIERE DALLA REGOLA IL CAPITOLO
 
SULLE PROIBIZIONI DEL VANGELO
 
 
 
1681      Nel tempo in cui Francesco era tornato dalle terre d'oltremare, un ministro venne a parlare con lui intorno alla povertà. Voleva costui conoscere la sua volontà e il suo pensiero, massime perché allora era compreso nella Regola un capitolo sulle proibizioni imposte dal santo Vangelo: Non porterete nulla sul vostro cammino, ecc
 
           Il beato Francesco rispose: « Io sono del parere che i fratelli non debbano possedere nulla, se non una tonaca con il cordiglio e le brache, come stabilisce la Regola; e possano portare le calzature quando siano costretti da necessità ».
 
           Replicò il ministro: « Che farò io, che ho tanti libri del valore di più che cinquanta libbre? ». Disse questo, perché voleva tenere quei libri con libera coscienza. E ora provava rimorso, sentendo che Francesco interpretava così strettamente il capitolo sulla povertà. Il Santo riprese: « Non voglio, né debbo né posso andare contro la mia coscienza e contro la perfezione del santo Vangelo che abbiamo professato ». Ascoltando ciò, il frate ministro fu preso da tristezza.
 
           Vedendolo così sconvolto, Francesco con grande fervore di spirito ribatté, intendendo nella persona di lui rivolgersi a tutti i frati: « Voi volete essere ritenuti dalla gente frati minori ed essere chiamati osservatori del santo Vangelo; mentre in realtà volete avere la borsa piena di denari! ».
 
 
1682 Nondimeno, sebbene i ministri provinciali sapessero che i frati secondo la Regola, erano obbligati a osservare il Vangelo, fecero radiare dalla Regola stessa quel capitolo: Non porterete nulla sul vostro cammino, ecc., illudendosi così di non essere tenuti alla perfetta osservanza del Vangelo.
 
           Venuto a conoscenza della cosa per illuminazione dello Spirito Santo, Francesco osservò alla presenza di alcuni fratelli: « I frati ministri s'immaginano di ingannare il Signore e me, ma affinché sappiano che tutti i frati sono obbligati a osservare perfettamente il Vangelo, voglio che in principio e in fine della Regola sia  scritto che i frati sono tenuti a osservare fermamente il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo. Inoltre, allo scopo che i fratelli siano inescusabili, dopo che ho loro annunziato e continuo ad annunziare quanto Dio ha posto sulle mie labbra per mia e loro salvezza, io voglio osservare sempre con i fatti tali prescrizioni, alla presenza di Dio e con il suo aiuto ».
 
           Davvero egli osservò alla lettera tutto il santo Vangelo, dai primordi, quando cominciò ad avere dei fratelli, fino al giorno della morte.
 
 
 
 
4.
 
DEL NOVIZIO CHE VOLEVA AVERE UN SALTERIO
 
CON IL CONSENSO DEL SANTO
 
 
 
1683  In altra occasione, un novizio che sapeva leggere, per quanto non bene, il salterio, aveva ottenuto dal ministro generale il permesso di averlo. Sentendo dire però che Francesco non voleva che i suoi frati fossero bramosi di sapere e di libri, non era contento di tenere il salterio senza il consenso del Santo. Francesco venne a passare nel luogo dove il novizio viveva. Costui gli disse: « Padre mi sarebbe di gran consolazione avere un salterio. Il ministro generale me lo ha, sì, concesso; vorrei tuttavia averlo anche con il tuo consenso ».
 
           La risposta di Francesco fu: « Carlo imperatore e Orlando e Oliviero e tutti i paladini e i prodi che furono valorosi in battaglia, combattendo contro gl'infedeli fino alla morte con fatiche e travaglio grande, ebbero su quelli memoranda vittoria e finalmente questi santi martiri caddero in battaglia per la fede di Cristo. Invece, vi sono molti che con il solo racconto delle gesta compiute da quelli, vogliono raccogliere onori e lodi presso la gente. Anche tra noi ci sono molti i quali, leggendo e predicando le opere compiute dai santi, vogliono ricevere onore e lode ». Con queste parole voleva dire che non bisogna preoccuparsi di libri e di scienza, ma di azioni virtuose, poiché la scienza gonfia mentre la carità edifica.
 
           Giorni dopo, Francesco sedeva accanto al fuoco. Il novizio gli fece nuovamente parola del salterio. E Francesco « Vedi, quando avrai avuto il salterio, bramerai avere ii breviario. E avuto il breviario, ti assiderai in cattedra come un solenne prelato, e ordinerai al tuo fratello: " Portami il breviario! " ».
 
           E dicendo questo, con grande fervore di spirito Francesco prese della cenere, se la pose sul capo, poi girando la mano sulla testa come uno che se la sta lavando, diceva: « Io il breviario! io il breviario! ». Così ripeté molte volte, passando la mano sul capo. Il novizio arrossì, allibito.
 
            Francesco riprese: « Fratello, anche a me capitò di desiderare libri. Ma per conoscere la volontà del Signore in proposito, presi il libro dei Vangeli e pregai il Signore che alla prima apertura mi mostrasse la sua volontà. Finita la preghiera, alla prima apertura del libro, mi cadde sotto lo sguardo quella parola: « A voi fu dato di conoscere il mistero del regno di Dio, ma agli altri viene proposto in forma di parabole». Aggiunse: « Tanti sono quelli che volentieri si elevano alla scienza, che sarà beato chi si farà ignorante per amore del Signore Dio ».
 
           Trascorsero più mesi. Mentre Francesco stava a Santa Maria della Porziuncola, presso la cella dietro la chiesa, sulla strada, quel frate tornò alla carica a proposito del salterio. Gli disse Francesco: « Vai, e fa' come ti dirà il frate ministro ».
 
           Sentito questo, quel frate riprese il cammino, per tornare al luogo donde era venuto. Francesco, rimasto sulla strada rifletteva a quello che aveva detto e d'improvviso gli gridò dietro: « Aspettami, fratello, aspetta! ». Lo raggiunse e gli disse: « Torna indietro con me, fratello, e indicami il posto dove ti ho detto che tu farai per il salterio secondo la prescrizione del tuo ministro ».
 
           Appena giunti a quel posto, il beato Francesco s'inginocchiò davanti a quel frate e disse: « E mia colpa, fratello, è mia colpa! poiché chiunque vuol essere frate minore non deve avere che la tonaca, la corda e le brache, come permette la Regola, e calzature per quelli che vi siano costretti da manifesta necessità ».
 
 
1684   Da allora, a quanti venivano a lui per avere il suo consiglio su questo argomento, rispondeva così. E sovente soggiungeva: « Un uomo è tanto sapiente quanto opera, ed è pio e bravo predicatore nella misura in cui mette in pratica; poiché l'albero si riconosce ai suoi frutti ».
 
 
 
5.
 
POVERTA' CIRCA I LIBRI, I LETTI,
 
GLI EDIFICI E GLI UTENSILI
 
1685   Il beato padre ammaestrava i frati a cercare nei libri non il valore materiale ma la testimonianza del Signore non la bellezza ma il profitto spirituale. E volle che di libri ne tenessero pochi e in comune, a disposizione dei fratelli che ne avessero bisogno.
 
           Nei giacigli e nei letti era così copiosa la povertà, che se qualcuno poteva stendere sulla paglia qualche straccio, lo riteneva un talamo.
 
           Insegnava ai frati a prepararsi abitazioni anguste e poverelle, capanne di legno e non di pietre, di umile fattura. E non solo odiava le case confortevoli, ma detestava gli utensili abbondanti e ricercati.
 
           Non amava che nelle mense e nella suppellettile ci fosse sentore di  mondanità, affinché ogni cosa profumasse di povertà e indicasse che siamo dei pellegrini e degli esuli.
 
 
 
6.
 
COME FECE USCIRE TUTTI I FRATI DA UN' ABITAZIONE
 
CHE ERA DETTA CASA DEI FRATI
 
 
1686   Passando per Bologna, sentì che vi era stata da poco edificata una casa di frati. Immediatamente, appena udito che quell'abitazione era creduta proprietà dei frati volse il cammino fuori città e comandò seccatamente che tutti i frati ne uscissero in fretta e non abitassero più colà.
 
           Uscirono allora tutti i frati, tanto che anche gli ammalati furono messi fuori. Ma messer Ugolino, vescovo di Ostia e legato papale in Lombardia, affermò pubblicamente che quella casa era sua. Un frate che era infermo e fu cacciato fuori, rende testimonianza del fatto e lo narrò in scritto.
 
 
 
7.
 
COME VOLLE ABBATTERE UNA CASA
 
CHE IL POPOLO DI ASSISI AVEVA COSTRUITO
 
PRESSO SANTA MARIA DELLA PORZIUNCOLA
 
 
1687   Avvicinandosi il Capitolo generale, che si teneva ogni anno presso la Porziuncola, considerando il popolo di Assisi che i frati si moltiplicavano ogni giorno e tutti annualmente convenivano colà e non disponevano che di un piccolo abituro coperto di paglia, con le pareti di vimini e di fango, riunirono il consiglio del comune e in pochi giorni con gran fretta e devozione eressero ivi una grande casa in pietre e calce, senza il consenso di Francesco, allora assente.
 
           Tornando il beato Francesco da altra regione ed essendo giunto alla Porziuncola per il Capitolo, si meravigliò forte al vedere quella casa. Temeva che, sull'esempio di quella, gli altri frati nei luoghi in cui dimoravano o si sarebbero allogati, facessero similmente edificare grandi abitazioni, mentre voleva che la Porziuncola fosse sempre modello ed esempio a tutti gli altri luoghi dell'Ordine. E perciò prima che il Capitolo fosse concluso, salì sul tetto di quella casa ordinando ai frati di arrampicarsi su, e con loro cominciò a gettare per terra le lastre di cui era coperta, volendo distruggerla fino alle fondamenta.
 
           Alcuni soldati di Assisi che stavano lì a fare la guardia a motivo della moltitudine dei forestieri accorsi per assistere al Capitolo, vedendo che Francesco con altri frati voleva demolire quella casa, andarono subito a lui e gli fecero osservare: « Fratello, questa casa appartiene al comune di Assisi, e noi siamo qui a nome del comune stesso. Ti proibiamo perciò di distruggere la nostra casa ». Udendo ciò, Francesco rispose loro: « Se è vostra, non la voglio toccare ». E immediatamente scese lui con gli altri frati.
 
           Da allora il popolo di Assisi stabilì che chiunque fosse podestà curasse la manutenzione di quell'edificio. E ogni anno per gran tempo fu osservato tale statuto.
 
 
 
 
8.
 
COME RIMPROVERO' IL SUO VICARIO
 
PERCHÉ FACEVA EDIFICARE ALLA PORZIUNCOLA
 
UNA PICCOLA CASA, DOVE DIRE L' UFFICIO
 
 
1688     In altra occasione, il vicario del beato Francesco cominciò a far edificare colà una piccola casa, dove i frati potessero riposare e recitare le ore liturgiche, poiché per la moltitudine dei frati che venivano a quel luogo, essi non avevano dove poter dire l'ufficio.
 
           Si deve sapere che tutti i frati dell'Ordine accorrevano là, dal momento che nessuno veniva ricevuto nella fraternità se non alla Porziuncola. Quella casa dunque era quasi finita, quando Francesco fu di ritorno. Stava egli nella cella e sentì il rumore dei lavoranti; chiamato il compagno, gli domandò cosa stessero facendo quei fratelli. Questi gli raccontò come stavano le cose.
 
           Fece chiamare subito il suo vicario e gli disse: « Questo luogo è il modello e l'esempio di tutto l'Ordine, fratello. Voglio perciò che i frati di qui sopportino le tribolazioni e i disagi per amore del Signore Dio, e gli altri frati che vengono qua, riportino alle loro dimore il buon esempio di povertà. Poiché se noi qui avessimo i nostri agi, anche gli altri sarebbero stimolati a fare costruzioni nei propri luoghi, scusandosi: --Se presso Santa Maria della Porziuncola, che è il primo luogo dell'Ordine, vengono eretti edifici cosi, possiamo anche noi farli su  nei luoghi nostri>>.
 
 
 
9.
 
PERCHÉ NON VOLEVA IL BEATO FRANCESCO
 
STARE IN UNA CELLA CONFORTEVOLE
 
O CHE FOSSE DETTA SUA
 
 
 
1689 Un fratello di viva spiritualità e amico intimo di Francesco fece fare nell'eremitaggio ove dimorava una cella un po' appartata, dove Francesco potesse raccogliersi in orazione quando andasse là. Ci venne di fatto, e quel frate lo condusse alla celletta. Francesco protestò: « Questa cella è troppo bella! ».
 
           Era fatta di legni dirozzati con l'ascia e la pialla. Egli seguitò: «Se vuoi che ci rimanga, falla rivestire dentro e fuori con salici e rami d'albero ». Quanto più case e celle erano povere, tanto più volentieri ci abitava.
 
           Il frate fece così, e Francesco vi sostò alcuni giorni. Ma una volta che il Santo era uscito dalla cella, un frate andò a vederla e poi venne al posto dove si trovava Francesco. Vedendolo, questi gli chiese: « Donde vieni, fratello? ». Rispose: « Vengo dalla tua cella ». E Francesco: « Poiché hai detto che è mia d'ora innanzi ci starà un altro, e non io >>.
 
 
1690   Noi che siamo stati con lui, spesso lo udimmo dire quelle parole: Le volpi hanno la tana e gli uccelli del cielo il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il suo capo. Soggiungeva: « Il Signore, quando stette nel deserto e pregò e digiunò quaranta giorni e quaranta notti, non si fece costruire cella o casa, ma dimorò fra le rocce del monte ». E perciò sull'esempio di Lui non volle avere casa né cella che fosse detta sua, né mai fece in modo che gliela costruissero. Se talora accadeva che avesse detto ai fratelli: «Andate, apprestatemi quella cella », non ci voleva poi rimanere, per quelle parole del Vangelo: Non vogliate essere preoccupati, ecc.
 
           E vicino a morte fece scrivere nel suo Testamento che le celle e le abitazioni dei frati fossero di legno e fango soltanto, per meglio conservare la povertà e l'umiltà.
 
 
 
 
10.
 
DEL MODO DI SCEGLIERE I LUOGHI NELLE CITTA'
 
E DI EDIFICARVI SECONDO L' INTENZIONE
 
DEL BEATO FRANCESCO
 
 
 
1691   Trovandosi Francesco una volta nei pressi di Siena a causa della malattia agli occhi, messer Bonaventura, che diede ai frati il terreno su cui fu edificato il luogo, gli disse: « Che ti sembra di questo luogo, padre? ». A lui disse Francesco: « Vuoi che ti dica in che modo devono essere edificati i luoghi dei frati? ». Rispose: « Lo voglio, padre ».
 
           Prese a dire il Santo: « Quando i frati arrivano in una città dove non hanno un luogo, e trovano qualcuno che vuol dare loro tanto  terreno da potervi edificare un luogo e avere l'orto e tutte le cose indispensabili, per prima cosa considerino quanta terra sia loro sufficiente, sempre avendo di mira la povertà e il buon esempio che siamo tenuti a dare in ogni cosa ».
 
           Diceva così perché non voleva assolutamente che nelle case o chiese, orti o altre cose di loro uso, i frati debordassero dai limiti della povertà, possedendo cioè qualcosa con diritto di proprietà, ma dovunque dimorassero come gente di passaggio e forestiera. A tal fine voleva che i frati non si riunissero in comunità numerose, poiché gli sembrava difficile che in un gruppo troppo grande si potesse osservare la povertà. Questo fu il suo ideale dal principio della sua conversione sino alla fine: che in ogni cosa la povertà' fosse osservata appassionatamente.
 
           Continuò: « Dopo considerata la terra indispensabile per il luogo, i frati dovranno andare dal vescovo della città e dirgli: Messere, un benefattore vorrebbe darci quel terreno, per amore di Dio e per la salvezza della sua anima, e ivi potremmo edificare il nostro luogo. Perciò ricorriamo a voi per primo, poiché siete padre e signore delle anime di tutto il gregge a voi affidato e di tutti i nostri fratelli che dimoreranno in questo luogo. Noi vogliamo costruire colà con la benedizione di Dio e la vostra ».
 
 
1692   Questo diceva Francesco perché il bene che i frati intendono fare tra le anime, meglio lo conseguono vivendo in armonia con il clero, guadagnandosi questo e il popolo, anziché, inimicandosi il clero, conquistare le moltitudini. Diceva: « Il Signore ci ha chiamati in aiuto della sua fede del clero e dei prelati della santa Chiesa romana. Siamo perciò obbligati ad amarli, onorarli, venerarli per quanto ci è possibile. Si chiamano frati minori perché come col nome, così con l'esempio e con i fatti devono essere piccoli più che tutti gli uomini del mondo.
 
           E poiché fin dall'inizio della mia nuova vita il Signore pose sulla bocca del vescovo di Assisi la sua parola affinché mi consigliasse e desse forza nel servizio di Dio, per questo e per i molti altri carismi che vedo nei prelati, io voglio amare non solo i vescovi, ma anche i sacerdoti poverelli, e venerarli e considerarli miei padroni. E dopo ricevuta la benedizione del vescovo, vadano e scavino tutto intorno un grande fossato nel terreno ricevuto e vi piantino una folta siepe a guisa di muro, in segno di santa povertà e umiltà.
 
           Facciano poi costruire case poverelle di fango e legno, e alcune  celle dove i fratelli possano pregare e lavorare per maggiore edificazione e per schivare l'oziosità. Facciano anche erigere piccole chiese; non debbono farne di grandi, con il motivo di predicare al popolo o altra ragione, poiché è segno di maggiore umiltà e di più toccante esempio che vadano a predicare nelle altre chiese. Se talora prelati, chierici e religiosi o secolari verranno alle loro dimore, le cellette e le piccole umili chiese saranno esse stesse una predica, e i visitatori saranno edificati più da ciò che dalle parole ».
 
           Soggiunse: « Molte volte i frati fanno fare grandi edifici, violando la nostra santa povertà, provocando mormorazioni e malesempio in molti. Ogni volta che, per avere un luogo migliore e più degno di rispetto, o per un afflusso più grande di popolo essi, stimolati da cupidigia e avidità, abbandonano quei rifugi o edifici e li fanno abbattere per farne altri grandi e imponenti, restano molto scandalizzati e contristati i fedeli che hanno dato l'elemosina e gli altri che vedono queste esagerazioni. E miglior cosa quindi che i frati costruiscano piccoli edifici poverelli, osservando il loro ideale e dando buon esempio al prossimo, anziché agire contro quanto hanno promesso e così dare malesempio agli altri. Che se talvolta i frati lasciassero i loro modesti ospizi, presentandosi l'occasione di un rifugio più decoroso, lo scandalo sarebbe minore ».
 
 
 
 
11.
 
COME I FRATI, SPECIE PRELATI E DOTTI,
 
CONTRASTARONO IL BEATO FRANCESCO
 
CHE VOLEVA ABITAZIONI E LUOGHI POVERI
 
 
 
1693   Francesco aveva stabilito che le chiese dei frati fossero piccole e le loro abitazioni fatte soltanto di legno e fango, in segno di santa povertà e umiltà. E volle che si cominciasse a fare cosi nel luogo di Santa Maria della Porziuncola, particolarmente quanto alle case costruite di legno e fango, affinché rimanesse modello a tutti i frati presenti e futuri, poiché quello era il primo e principale luogo di tutto l'Ordine.
 
           Alcuni frati non condividevano questa idea, dicendo che in alcune regioni il legname era più caro che le pietre, e non reputavano saggio apprestare abitazioni di legno e fango. Francesco non voleva fare polemiche, perché era gravemente malato e vicino a morire. Perciò allora fece scrivere nel suo Testamento: « Si guardino i frati dall'accettare chiese, abitazioni e ogni altro ambiente che venga costruito a loro uso, se non sia in carattere con la santa povertà. E vi dimorino come ospiti e forestieri ».
 
 
1694   Noi infatti che fummo con lui quando dettò la Regola e quasi tutti gli altri suoi  scritti, facciamo testimonianza che nella Regola e negli altri suoi scritti (in cui molti frati furono contrari,  specie prelati e dotti), disse molte cose che oggi sarebbero assai utili e necessarie a tutto l'Ordine. Ma poiché egli molto paventava lo scandalo, condiscendeva suo malgrado alla volontà dei fratelli.
 
           Spesso tuttavia esclamava: « Guai a quei frati che mi contrastano in quello che conosco fermamente corrispondere al volere di Dio, per la maggiore utilità e necessità di tutto l'Ordine, sebbene controvoglia io accondiscenda alla loro volontà ». E spesso si confidava con i compagni: « In questo sta il mio dolore e la mia afflizione: che in quelle cose che con molta perseveranza di preghiera e di riflessione ottengo da Dio, per sua misericordia e per utilità presente e futura di tutta la fraternità, e da Lui stesso ho prova che sono conformi al suo volere, alcuni frati, fidando sulla loro scienza e su errato intendimento, mi sono contrari, e svuotano il nostro ideale, dicendo: Queste cose sono da mantenersi, ma queste altre no ».
 
 
 
12.
 
COME REPUTAVA FURTO CHIEDERE L' ELEMOSINA
 
E USARNE OLTRE IL BISOGNO
 
 
 
1695   Frequentemente Francesco diceva queste parole ai suoi fratelli: « Non sono mai stato ladro di elemosine, nel chiedere o nell'usarne oltre il bisogno. Presi sempre meno di quanto mi occorreva, affinché gli altri poveri non fossero privati della loro parte; ché fare il contrario, sarebbe rubare ».
 
 
13.
 
COME CRISTO GLI DISSE DI NON VOLERE CHE I FRATI
 
POSSEDESSERO COSA ALCUNA NÉ IN COMUNE
 
NÉ IN PRIVATO
 
 
1696     I frati ministri cercavano di persuaderlo affinché concedesse qualcosa ai frati almeno in comune, cosi che gruppi tanto numerosi avessero delle riserve. Francesco allora invocò nell'orazione Cristo e lo interrogò sull'argomento; e il Signore rispose immediatamente: « Io toglierò ogni cosa posseduta in privato e in comune. A questa famiglia sarò sempre pronto a provvedere, per quanto essa cresca, e sempre la sosterrò finché nutrirà speranza in me »
 
 
 
 
14.
 
SUO DISPREZZO DEL DENARO
 
E COME PUNI' UN FRATE PER QUESTO
 
 
1697   Da vero amico e imitatore di Cristo, Francesco disprezzava pienamente tutte le cose del mondo, ma in modo particolare detestava il denaro, e indusse i fratelli con la parola e l'esempio a sfuggirlo come il demonio. I frati erano educati a considerare dello stesso valore denaro e rifiuti.
 
           Accadde un giorno che un secolare entrasse a pregare nella chiesa della Porziuncola e ponesse un'offerta di denaro presso la croce. Allontanandosi quello, un frate raccattò con tutta semplicità i  soldi, e li gettò sul bordo inferiore della finestra. Il fatto fu riferito a Francesco e quel frate, vistosi scoperto, domandò perdono e prosternato a terra si offrì alle percosse.
 
           Lo riprese il beato Francesco, e molto duramente lo rimproverò di aver toccato denaro. Poi gli comandò di toglierlo con la bocca dalla finestra e di deporlo, sempre con la bocca, sopra lo sterco di un asino. Mentre quel frate si affrettava con gioia a compiere il comando, tutti quelli che videro e ascoltarono, furono ricolmi di grande timore. E da allora tennero ancor più a vile il denaro assimilato a sterco d'asino; e con nuovi esempi ogni giorno erano stimolati a disprezzarlo sempre più decisamente.
 
 
15.
 
COME EVITARE LE VESTI TROPPO DELICATE E ABBONDANTI,
 
E COME NELLE STRETTEZZE SI DEVE USARE PAZIENZA
 
 
 
1698   Rivestito di fortezza dal cielo, Francesco era riscaldato più dal fuoco della grazia divina nell'intimo, che dalle vesti nel corpo. Non poteva soffrire chi era troppo coperto di vesti o chi senza necessità usava, nell'Ordine, indumenti delicati. Affermava che un bisogno indotto non dalla ragione, bensì dal capriccio, è sintomo che lo spirito langue. Diceva: « Quando lo spirito è tiepido e a poco a poco si raffredda nella grazia, per forza la carne e il sangue saltano su a imporre le loro esigenze ». E ancora:<< Che altro rimane, quando l'anima è priva delle delizie spirituali, se non che la carne ritorni ai suoi piaceri? Allora le brame animalesche si ammantano di necessità e il senso carnale deforma la coscienza.
 
           Se il mio fratello è preso da vera necessità e tosto si affaccenda a soddisfarla, che premio meriterà? Gli capitò l'occasione di merito, ma egli dimostrò chiaramente che non lo gradiva. Non sopportare pazientemente la carenza di cose anche necessarie, non è altro che voler tornare in Egitto ».
 
           In nessun caso ammetteva che i frati avessero più di due tonache, che però concedeva fossero rattoppate con pezze. Diceva che le stoffe ricercate le aveva in orrore, e ruvidamente rimproverava quelli che facevano il contrario. E per eccitarli con il suo esempio, portava sempre cuciti sulla sua tonaca dei pezzi di sacco grossolano. E, morente, comandò che la tonaca per le esequie fosse ricoperta di sacco.
 
           Invece ai frati, costretti da malattia o altra necessità, concedeva che portassero sulla carne un'altra tonaca morbida, purché  conservassero di fuori un vestito rozzo e senza valore. Diceva pertanto con vivo rammarico: « Tanto ancora si rilasserà l'austerità e dominerà la mollezza, che i figli di un padre povero non si vergogneranno di portare panni di scarlatto cambiando soltanto il colore ».
 
 
 
16.
 
COME NON VOLEVA SODDISFARE IL PROPRIO CORPO
 
IN QUELLE COSE DI CUI PENSAVA
 
CHE GLI ALTRI FRATI MANCASSERO
 
 
1699   Soggiornando Francesco nel romitorio di Sant'Eleuterio presso Rieti, a motivo del freddo pungente cucì all'interno della sua tonaca e di quella del suo compagno alcune pezze. Poiché egli abitualmente non indossava che la sola tonaca, il suo corpo cominciò allora a provare un po' di benessere.
 
           Poco dopo, di ritorno dall'orazione, con gran letizia disse al compagno: a Bisogna che io sia modello ed esempio a tutti i fratelli, e perciò, sebbene al mio corpo sia necessaria una tonaca rappezzata, bisogna nonostante ciò ch'io ponga mente agli altri miei fratelli, a cui è necessaria la stessa cosa, e forse non l'hanno né possono averla. Bisogna che io mi metta nelle loro condizioni, e sopporti le stesse privazioni che patiscono loro, affinché vedendo questo in me, siano animati a sopportarle con gran pazienza >>.
 
           Quante e quanto grandi cose necessarie egli negasse al suo corpo per dare il buon esempio ai fratelli, onde essi con più pazienza sopportassero la loro indigenza, noi che siamo vissuti con lui non siamo in grado di spiegare con parole e con scritti. Dopo che i frati cominciarono a moltiplicarsi, Francesco impiegò un grande incessante zelo nell'insegnar loro, più a fatti che a parole, quello che dovevano fare o evitare.
 
 
 
17.
 
COME SI VERGOGNAVA SE VEDEVA QUALCUNO
 
PIU' POVERO DI LUI
 
 
 
1700   Ebbe una volta a imbattersi in un mendicante e, notandone la povertà, disse al suo compagno: « Gran vergogna suscita in noi la povertà di quest'uomo e molto rimprovera la nostra povertà. Mai mi vergogno tanto, come quando trovo qualcuno più miserello di me, avendo io scelto la santa povertà per mia signora e per mia delizia e ricchezza spirituale e materiale; e in tutto il mondo è corsa questa fama: che cioè io ho fatto professione di povertà davanti a Dio e agli uomini ».
 
 
 
 
18.
 
COME INDUSSE E AMMAESTRO I PRIMI FRATI
 
A RECARSI A CHIEDERE L' ELEMOSINA
 
 
 
1701   Quando il beato Francesco cominciò ad avere dei fratelli, talmente si allietava della loro conversione e che il Signore gli avesse dato una compagnia buona, tanto li amava e venerava, che non diceva loro di andare all'elemosina soprattutto perché gli pareva che se ne vergognassero. E così, indulgendo alla loro ritrosia, andava ogni giorno lui solo ad accattare. Ma questo lo affaticava troppo, perché nel mondo aveva menato una vita delicata, inoltre aveva una complessione fragile, e si era ancor più indebolito per l'eccesso dei digiuni e dell'austerità.
 
           Visto che non riusciva a reggere da solo a tale strapazzo e  considerando che anche gli altri erano chiamati a quella fatica, sebbene se ne vergognassero, poiché non si erano ancora pienamente immedesimati dell'ideale né erano cosi sensibili da dire: « Vogliamo noi pure venire a chieder la carità », disse loro: « Fratelli e figli carissimi, non vergognatevi di andare per l'elemosina, poiché il Signore stesso si fece povero per amore nostro in questo mondo, e sull'esempio suo noi scegliamo la vera povertà. Questa è l'eredità che il Signore nostro Gesù Cristo acquistò e lasciò a noi e a tutti quelli che, seguendo il suo esempio, vogliono vivere nella santa povertà. In verità vi dico, che molti fra i più nobili e dotti di questo mondo verranno alla nostra fraternità, e stimeranno grande onore e grazia andare per l'elemosina. Andate dunque a carità, fiduciosi e lieti nell'animo, con la benedizione di Dio. E dovete provare più gioia elemosinando, che un uomo il quale per un soldo desse in cambio cento denari, poiché offrite, a quanti domandate la carità, l'amore di Dio, in contraccambio, dicendo: " Per amore del Signore Dio, fateci la carità!". E al confronto di questo amore, cielo e terra sono un nulla ».
 
           Poiché però i frati erano pochi, non poté inviarli a due a due, ma ciascuno separatamente, per castelli e villaggi.
 
           E tornando essi con le elemosine che avevano racimolato, ognuno le mostrava a Francesco. E uno diceva all'altro: « Io ho raccolto più elemosine di te! ». Si allietò Francesco, vedendoli così ilari e giocondi. E da allora ognuno domandava spontaneamente di andare alla questua.
 
 
 
19.
 
COME NON VOLEVA CHE I FRATI FOSSERO ANSIOSI
 
NEL PROVVEDERE AL DOMANI
 
 
 
1702   In quello stesso tempo Francesco viveva con i compagni in tale povertà da osservare in tutto e per tutto alla lettera il Vangelo, e ciò dal giorno in cui il Signore gli rivelò che lui e i fratelli vivessero secondo l'ideale evangelico. Proibì quindi al frate che faceva la cucina di porre la sera i legumi a bagno in acqua calda, dovendoli dare da mangiare ai frati nel giorno seguente, come si usa fare; e ciò per osservare la parola del Vangelo: « Non vogliate essere preoccupati per il domani ».
 
           E così quel frate li metteva a bagno dopo la recita del mattutino, quando albeggiava il giorno in cui i legumi dovevano essere mangiati. E per lungo tempo parecchi frati in molti luoghi osservarono questa consegna, specialmente in città, non volendo raccogliere o ricevere più elemosine di quelle indispensabili per un solo giorno.
 
 
 
20.
 
COME RIMPROVERO' CON LA PAROLA E L' ESEMPIO
 
I FRATELLI CHE AVEVANO IMBANDITA RICCA MENSA
 
NEL GIORNO DI NATALE
 
 
1703   Un ministro dei frati si era recato da Francesco, per celebrare con lui la solennità del Natale, nel luogo di Rieti. E i frati, per festeggiare il ministro e la ricorrenza, prepararono le mense in  maniera alquanto distinta e ricercata il giorno di Natale, stendendo belle tovaglie con vasellame di vetro.
 
           Scendendo Francesco dalla cella per desinare, vide che erano state poste mense più elevate e preparate con cura. Tosto si allontanò nascostamente, prese il bastone e il cappello di un povero venuto colà quel giorno e, chiamato sottovoce uno dei suoi compagni, uscì fuori dalla porta del luogo, a insaputa dei frati. Il compagno restò dentro, vicino alla porta. Intanto i frati entrarono alla mensa, poiché Francesco aveva ordinato che non lo aspettassero, quando non fosse giunto all'ora della refezione.
 
           Rimasto fuori un po' di tempo, bussò alla porta e il suo compagno tosto gli aprì; il Santo, avanzando col cappello sul dorso e il bastone in mano, andò all'uscio della stanza in cui i frati desinavano. E come un pellegrino e povero implorava: « Per amore del Signore Dio, fate l'elemosina a questo pellegrino povero e malato! ». Il ministro e gli altri lo riconobbero subito. Il ministro gli rispose: « Anche noi siamo poveri, fratello, e poiché siamo in molti le elemosine che abbiamo sono sufficienti al nostro bisogno. Ma per amore di quel Dio, che hai nominato, entra nella stanza e divideremo con te le elemosine donateci da Dio ».
 
           Entrò Francesco e si fermò in piedi davanti alla tavola dei frati; il ministro gli diede la scodella in cui mangiava e del pane. Egli li prese umilmente, sedette vicino al fuoco, di fronte ai fratelli seduti a tavola, e sospirando disse loro: << Vedendo una mensa apprestata con tanta eleganza e ricercatezza, ho pensato che non fosse la tavola di religiosi poveri che ogni giorno vanno a carità di porta in porta. A noi, miei cari, si addice seguire l'esempio della umiltà e povertà di Cristo più che agli altri religiosi, poiché a questo siamo chiamati e questo abbiamo promesso davanti a Dio e agli uomini. Adesso sì mi sembra di star seduto come si conviene a un frate minore, poiché le solennità del Signore sono più onorate con l'indigenza e la povertà, per mezzo della quale i santi si guadagnarono il cielo, anziché con la raffinatezza e la ricerca del superfluo, a causa delle quali l'anima si allontana dal cielo ».
 
           Di ciò arrossirono i fratelli, considerando ch'egli parlava la purissima verità. E alcuni cominciarono a piangere forte, vedendo Francesco seduto per terra, e come puramente e santamente aveva voluto correggerli e ammaestrarli. Ammoniva invero i frati ad avere mense basse e semplici, in modo che i secolari ne traessero edificazione, e se qualche povero sopraggiungesse invitato dai frati, potesse sedersi alla pari e vicino a loro, non il povero per terra e i frati più in alto.
 
 
 
21.
 
COME IL CARDINALE DI OSTIA PIANSE E RIMASE EDIFICATO
 
DALLA POVERTA' DEI FRATI
 
 
1704    Il cardinale di Ostia, che fu poi papa Gregorio, essendo venuto al Capitolo dei frati a Santa Maria della Porziuncola, entrò nella loro abitazione con molti cavalieri ed ecclesiastici per vedere il dormitorio dei frati. Osservando che i frati giacevano per terra e non avevano niente sotto di sé, eccettuata un po' di paglia e alcune coltri miserabili e quasi tutte a brandelli e nessun cuscino, scoppiò in un pianto dirotto alla presenza di tutti, dicendo: a Ecco, qui dormono i frati. E noi abbiamo tante cose superflue. Che sarà di noi? ». E lui e gli altri restarono molto edificati. E non vide alcuna mensa, poiché i frati mangiavano per terra; infatti fino a quando visse il beato Francesco, tutti i frati sempre in quel luogo mangiavano per terra.
 
 
22.
 
COME ALCUNI CAVALIERI EBBERO IL NECESSARIO
 
ELEMOSINANDO DI PORTA IN PORTA,
 
SECONDO IL CONSIGLIO DEL BEATO FRANCESCO
 
 
 
1705  Stando Francesco nel luogo di Bagnara, sopra la città di Nocera, cominciarono i suoi piedi a enfiarsi fortemente per l'idropisia; e ivi ammalò gravemente. Venuti a conoscere la cosa gli abitanti di Assisi, alcuni cavalieri vennero precipitosamente a quel luogo per condurre il Santo ad Assisi, per paura che morisse là e altri avessero il santo corpo di lui.
 
           Mentre lo riconducevano, fecero sosta in un borgo del contado assisano per pranzare; Francesco si riposò nella casa di un povero che volentieri lo aveva accolto, mentre i cavalieri giravano per il paese a comprare le cose loro necessarie, ma senza poterle trovare. Tornarono perciò da Francesco e gli dissero facendo gli spiritosi: a Fratello, è necessario che voi ci diate delle vostre elemosine, poiché non troviamo niente da mangiare ». Con grande fervore di spirito il Santo rispose: a Per questo non avete trovato: perché confidate nelle vostre mosche cioè nel denaro, e non in Dio. Tornate ora alle case dove andaste per comprare e, lasciando cadere il rispetto umano, domandate la carità per amore di Dio, e quelli per ispirazione divina vi daranno in abbondanza ».
 
           Quelli andarono, chiesero l'elemosina come aveva consigliato Francesco, e fu loro donato con grande letizia e generosità. Capirono allora che il fatto aveva del miracoloso e tornarono da Francesco pieni di gioia, lodando il Signore.
 
 
1706     Secondo il Santo, era cosa molto nobile e degna davanti a Dio e davanti agli uomini, chiedere l'elemosina per amore del Signore Dio. Invero, tutte le cose che il Padre creò a utilità dell'uomo, dopo il peccato vengono concesse come in elemosina a degni e indegni per amore del diletto suo Figlio. Diceva che dovrebbe il servo di Dio domandar la carità più volentieri  e gioiosamente di uno che, per la sua ricchezza e cortesia, andasse dicendo: a chiunque mi darà una moneta che vale un solo denaro, io darò mille marchi d'oro! ». In realtà, il servo di Dio chiedendo l'elemosina offre in cambio l'amore di Dio a quelli cui si rivolge; e, a confronto con l'amore di Dio, sono un nulla le cose del cielo e della terra.
 
           Con questo spirito, prima che i frati si fossero moltiplicati e anche dopo, quando andava a predicare per il mondo, se era invitato da qualche nobile o ricco per vitto e alloggio, sempre all'ora del pasto usciva per questuare e poi tornava alla casa ospitale, e ciò per dare buon esempio e in omaggio alla signora Povertà.
 
           E molte volte colui che aveva invitato il Santo, lo pregava di non uscire per elemosina. Egli rispondeva a Non voglio lasciare la mia dignità regale, la mia eredità, la professione mia e dei miei fratelli, che è di andare elemosinando di porta in porta». E talora l'ospitante in persona si univa a lui e prendeva le elemosine che Francesco veniva ricevendo: poi, per devozione verso il Santo, le conservava come reliquie. Colui che ha scritto questi ricordi, vide molte volte queste cose e ne fa testimonianza.
 
 
 
23.
 
COME ANDO' PER ELEMOSINA
 
PRIMA Dl SEDERSI ALLA MENSA DEL CARDINALE
 
 
 
1707     Una volta, avendo Francesco fatto visita al cardinale di Ostia, che fu poi papa Gregorio, all'ora del desinare andò, quasi di soppiatto, a questuare di porta in porta. Quando rientrò, il cardinale si era già accomodato a tavola con molti cavalieri e nobili. Entrato che fu, Francesco pose sulla mensa davanti al cardinale le elemosine che aveva raccolto e sedette accanto a lui, poiché quel prelato voleva che Francesco gli sedesse sempre vicino. Il cardinale restò un poco male che egli fosse andato a raccogliere elemosine, e le avesse poi poste sulla mensa; ma non disse nulla, per non urtare i convitati.
 
           Quand'ebbe mangiato qualche boccone, Francesco prese le sue elemosine e le distribuì in nome del Signore a ognuno dei cavalieri e dei cappellani del cardinale. Tutti le ricevettero con grande letizia e devozione, levandosi il cappuccio o altro copricapo; alcuni ne mangiarono, altri riposero quei frustoli in segno di devozione. Molto si rallegrò di questo il cardinale di Ostia, tanto più che quelle elemosine non erano di pane di frumento.
 
           Dopo il pranzo, egli andò alla sua camera conducendo con sé Francesco e, levando le braccia, lo strinse con viva gioia ed esultanza, dicendo: « Perché, fratello mio semplicione, mi hai fatto arrossire, andando alla questua mentre eri ospite in casa mia, che è la casa dei tuoi frati? ».
 
           Il beato Francesco gli rispose: « Ma no, messere; io vi ho reso un grandissimo onore, poiché quando il suddito fa il suo dovere e  soddisfa all'obbedienza verso il suo signore fa onore al suo signore! ». E seguitò: « Devo essere modello ed esempio dei vostri poveri, soprattutto perché so che in questo Ordine ci sono e ci saranno frati, minori di nome e di fatto, che per amore di Dio e ispirazione dello Spirito Santo, che in ogni cosa li ammaestrerà, si chineranno a ogni umiltà e sottomissione e servizio dei loro fratelli. Purtroppo ci sono e ci saranno di quelli che, trattenuti dal rispetto umano o per cattive abitudini, sdegnano e sdegneranno di umiliarsi e adattarsi a andare alla questua o a fare altri umili lavori. E per questo, occorre che io insegni con i fatti a quelli che sono e saranno nell'Ordine, affinché in questa vita e nell'altra siano inescusabili davanti a Dio.
 
           Trovandomi in casa vostra, che siete il nostro signore e nostro Papa, o presso altri personaggi altolocati e ricchi di questo mondo, che per amore del Signore Dio con viva devozione non solo mi ricevete nelle vostre dimore ma mi imponete la vostra ospitalità, io non voglio vergognarmi di uscire per elemosinare. Voglio invece considerare, secondo Dio, che questa è la più sublime nobiltà e regale dignità un gesto di onore verso colui che, pur essendo Signore di tutto, volle per amore nostro farsi servo di tutti; ed essendo ricco e glorioso nella sua maestà, venne povero e disprezzato nella nostra misera condizione.
 
           Orbene, io voglio che i frati presenti e futuri sappiano che ho maggior consolazione dell'anima e del corpo quando siedo a una povera mensa di frati e mi vedo dinanzi le povere elemosine accattate di porta in porta per amore di Dio, che quando sto alla tavola vostra e di altri signori, preparata con laute pietanze. Infatti, il pane dell'elemosina è pane santo, santificato dall'amore e dalla lode di Dio, poiché quando un fratello va alla cerca, dice innanzi tutto:--Sia lodato e benedetto il Signore Dio!--Poi aggiunge:--Fateci l'elemosina per amore del Signore.--».
 
           Fu molto commosso il cardinale udendo questo discorso, e gli disse: «Figlio mio, fai quello che ti sembra buono, poiché Dio è con te e tu con Lui! >>.
 
           Tale era proprio la volontà di Francesco, e ripetute volte ebbe a dire che un frate non doveva stare a lungo senza andare per elemosina, a motivo del grande merito che ne avrebbe ricavato e per non vergognarsi poi di andare alla cerca. E certo, quanto più un frate era stato nobile e di alta condizione nel mondo, tanto maggiormente Francesco si rallegrava e prendeva edificazione di lui, vedendolo andare a carità e compiere gli umili lavori che allora facevano i frati.
 
 
 
24.
 
DEL FRATELLO CHE NON PREGAVA NÉ LAVORAVA,
 
PERO' MANGIAVA GAGLIARDAMENTE
 
 
 
1708   Nei primordi dell'Ordine, quando i frati dimoravano a Rivotorto nei paraggi di Assisi, c'era tra loro un tale  che poco pregava, non lavorava né voleva andare per elemosina, ma mangiava forte.
 
           Badando a queste cose, Francesco conobbe per rivelazione dello Spirito Santo che quello era un uomo mondano, e allora gli disse: «Va' per la tua strada, frate mosca, poiché vuoi mangiare la fatica dei tuoi fratelli e rimanere ozioso nel lavoro di Dio, come il fuco ozioso e sterile, che non lavora e nulla porta all'alveare, e poi divora la fatica e il miele raccolto dalle api lavoratrici! >>.
 
           Quello se ne andò per la sua strada, ed essendo uomo mondano, non domandò e non ottenne misericordia.
 
 
 
 
25.
 
COME USCI' ESULTANTE INCONTRO A UN POVERO,
 
CHE PASSAVA CON LE ELEMOSINE LODANDO DIO
 
 
 
1709   Un'altra volta, trovandosi Francesco alla Porziuncola, un povero, di profonda vita spirituale, camminava per via con le sue elemosine, e intanto lodava DiO a voce alta con grande letizia.
 
           Quando il mendicante fu nei pressi della chiesa di Santa Maria, Francesco lo udì, e immediatamente con vivo ardore e gioia gli si fece incontro sulla strada, e tutto felice baciò l'omero sul quale portava la bisaccia con l'elemosina. Prese poi quella bisaccia, se la pose sul proprio omero e così la portò nella dimora dei frati. E in loro presenza disse: « Così voglio che ogni mio frate vada e ritorni con l'elemosina, felice e contento e lodando Dio ».
 
 
 
26.
 
COME GLI FU RIVELATO DAL SIGNORE
 
CHE I FRATI DOVEVANO CHIAMARSI «MINORI »,
 
E DOVEVANO ANNUNZIARE LA PACE E LA SALVEZZA
 
 
 
1710   In altra occasione disse il beato Francesco: « L'Ordine e la vita dei frati minori può assomigliarsi a un piccolo gregge, che il Figlio di Dio, in questi ultimi tempi, chiese al suo Padre celeste dicendo: -- Padre, vorrei tu creassi e dessi a me un nuovo popolo e umile in quest'ora ultima, e che fosse dissimile per umiltà e povertà da tutti gli altri che l'hanno preceduto, e fosse contento di non possedere che me--. Rispose il Padre al figlio diletto:--Figlio mio, ti è concesso quanto hai domandato--».
 
           Diceva ancora Francesco che Dio volle e rivelò a lui che i frati si chiamassero « minori », perché questo è il popolo povero e umile, che il Figlio chiese al Padre suo. E di questo popolo che il Figlio di Dio parla nel Vangelo: Non temete, o piccolo gregge, poiché piacque al Padre vostro dare a voi il Regno. E ancora: Quello che avrete fatto a uno dei miei fratelli minori, lo avete fatto a me. Sebbene il Signore alludesse qui a tutti i poveri in spirito, in modo particolare però predisse che sarebbe venuta nella sua Chiesa la schiera dei fratelli minori.
 
           Perciò come fu rivelato a Francesco che il suo dovesse chiamarsi Ordine dei frati minori, così fece scrivere nella prima Regola, che egli portò a papa Innocenzo III, il quale l'approvò e concesse, annunziandolo poi pubblicamente nel Concistoro.
 
           
 
1711   Il Signore gli rivelò inoltre il saluto che i frati dovevano dire, e Francesco lo fece notare nel suo Testamento così: « Il Signore mi rivelò che dovessi dire come saluto: Il Signore ti dia pace! ».
 
           Nei primordi dell'Ordine, andando Francesco con un fratello che apparteneva ai primi dodici, costui salutava uomini e donne per via e quelli che stavano nei campi con le parole: Il Signore vi dia pace! Ma poiché la gente non aveva ancora udito dalla bocca di alcun religioso un tale saluto, molto se ne stupiva. Altri, seccati, replicavano: « Cosa vuol dire questo vostro saluto? ». Talmente che quel frate cominciò a sentirsi imbarazzato, e disse a Francesco: «Concedimi di dire un altro saluto ».
 
           Rispose Francesco: « Lasciali dire, ché non comprendono le cose di Dio. Ma non te ne vergognare, perché perfino nobili e principi di questo mondo mostreranno riverenza a te e agli altri frati in grazia di questo saluto. Invero, cosa grande è che il Signore abbia voluto avere un nuovo e piccolo popolo, differente nella vita e nel parlare da tutti quelli venuti prima, e contento di non possedere che Lui solo, altissimo e glorioso ».
 
 
 
 
PARTE SECONDA
 
 
DELLA CARITA',
 
COMPASSIONE E CONDISCENDENZA
 
VERSO IL PROSSIMO
 
 
 
27.
 
SUA TENEREZZA VERSO UN FRATELLO CHE MORIVA DI FAME,
 
E COME MANGIO' CON LUI E AMMONI' I FRATELLI
 
A USARE DISCREZIONE NELLA PENITENZA
 
 
 
1712   Nel tempo in cui Francesco cominciò ad avere dei fratelli e abitava con essi a Rivotorto presso Assisi, una volta, sulla mezzanotte, mentre stavano riposando, un frate si mise a gridare: «Muoio! muoio! ». Tutti si svegliarono stupefatti e spaventati. Francesco si alzò e disse: << Fratelli, levatevi e accendete un lume ». Acceso che fu il lume, il Santo interrogò: << Chi ha detto: Muoio? >>. Quel frate rispose: « Sono stato io ». E Francesco: « Ma che hai? di che cosa stai morendo? ». E quello: « Muoio di fame! ».
 
           Allora Francesco fece preparare la mensa e, da uomo pieno di affetto e sensibilità, si mise a mangiare con lui, affinché non si  vergognasse di prendere cibo da solo. Volle anzi che tutti gli altri frati partecipassero al pasto.
 
           Come tutti i presenti, anche quel fratello si era da poco convertito al Signore, e come loro soleva affliggere il corpo oltre misura. Dopo la refezione, disse Francesco: « Carissimi, vi esorto a studiare ognuno la propria complessione, poiché sebbene qualcuno possa sostentarsi con meno cibo che un altro, voglio tuttavia che colui il quale ha bisogno di un nutrimento più abbondante, non lo imiti in questo. Ciascuno, conoscendo il proprio stato fisico, dia al suo corpo il sostentamento necessario, così che sia in grado di servire allo spirito. Come siamo obbligati ad astenerci dal cibo superfluo che appesantisce il corpo e l'anima, cosi dobbiamo rifuggire un digiuno esagerato, poiché il Signore  vuole misericordia e non sacrificio ».
 
 
           Soggiunse: « Quello che ho fatto io, fratelli carissimi cioè di mangiare insieme al fratello mio affinché non si vergognasse a cibarsi da solo, è stato ispirato dalla grande necessità e da amore. Però in avvenire non voglio comportarmi così; non sarebbe degno di religiosi né conveniente. Quindi voglio e ordino che ogni fratello doni al suo corpo il necessario, a misura della nostra povertà ».
 
 
1713     I primi frati e quelli che vennero dopo di loro per lungo tempo, affliggevano il loro corpo fuor d'ogni misura astenendosi da cibo e bevande, rinunciando al sonno, non riparandosi dal freddo, vestendo ruvidi panni, lavorando con le loro mani, portando sulla carne cerchi di ferro e aspre corazze e cilizi. Il padre santo, considerando che con tali durezze ascetiche i fratelli rischiavano di ammalarsi e altri erano già caduti infermi, in un Capitolo proibì che si portasse sulle carni altro che la tonaca.
 
           Noi, che siamo vissuti con lui, possiamo attestare che in tutto il corso della sua vita egli fu verso i fratelli discreto e moderato, in modo però ch'essi non deviassero mai dalla povertà e dallo spirito del nostro Ordine. Lui però, il nostro padre santissimo, dal momento della conversione e fino alla morte, fu austero verso il suo corpo, sebbene fosse di costituzione fragile e, quando viveva nella sua famiglia, fosse costretto a usarsi molti riguardi.
 
           Osservando una volta come i frati violavano la povertà e la frugalità nei cibi e in ogni cosa, in una predica rivolta ad alcuni frati, ma diretta a tutti, ebbe a dire: « I miei fratelli non pensano che al mio corpo sarebbe necessaria un'alimentazione migliore; ma poiché bisogna che io sia modello ed esempio a tutti i frati, voglio esser contento di scarsi e miseri cibi, e usare d'ogni altra cosa secondo povertà, aborrendo tutto ciò che sia costoso e ricercato ».
 
 
 
 
 
28.
 
COME CONDISCESE A UN FRATE MALATO,
 
MANGIANDO UVA CON LUI
 
 
 
1714   Un'altra volta, trovandosi Francesco nello stesso luogo, un fratello, molto spirituale e da tempo nell'Ordine, era malato e senza forze. Francesco ebbe compassione di lui. Allora i frati sia sani che malati con grande letizia vivevano nella povertà come fossero nell'abbondanza; nelle infermità non usavano medicine e neppure le richiedevano, anzi prendevano volentieri cose nocive alla salute. Sicché Francesco disse fra sé: « Se questo fratello, di buon mattino, mangiasse dell'uva matura, credo che ne avrebbe giovamento ». Così pensò e così fece. Si alzò di fatto un giorno di buon'ora, chiamò segretamente quel frate, lo condusse in una vigna vicina al luogo e scelse una vite dai grappoli maturi. E sedendosi accanto a quella, cominciò a mangiare l'uva insieme con lui affinché non si vergognasse a mangiar da solo. Così il frate riprese forza, e insieme lodarono il Signore.
 
           Quel frate si ricordò per tutta la vita della compassione e dell'affetto che il padre santo gli aveva dimostrato, e con devozione grande ricordava piangendo ai fratelli quel fatto.
 
 
 
 
 
29.
 
COME SPOGLIO' SÉ E IL COMPAGNO
 
PER VESTIRE UNA POVERA VECCHIA
 
 
 
1715     Presso Celano, in tempo d'inverno, Francesco indossava un panno a guisa di mantello, prestatogli da un amico dei frati. E venne a lui una vecchietta, chiedendo l'elemosina. Egli immediatamente si tolse di dosso quel panno e sebbene non fosse suo, lo donò alla povera vecchia, dicendo: « Va', e fattene un vestito, poiché ne hai molto bisogno ».
 
           La vecchietta sorrise e stupefatta, non so se per timore o per gioia, prese il panno dalle mani di lui, e preoccupata che indugiando non rischiasse di perdere il dono, si allontanò in fretta e tagliò il panno con le forbici. Ma accorgendosi che la stoffa non bastava per confezionare un vestito, ricorse alla bontà del Santo, per mostrargli che il panno era troppo scarso. Il Santo volse gli occhi al compagno che portava sulle spalle un mantello uguale al suo, e gli disse: «Senti cosa dice questa poverella? Sopportiamo il freddo per amor di Dio, e lascia a questa povera quel panno, così che possa completare il suo vestito ». Il compagno se ne privò subito, proprio come aveva fatto il Santo. Così entrambi restarono senza mantello, per vestire la poverella.
 
 
 
30.
 
COME STIMAVA FURTO
 
NON DARE IL MANTELLO A CHI NE AVEVA PIU' BISOGNO
 
 
 
1716   Tornando da Siena, incontrò un povero e disse al compagno: «Dobbiamo restituire il mantello a questo poveretto, a cui appartiene. Noi lo abbiamo preso a prestito, fino a che non trovassimo uno più povero di noi ».
 
           Ma il compagno, vedendo il bisogno del caritatevole padre, si  opponeva tenacemente che se ne privasse per provvedere a un altro. E Francesco: « Non voglio esser ladro! Saremmo infatti accusati di furto, se non dessimo il mantello a chi è più bisognoso ». Così il Santo regalò al povero il proprio mantello.
 
 
 
 
31.
 
A CHE PATTO DIEDE UN MANTELLO NUOVO
 
A UN POVERO
 
 
 
1717   Presso la Celle di Cortona, Francesco portava un mantello nuovo, che i frati avevano acquistato apposta per lui. Giunse al luogo un povero, piangendo la moglie morta e la famiglia misera e derelitta.
 
           Preso da compassione, il Santo disse: « Ti dò il mantello, a patto che tu non lo ceda a nessuno, se non sia disposto a comprarlo pagandolo bene ». Udendo Ciò, i frati corsero verso il povero per togliergli il mantello. Ma lui, facendosi coraggio sotto lo sguardo di Francesco, teneva stretto a due mani l'indumento. Alla fine i frati riscattarono il mantello, consegnando al povero il prezzo dovuto.
 
32.
 
COME UN POVERO,
 
PER UN' ELEMOSINA DEL BEATO FRANCESCO,
 
CESSO' DALL' ODIARE E INGIURIARE IL SUO PADRONE
 
 
 
1718    Presso Colle, nel contado di Perugia, Francesco incontrò un uomo, che aveva conosciuto in precedenza, mentre viveva nel mondo. E gli disse: « Come va, fratello?».
 
           Ma quello, tutto in collera, prese a scagliare maledizioni contro il suo padrone: « Per colpa del mio padrone, che Dio lo maledica, non può andarmi che male, poiché mi ha rapinato ogni mio avere ».
 
           Vedendo Francesco che quello persisteva nel suo odio mortale, ebbe pietà dell'anima sua e gli rispose: « Fratello, per amore di Dio perdona al tuo padrone! Libera la tua anima, e forse colui ti restituirà gli averi che ti ha tolto. Altrimenti, perduti i tuoi beni, tu perderai anche l'anima tua ». Ma l'altro insistette: « Non potrò perdonargli sinceramente, finché non mi abbia restituito il mio ».
 
           Allora Francesco gli disse: a Ecco, ti dono questo mantello, e ti prego di perdonare al tuo padrone per amore del Signore Dio ». Subito il cuore di quell'uomo fu raddolcito e, indotto dal beneficio, smise di ingiuriare il padrone.
 
 
 
 
33.
 
COME MANDO' IL SUO MANTELLO A UNA POVERA DONNA
 
CHE SOFFRIVA D' OCCHI COME LUI
 
 
 
1719     Una poverella venne da Machilone a Rieti per curarsi una malattia agli occhi. Quando il medico andò da Francesco, gli riferì: «Fratello, è venuta da me una donna malata di occhi, ed è tanto povera che devo io farle le spese >>.
 
           A sentir questo, il Santo ne fu commosso e fatto chiamare uno dei frati, che era il suo guardiano, gli disse: « Frate guardiano, bisogna che restituiamo quello che non è nostro ». E quello: « Cos'è che non è nostro, fratello? ». Rispose: « Questo mantello qui che abbiamo preso a prestito da quella donna povera e malata, bisogna le venga reso >>. Concluse il guardiano: « Fratello, fai quello che ti sembra meglio ».
 
           Allora Francesco, tutto felice, fece venire un suo amico di molta spiritualità, e gli disse: « Prendi questo mantello e dodici pani, va' da quella povera donna malata d'occhi e dille:--Quel povero a cui hai prestato questo mantello ti ringrazia. Riprendilo: è tuo--».
 
           Quello andò e ripeté alla donna le parole di Francesco. Ma la donna, temendo di esser presa in giro, gli disse tra impaurita e infastidita: « Lasciami in pace. Non capisco quello che dici ». Ma lui le consegnò il mantello e i dodici pani. Essa, constatando che aveva parlato sul serio, accettò con commozione e rispetto, felice, lodando il Signore. E temendo che il regalo le venisse portato via, si levò di nascosto nella notte e tornò con gioia a casa sua. Francesco aveva stabilito con il guardiano che ogni giorno, finché fosse rimasta lì, le venissero pagate le spese.
 
           Noi che siamo vissuti con lui, possiamo testimoniare di che infinita carità e bontà egli fosse verso malati e sani, non solo suoi frati, ma tutti i poveri. E le cose più strettamente necessarie al suo corpo, che i frati talora acquistavano con non poco zelo e fatica, egli rabbonendoci prima perché non ci agitassimo, dava con molta letizia intima ed anche esteriore ai poveri, privandone se stesso.
 
           E per questo il ministro generale e il guardiano suo gli avevano ordinato di non dare a nessuno, senza loro permesso, la sua tonaca.
 
           Perché spesso i frati, sospinti da devozione, gli chiedevano la tonaca e lui subito la dava, talvolta dividendola, e una parte conservando per sé (poiché non indossava che la sola tonaca), una parte dandola in regalo.
 
 
 
34.
 
COME DIEDE UNA TONACA AI FRATI,
 
CHE GLIELA CHIEDEVANO PER AMORE DI DIO
 
 
 
1720    Una volta, che andava predicando in una regione, gli si fecero incontro due frati francesi i quali, avendo ricevuto da lui una grande consolazione, gli chiesero la sua tonaca per amore di Dio. Non appena sentì nominare l'amor di Dio, Francesco si levò la tonaca e la consegnò a loro rimanendo svestito per qualche ora.
 
           Poiché quando gli veniva ricordato l'amore di Dio, sia che gli si chiedesse la corda o la tonaca o qualunque altra cosa, non diceva mai di no a nessuno. E molto gli dispiaceva e spesso rimproverava i frati allorché li udiva nominare inutilmente l'amore di Dio. Diceva: « Così stupendamente alto e prezioso è l'amore di Dio, che non dovrebbe essere nominato che raramente, per grande necessità e con molta riverenza >>.
 
           E uno di quei frati si levò la propria tonaca e la diede a lui. Similmente quando dava la tonaca o una parte di essa a qualcuno, pativa gran privazione e tribolazione, poiché non poteva averne tanto presto un'altra, specie esigendo che sempre fosse poverissima e talora rappezzata dentro e fuori. E mai, o di rado, si adattava a indossare una tonaca confezionata di panno nuovo, ma si faceva dare da un altro frate la veste portata per lungo tempo. Talvolta prendeva una parte della tonaca da un frate, e l'altra parte da un altro. All'interno ci adattava talora un panno nuovo, a motivo delle sue molte malattie e per riparare dal freddo lo stomaco e la milza.
 
           Conservò questa povertà e la osservò fino a quando migrò al Signore. Pochi giorni avanti il suo trapasso, poiché era idropico e quasi disseccato e afflitto da numerose infermità, i frati gli prepararono parecchie tonache affinché, secondo il bisogno, potesse mutarle giorno e notte.
 
 
 
 
35.
 
COME VOLLE DARE DI NASCOSTO A UN POVERO
 
UNA PEZZA DI PANNO
 
 
 
1721   Un povero venne al beato Francesco e chiese ai fratelli per amore di Dio un pezzo di panno. Ciò udendo, il Santo disse a un frate: « Cerca per la casa, se puoi trovare qualche pezzo di panno, e dallo a quel povero ». Dopo aver girato tutta la casa, quel frate disse che non se ne trovava.
 
           Ma Francesco, affinché quel mendico non se ne tornasse a mani vuote, andò in un luogo appartato, perché il guardiano non glielo impedisse, e sedendo prese un coltello e cominciò a tagliare alla sua tonaca una pezza cucita al di dentro, per poterla consegnare a quel povero.
 
           Senonché il guardiano si accorse di quanto succedeva, andò difilato da lui e gli fece proibizione di far ciò, poiché era malato, e poi faceva un gran freddo che Francesco pativa tanto. Gli disse Francesco: « Se vuoi che non dia un pezzo della mia veste, occorre assolutamente che tu gliene procuri in altra maniera a quel fratello povero ». Così i frati diedero al mendicante un po' di stoffa strappata ai loro indumenti, cedendo all'insistenza del Santo.
 
           Quando andava per il mondo a predicare, camminando a piedi, o stando in groppa a un asino quando era infermo, o anche montato a cavallo quando gli era strettamente necessario (giacché altrimenti non si permetteva di cavalcare, e fece un'eccezione solo poco prima della morte), se qualche frate gli imprestava un mantello, non lo voleva accettare che a patto di poterlo donare a qualunque povero incontrasse o venisse a lui, quando il cuore gli faceva intuire che fosse necessario.
 
 
 
 
36.
 
COME DISSE A FRATE EGIDIO
 
DI DARE IL MANTELLO A UN POVERO
 
 
 
1722      Nei primordi dell'Ordine, sostando Francesco a Rivotorto con i due compagni, che soli allora aveva ecco un uomo di nome Egidio, che fu il terzo fratello, venire a lui per abbracciare la sua vita.
 
           Egli rimase alquanti giorni con i vestiti che aveva portato nel mondo. Arrivò a quel luogo un povero a chiedere l'elemosina al beato Francesco. Questi, rivolgendosi a Egidio, gli disse: « Dona al fratello povero il tuo mantello ». Ed Egidio con grande gioia se lo tolse di dosso e lo consegnò al mendicante.
 
           Immediatamente Dio fece scendere una grazia nuova nel cuore di Egidio, che aveva dato al povero il suo mantello. Così, accolto nella fraternità dal beato Francesco, egli sempre avanzò nella virtù fino a toccare la più alta perfezione.
 
 
 
 
37.
 
DELLA PENITENZA CHE INFLISSE A UN FRATELLO
 
CHE AVEVA GIUDICATO MALE UN POVERO
 
 
 
1723    Andato Francesco a predicare, in un luogo di frati presso Rocca di Brizio, accadde che nel giorno stesso in cui aveva da predicare, si presentasse a lui un povero ammalato. Preso da compassione, Francesco cominciò a parlare al suo compagno della povertà e della malattia di quello. Il compagno però rispose: «Fratello, è vero che costui sembra tanto povero, ma forse in tutta la provincia non esiste un uomo che, nel desiderio, sia più  ricco di lui ».
 
           Subito, Francesco lo rimproverò duramente, sicché il compagno confessò la sua colpa. Francesco riprese: « Vuoi fare la penitenza che ti imporrò? ». Replicò il compagno: « La farò volentieri ». Francesco riprese: « Va', svesti la tonaca e gettati così ai piedi del povero e digli in qual modo hai peccato contro di lui, denigrandolo; e digli che preghi per te ».
 
           Il compagno andò e fece tutto quello che Francesco gli aveva indicato. Fatto ciò, indossò la tonaca e tornò dal Santo. Francesco disse: « Vuoi sapere in che modo hai peccato contro il povero, anzi contro Gesù? Ebbene, quando vedi un povero, pensa a Colui nel nome del quale viene, Cristo, che prese sopra di sé la nostra povertà e infermità La povertà e infermità di questo meschino è infatti come uno specchio nel quale dobbiamo vedere e contemplare con tenerezza l'infermità e povertà che il Signore nostro Gesù Cristo portò nel suo corpo per la nostra salvezza ».
 
 
 
38.
 
COME FECE DARE UN NUOVO TESTAMENTO
 
A UNA DONNA POVERA, MADRE DI DUE FRATI
 
 
1724    Mentre dimorava a Santa Maria della Porziuncola, una donna povera e anziana, che aveva due figli nell'Ordine, venne a chiedere l'elemosina al beato Francesco.
 
           Subito il Santo disse a frate Pietro di Cattanio, allora ministro generale: « Possiamo trovare qualcosa da offrire a nostra madre? ». Era solito dire che la madre di un frate era madre sua e di tutti i fratelli. Gli rispose Pietro: « In casa non c'è niente da poterle dare, poiché lei vorrebbe un'elemosina con cui alimentarsi. E in chiesa abbiamo soltanto un Nuovo Testamento nel quale facciamo le letture durante il mattutino ». In quel tempo i frati non avevano breviari né molti salterii.
 
           Concluse Francesco: « Allora, da' a nostra madre il Nuovo Testamento, affinché lo possa vendere per sovvenire alle sue necessità. Io credo fermamente che piacerà a Dio e alla beata Vergine questo gesto più che il farci delle letture ». E così glielo diede.
 
           Potrebbe essere detto e scritto di Francesco quanto si legge a proposito di Giobbe; La compassione uscì dall'utero materno ed è cresciuta insieme a lui. E a noi, che siamo vissuti con. lui, sarebbe lungo e difficoltoso scrivere e narrare non solo le cose che dell'amore e della bontà di lui verso i fratelli e gli altri poveri apprendemmo dagli altri, ma anche quelle che abbiamo visto con i nostri occhi.
 
 
 
PARTE TERZA
 
 
 
DELLA PERFETTA UMILTA' E OBBEDIENZA
 
IN LUI E NEI FRATI
 
 
39.
 
COME SI DIMISE DAL SUPERIORATO E NOMINO'
 
MINISTRO GENERALE FRATE PIETRO DI CATTANIO
 
 
 
1725     Per osservare la virtù della santa umiltà Francesco, pochi anni dopo la conversione, davanti ai fratelli raccolti in Capitolo si dimise dal superiorato dicendo: « Da questo momento io sono morto, per voi. Ma ecco frate Pietro di Cattanio, al quale io e voi tutti dobbiamo obbedire ». E prosternandosi in terra davanti a lui, gli promise obbedienza e rispetto.
 
           I frati tutti si misero a piangere e alti gemiti strappava loro il profondo dolore, poiché si vedevano diventati orfani, in certo senso, di un Padre tanto amato.
 
           Si rialzò il Santo e levando gli occhi al cielo, giungendo le mani, disse: « Signore, affido a te la famiglia che fino ad ora hai consegnato alla mia cura e che adesso, per la malattia che tu sai, dolcissimo Signore, non essendo più in grado di provvedervi, io affido ai ministri. Essi dovranno render conto nel giorno del giudizio dinnanzi a te, Signore, se qualche frate, per loro negligenza, malesempio o correzione troppo aspra, si sia perduto ».
 
           Da quel momento, Francesco rimase suddito fino alla morte, comportandosi in ogni cosa più umilmente d'ogni altro frate.
 
 
40.
 
COME RINUNCIO' ANCHE AI SUOI COMPAGNI,
 
NON VOLENDO AVERE UN COMPAGNO SPECIALE
 
 
1726      Un'altra volta passò al suo vicario tutti i suoi compagni, dicendo: « Non voglio apparire un privilegiato, con questa prerogativa di potermi scegliere liberamente un compagno. I fratelli mi accompagnino da luogo a luogo, come Dio li ispirerà ». E soggiunse: « Ricordo di aver visto un cieco, il quale non aveva altra guida nel suo cammino che un cagnetto; bene, io non voglio apparire più privilegiato di quello ».
 
           Questa fu sempre la sua gloria: che rinunciando a ogni apparenza di privilegio e di orgoglio, abitasse in lui la virtù di Cristo.
 
 
 
41.
 
COME RINUNCIO' ALLA GUIDA DELL' ORDINE
 
A CAUSA DEI CATTIVI SUPERIORI
 
 
 
1727      Interrogato una volta da un frate, perché avesse allontanato così i frati dalla sua cura affidandoli ad altre mani, quasi non gli appartenessero, rispose: « Figlio mio, io amo i fratelli con tutto me stesso, e più ancora li amerei né mi renderei estraneo ad essi, se seguissero le mie orme. Ma ci sono alcuni superiori che li attirano su altre strade, proponendo loro l'esempio degli antichi e poco tenendo conto dei miei ammaestramenti. Ma che cosa e in che maniera essi agiscono, apparirà chiaramente alla fine ».
 
           E poco dopo, essendo stato assalito da grave malattia con grande fervore di spirito si drizzò sul letto e disse ad alta voce: « Chi sono quelli che mi strappano dalle mani il mio Ordine e i miei fratelli? Se potrò venire al Capitolo generale, mostrerò loro qual' è la mia volontà ».
 
 
 
 
 
42.
 
COME UMILMENTE PROCURAVA
 
DELLA CARNE PER I FRATI MALATI
 
E LI AMMONIVA AD ESSERE UMILI E PAZIENTI
 
 
 
1728     Non si vergognava il beato Francesco di andare a procurarsi, negli spacci delle città, della carne per un fratello malato. Tuttavia, esortava gli infermi a sopportare pazientemente le privazioni e a non lamentarsi, quando mancasse loro qualcosa.
 
           Nella prima Regola fece scrivere: « Prego i miei fratelli che, nelle loro malattie, non siano insofferenti verso i fratelli né se la prendano con Dio, e neppure siano assillati dal desiderio di medicine né troppo bramino di alleviare i dolori a una carne che ben presto morrà ed è ostile all'anima. Invece, ringrazino per ogni cosa e non desiderino che di essere nella condizione voluta da Dio.
 
           Quelli che Dio ha predestinato alla vita eterna, ve li prepara con la sferza delle avversità e malattie, come ebbe a dire lui stesso: Quelli che io amo, li flagello e castigo >>.
 
 
 
 
 
43.
 
DELL' UMILE RISPOSTA
 
DATA DAI BEATI FRANCESCO E DOMENICO,
 
QUANDO FURONO ENTRAMBI INTERROGATI DAL CARDINALE
 
SE VOLEVANO CHE I LORO FRATI
 
FOSSERO PRELATI DELLA CHIESA
 
 
 
1729      Trovandosi in Roma quei due splendidi astri dell'universo, Francesco e Domenico, incontrarono il vescovo di Ostia (che in seguito diventò sommo pontefice) e parlarono a gara cose stupende di Dio. Il cardinale poi disse loro: « Nella Chiesa primitiva, pastori e prelati erano poveri, ardenti di carità e non di cupidigia. Perché dunque non facciamo vescovi e prelati i vostri frati, che spiccano fra tutti per l'insegnamento e l'esempio? ».
 
           Sorse tra i due Santi un'umile e devota contesa, non di prevenirsi, anzi con vicendevole deferenza invitandosi l'un l'altro a rispondere. Vinse finalmente l'umiltà di Francesco a non rispondere per primo, e vinse anche Domenico che fu costretto per obbedienza a dire il suo parere per primo. Disse dunque: « Messere, i miei frati sono già innalzati, se vogliono riconoscerlo; comunque, non permetterò mai,  fin dove posso, che conseguano queste dignità ».
 
           A sua volta Francesco, inchinandosi davanti al cardinale, disse: «Messere, i miei frati si chiamano minori affinché non presumano diventare maggiori. La loro vocazione insegna loro a restare al livello comune e a seguire le orme dell'umiltà di Cristo, affinché in tal modo possano alla fine essere esaltati più che gli altri allo sguardo dei santi. Se voi volete che producano frutto nella Chiesa di Dio, teneteli e conservateli nello stato voluto dalla loro vocazione; qualora salgano in alto, ricacciateli con forza in basso, e non permettete mai che essi ascendano a una qualunque prelatura ».
 
           Queste furono le risposte dei due Santi. Finite le quali il vescovo di Ostia restò profondamente edificato e ne ringraziò immensamente Dio.
 
           Mentre i due si allontanavano insieme, Domenico chiese a Francesco che gli facesse il favore di donargli la corda di cui era cinto. Francesco ricusò per umiltà, come Domenico chiedeva spinto da carità. Vinse tuttavia la sincera devozione del chiedente, e così Domenico cinse la corda sotto la sua tonaca e da allora devotamente la portò: I'aveva ottenuta per insistenza di affetto.
 
           Poi l'uno pose le mani fra quelle dell'altro, raccomandandosi dolcemente a vicenda con fervore. Domenico disse a Francesco: «Vorrei, fratello Francesco, che il tuo e il mio divenissero un Ordine solo, e che noi vivessimo nella Chiesa sotto la stessa regola ».
 
           Nel separarsi l'uno dall'altro, Domenico disse ai molti che erano presenti: « In verità vi dico, che tutti i religiosi dovrebbero imitare questo uomo santo, Francesco, tanta è la perfezione della sua santità ».
 
 
 
44.
 
COME VOLLE, PER FONDARLI NELL' UMILTA',
 
CHE I SUOI FRATI SERVISSERO I LEBBROSI
 
 
 
1730     Agli inizi della sua nuova vita, Francesco, con l'aiuto di Dio, da sapiente edificatore, mise le fondamenta di se stesso sopra salda roccia, vale a dire sulla profonda umiltà e povertà del Figlio di Dio, chiamando il suo l'Ordine dei frati minori a motivo della massima umiltà.
 
           Perciò fin dall'avvio del suo movimento, volle che i frati dimorassero negli ospedali dei lebbrosi per servirli. e così ponessero il fondamento dell'umiltà. Quando entravano nell'Ordine, nobili o no, tra le altre cose che venivano loro esposte, si diceva ch'era necessario servissero i lebbrosi e abitassero nelle loro case. Prescrizione che si contiene nella prima Regola: « Non vogliate possedere nulla sotto il cielo, se non la santa povertà, in virtù della quale siete nutriti da Dio, in questo mondo, di cibi per il corpo e per lo spirito, e in futuro conseguirete l'eredità celeste ».
 
           Così dunque, per sé e per gli altri, egli stabilì l'Ordine sulla più perfetta umiltà e povertà. E pur essendo un alto prelato nella Chiesa di Dio, scelse e volle esser messo in disparte, non solo nella gerarchia ecclesiastica, ma anche in mezzo ai suoi fratelli. Nel suo ideale e nel suo desiderio, questo umiliarsi è la più grande elevazione davanti a Dio e agli uomini.
 
 
 
45.
 
COME VOLEVA SI ATTRIBUISSE A DIO SOLTANTO
 
ONORE E GLORIA PER TUTTE LE BUONE PAROLE
 
E OPERE SUE
 
 
 
1731      Avendo Francesco predicato al popolo di Terni in una piazza della città, finito il discorso, il vescovo del luogo, uomo prudente e di viva spiritualità, si alzò e disse alla gente: « Il Signore, fin da quando piantò e costruì la sua Chiesa, sempre la illuminò con santi uomini, che l'hanno onorata con la parola e l'esempio. E ai nostri tempi, la rende luminosa per mezzo di questo poverello, umile e illetterato uomo, Francesco. Per questo siete obbligati ad amare il Signore, a onorarlo, a sfuggire i peccati: invero, Dio non ha fatto una cosa simile per nessun'altra nazione ».
 
           Pronunziate tali parole, il vescovo discese dal luogo dove aveva parlato e entrò nella cattedrale. Francesco gli si avvicinò, gli fece l'inchino e cadendo ai suoi piedi esclamò: « Messer vescovo, vi dico sinceramente che nessun uomo mi ha fatto tanto onore sulla terra, quanto me ne avete fatto voi oggi; poiché gli altri dicono: -- Questo è un santo! --, attribuendo così a me e non al Creatore la gloria e la santità. Ma voi, quale uomo di gran discernimento, avete separato ciò che è prezioso da ciò che è vile».
 
 
1732   Quando lo esaltavano e chiamavano santo, Francesco rispondeva: «Non sono ancora sicuro che non avrò figli e figlie! Poiché in qualunque momento il Signore può riprendersi il tesoro che mi ha affidato. E allora, che altro mi rimarrebbe se non il corpo e l'anima, che hanno anche i non credenti? Anzi, sono convinto che se il Signore avesse largito tanti benefici a un qualunque delinquente o non credente quanti ne ha conferiti a me, quelli sarebbero più fedeli che io non sia.
 
           
 
1733   E come in una pittura su tavola, raffigurante il Signore o la beata Vergine, si onora il Signore e la beata Vergine, non già il legno o la pittura in sé; così il servo di Dio è una pittura di Dio,  nella quale è onorato Dio per il suo beneficio. Il servo nulla deve attribuire a se stesso, poiché in confronto a Dio è meno che legno e pittura. Nulla è completamente puro, e perciò a Dio solo va dato onore e gloria, a noi vergogna e tribolazione, finché viviamo tra le miserie di questa vita ».
 
 
46.
 
COME VOLLE, FINO ALLA MORTE,
 
AVERE COME GUARDIANO UNO DEI SUOI COMPAGNI,
 
E VIVERE SUBORDINATO
 
 
 
1734   Volendo vivere in perfetta umiltà e soggezione fino alla morte, parecchio tempo prima del suo trapasso disse al ministro generale: «Vorrei che tu trasmetta l'autorità che hai su di me a uno dei miei compagni, affinché gli obbedisca al tuo posto. Per il vantaggio che mi reca la virtù dell'obbedienza, voglio che essa resti sempre con me, in vita e in morte ». Così fino alla sua morte, ebbe come guardiano uno dei compagni e gli obbediva in luogo del ministro generale.
 
           Una volta disse ai compagni: « Questa grazia, tra altre, mi ha fatto il Signore: che obbedirei con lo stesso slancio a un novizio entrato oggi stesso nell'Ordine, come a chi sia primo e più anziano nella nostra fraternità, se mi fosse assegnato come guardiano. Il suddito deve considerare il suo superiore non come un uomo, ma come Dio, per amor del quale si è a lui sottomesso ».
 
           Disse poi: « Non c'è superiore in tutto il mondo che tanto sia temuto dai sudditi, quanto il Signore farebbe che fossi temuto io dai miei fratelli, se lo volessi. Ma il Signore mi ha donato questa grazia, di voler essere contento di tutto, come il più piccolo nell'Ordine ».
 
           E vedemmo questo con i nostri occhi, noi che siamo vissuti con lui. Se talora alcuni frati non avevano soddisfatto alle sue necessità o gli avevano rivolto parole da cui un uomo suole sentirsi ferito, Francesco andava subito a pregare e, tornando, non voleva ricordarsi di nessun torto. E mai diceva: « Il tale non mi ha soddisfatto, quell'altro mi ha detto questa parola >>.
 
           Perseverando in questo spirito, quanto più si avvicinava alla morte, tanto più era sollecito nel pensare in che modo potesse vivere e morire in ogni umiltà e povertà e nella perfezione di tutte le virtù.
 
 
 
47.
 
DEL PERFETTO MODO DI OBBEDIRE DA LUI INSEGNATO
 
 
 
1735  Diceva il Padre santissimo ai suoi frati:
 
           « Carissimi fratelli, obbedite al comando alla prima parola, non aspettate che vi si ripeta l'ordine. Non avanzate a pretesto l'impossibilità, poiché anche se io vi comandassi qualcosa di superiore alle vostre forze, la santa obbedienza supplirà ».
 
 
48.
 
COME PARAGONAVA IL PERFETTO OBBEDIENTE
 
A UN CADAVERE
 
 
1736  Un'altra volta sedendo tra i suoi compagni sospirava: « C'è appena qualche religioso al mondo, che obbedisca bene al suo prelato ».
 
           Subito i compagni domandarono: « Padre, di' a noi qual è perfetta e somma obbedienza ». In risposta, il Santo si mise a descrivere il vero e perfetto obbediente, paragonandolo a un morto: « Prendi un corpo esanime e mettilo dove ti piace. Se lo muovi, vedrai che non rilutta, se lo lasci fermo, lui non mormora; lo butti via di là, lui non reagisce. Lo assidi in cattedra, e lui invece che guardare in su, ciondola il capo giù; lo avvolgi nella porpora, si fa ancora più pallido. L'autentico obbediente, se lo sposti, non chiede il perché, non si cura dove venga messo, non insiste per essere inviato altrove. Promosso a una carica, conserva la Sua umiltà solita; più lo si onora, più si ritiene indegno ».
 
           Francesco diceva sacre le obbedienze ingiunte con spontanea schiettezza, non quelle richieste. Riteneva somma obbedienza, non inquinata dalla carne e dal sangue, quella di recarsi per ispirazione divina tra gli infedeli per salvare le anime o per desiderio del martirio. Chiedere tale obbedienza egli giudicava fosse molto gradito a Dio.
 
 
 
49.
 
COME E' PERICOLOSO
 
SIA DARE ORDINI IN MANIERA PRECIPITOSA,
 
SIA NON OBBEDIRE AL COMANDO
 
 
1737   Il padre santo era convinto che raramente bisogna comandare per obbedienza, poiché non si deve scoccare immediatamente il dardo, che va usato come ultima risorsa. Diceva: « Non bisogna mettere subito mano alla spada! ». E aggiungeva: «Chi non obbedisce senza indugi al precetto dell'obbedienza, è uno che non ha timore di Dio né rispetto per gli uomini, a meno che non abbia un motivo evidente per tardare».
 
           Niente di più vero, giacché l'autorità del comando in un superiore irragionevole che altro è, se non una spada nella mano di un pazzo? E d'altra parte, cos'è più desolante di un religioso che trascuri o disprezzi l'obbedienza?
 
 
 
 
50.
 
COME RISPOSE Al FRATI CHE VOLEVANO PERSUADERLO
 
A CHIEDERE IL PRIVILEGIO
 
PER POTER PREDICARE LIBERAMENTE
 
 
 
1738  Alcuni frati dissero al beato Francesco: « Padre, non vedi che i vescovi a volte non ci permettono di predicare e ci fanno stare per più giorni senza far nulla in una città, prima di autorizzarci ad annunziare la parola del Signore? Meglio sarebbe che tu impetrassi dal signor Papa un privilegio su questo punto: si tratta della salvezza delle anime ».
 
           Egli rispose loro rimproverandoli duramente: « Voi, frati minori, non conoscete la volontà di Dio e non permettete che io converta il mondo nel modo stabilito da Dio. Io voglio convertire per primi i prelati a mezzo della santa umiltà e riverenza; essi, vedendo la nostra santa vita e il nostro umile rispetto verso di loro, vi pregheranno di predicare e convertire il popolo, e lo inviteranno alla vostra predicazione molto meglio che con questi privilegi, che vi trascinano alla superbia.
 
           E se starete lontani da ogni cupidigia e avrete convinto il popolo a soddisfare ai suoi doveri verso le chiese, i vescovi vi pregheranno di ascoltare le confessioni della loro gente, sebbene di ciò non dobbiate curarvi, poiché se sono veramente convertiti troveranno con facilità dei confessori. Io voglio da Dio questo privilegio per me: di non avere dall'uomo privilegio alcuno, fuorché di portare a tutti rispetto e, in ossequio alla santa Regola, convertire gli uomini più con l'esempio che con le parole ».
 
 
 
 
51.
 
COME SI RICONCILIAVANO I FRATI Dl QUEL TEMPO,
 
QUANDO UNO AVESSE RATTRISTATO L' ALTRO
 
 
 
1739   Affermava san Francesco che i frati minori erano stati inviati dal Signore in questi ultimi tempi, affinché dessero esempi di luce a quanti erano avvolti nella caligine dei peccati. Diceva di percepire profumi soavissimi e di esser inebriato dall'emanazione di un unguento prezioso, allorché udiva le meraviglie compiute da tanti santi frati sparsi nel mondo.
 
           Un giorno capitò che un frate, alla presenza di un nobiluomo dell'isola di Cipro, scagliò delle ingiurie contro un altro frate. Quando il primo vide amareggiato colui verso il quale aveva inveito, se la prese subito contro se stesso, accattò un pezzo di sterco d'asino, se lo cacciò in bocca e lo morse dicendo: « Mastichi sterco la lingua che ha sprizzato sul fratello il veleno della rabbia ». Quel nobile, a tale scena, restò attonito e fortemente edificato; e in seguito mise se stesso e le sue cose a disposizione dei frati.
 
 
1740    Era abitudine comune che, quando qualche fratello ingiuriasse o contristasse un altro, immediatamente si gettava a terra baciando i piedi dell'offeso e domandava umilmente perdono. E il padre santo esultava quando sentiva che i suoi figli sapevano offrire simili esempi di santità e colmava di commoventi benedizioni quelli che, con la parola e con l'esempio, inducevano i peccatori all'amore di Cristo. Essendo riboccante di zelo verso le anime, voleva che i suoi figli somigliassero pienamente a lui.
 
 
 
 
52.
 
COME CRISTO SI LAMENTO' CON FRATE LEONE,
 
COMPAGNO DI SAN FRANCESCO,
 
DELL' INGRATITUDINE E DELL' ORGOGLIO DEI FRATI
 
 
 
1741  Il Signore nostro Gesù Cristo parlò una volta a frate Leone, compagno di san Francesco: « Frate Leone, ho da lamentarmi dei frati ». Domandò Leone: « Per quale motivo, Signore? >>. E il Signore: «Per tre cose: perché non sono riconoscenti dei benefici che così largamente e generosamente riverso su di loro, che, come tu sai, non seminano e non mietono. E perché tutto il giorno lo passano a mormorare e senza far niente. Perché spesso si provocano l'un l'altro all'ira, e non tornano all'amore reciproco né perdonano le ingiurie ricevute ».
 
 
53.
 
COME UMILMENTE E SINCERAMENTE RISPOSE
 
A UN DOTTORE DELL' ORDINE DEI PREDICATORI,
 
CHE LO INTERROGAVA SU UN PASSO DELLA SCRlTTURA
 
 
 
1742   Mentre dimorava presso Siena, venne a lui un dottore in teologia, dell'Ordine dei Predicatori persona umile e di profonda spiritualità. Essendosi intrattenuto con Francesco su parole del Signore, il maestro lo interrogò sul passo di Ezechiele: Se non smascheri all'empio la sua empietà, chiederò conto a te dell'anima di lui. Disse: « Conosco molti, o padre buono, che vivono in peccato mortale, e ai quali non denuncio il loro stato perverso. Dovrò io rendere conto della loro perdizione? ».             Francesco rispose umilmente di essere ignorante, e che gli conveniva piuttosto farsi ammaestrare anziché commentare questa frase biblica. Il maestro insistette: «Fratello, effettivamente ho udito la spiegazione di queste parole data da alcuni specialisti; eppure, sarei felice di sentire la tua opinione in proposito ».
 
           Allora Francesco disse: «Se il passo va inteso in generale, io lo spiegherei così. Il servo di Dio deve talmente ardere e risplendere di vita e santità in se stesso, da biasimare con la luminosità dell'esempio e con la lingua di un santo comportamento, tutti i malvagi In tal modo, secondo me, lo splendore di lui e il profumo della sua reputazione svelerà a tutti le loro iniquità ».
 
           Il dottore si accomiatò molto edificato, e disse ai Compagni di Francesco: « Fratelli miei, la teologia di quest'uomo, attinta a purità e contemplazione, è aquila che vola; mentre la nostra scienza striscia col ventre a terra ».
 
 
 
 
54.
 
DELLA UMILTA' E PACE CHE I FRATI DEVONO AVERE
 
CON GLI ECCLESIASTICI
 
 
 
1743    Sebbene Francesco volesse che i suoi figli fossero in pace con tutti gli uomini e si facessero piccoli davanti a tutti, tuttavia insegnò loro con la parola e mostrò con l'esempio ad essere umili soprattutto verso il clero.
 
           Diceva: « Noi siamo stati inviati in aiuto al clero per la salvezza delle anime. E se loro hanno delle lacune, tocca a noi supplirvi.  Sappiate che ognuno riceverà dal Signore la mercede a misura del suo lavoro, non in rapporto al grado. Miei fratelli, la cosa più gradita a Dio è la conquista delle anime, e noi possiamo più agevolmente conseguire questo fine vivendo in pace col clero, anziché in discordia. Se poi osano impedire la salvezza dei popoli, spetta a Dio vendicarsi, sarà lui a ripagarli come meritano, al momento opportuno .
 
           Siate perciò sottomessi ai prelati affinché, per quanto sta in voi, non abbia a destarsi una riprovevole gelosia. Se voi vi sarete comportati da figli della pace, conquisterete a Dio il clero e il popolo, e questo è ben più gradito al Signore che conquistare il popolo scandalizzando il clero. Ricoprite, quindi, i loro sbagli, supplite alle loro deficenze; e quando avrete agito così, siate ancora più umili ».
 
 
 
55.
 
COME ACQUISTO' UMILMENTE LA CHIESA
 
DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI
 
DALL' ABATE DI SAN BENEDETTO IN ASSISI
 
E VOLLE CHE I FRATI VI ABITINO SEMPRE
 
E VIVANO IN UMILTA'
 
 
 
1744     Vedendo il beato Francesco che il Signore voleva moltiplicare il numero dei frati, disse loro: « Carissimi fratelli e figlioli miei, vedo che il Signore ci vuole moltiplicare! Mi sembra perciò saggio e religioso che acquistiamo una chiesa dal vescovo, o dai canonici di San Rufino o dall'abate di San Benedetto. Ivi i fratelli potranno recitare le ore liturgiche e lì presso avere una piccola casetta poverella, costruita di fango e vimini, dove riposare e lavorare. Il luogo dove stiamo ora non è conveniente né sufficiente ai frati, adesso che il Signore ci sta moltiplicando; tra l'altro, non abbiamo una chiesa dove poter dire l'ufficio. Se poi qualche frate venisse a morte, non sarebbe dignitoso sotterrarlo qui e nemmeno in una chiesa del clero secolare ». I frati approvarono tutte queste parole.
 
           Andò Francesco dal vescovo di Assisi e gli riferì quanto sopra. Gli rispose: «Francesco, non ho nessuna chiesa che sia in mio potere cedervi ». La stessa cosa dissero i canonici.
 
           Allora si recò dall'abate benedettino del monte Subasio, ed espose a lui la stessa richiesta. L'abate, mosso da compassione, dopo aver tenuto consiglio con i suoi monaci guidato dalla grazia e volontà divina, concesse al beato Francesco e ai suoi frati la chiesa della Beata Maria della Porziuncola, che era la più piccola e povera chiesa che avevano. E disse l'abate: « Ecco, fratello, abbiamo esaudito la tua richiesta. Se il Signore moltiplicherà il vostro gruppo, vogliamo che questo luogo sia a capo di tutte le vostre chiese ».
 
           Francesco e i suoi frati furono d'accordo su questa condizione. Il Santo fu molto felice per il posto concesso ai frati, soprattutto perché la chiesa era dedicata alla Madre di Cristo, ed era così piccola e povera, e inoltre perché era denominata Porziuncola, quasi preconizzando che sarebbe capo e madre dei poveri frati minori. Si  chiamava con quell'appellativo fin da tempi remoti, alludendo alla modesta estensione della proprietà.
 
           Francesco era solito dire: « Per questo ha voluto il Signore che ai frati non fosse ceduta nessun'altra chiesa, e che i primi frati non erigessero una chiesa nuova e non avessero che quella. Con l'arrivo dei frati minori si è realizzata una profezia ».
 
           E sebbene fosse piccola e diroccata, tuttavia per lungo tempo gli abitanti di Assisi e di tutta quella zona ebbero gran devozione a quella chiesa. Oggi le sono ancor più affezionati, e l'attaccamento cresce ogni giorno.
 
           Da quando i frati si stabilirono colà, il Signore quasi quotidianamente moltiplicava il loro numero, e la loro buona fama si sparse mirabilmente per tutta la valle Spoletana e per molte parti del mondo. In antico era chiamata Santa Maria degli Angeli perché, come si dice, vi furono spesso uditi canti angelici.
 
           L'abate e i monaci avevano concesso la chiesa a Francesco e ai suoi frati per pura generosità; ma il Santo da saggio ed esperto costruttore che vuole fondare la propria casa, cioè l'Ordine, sulla salda roccia della totale povertà, mandava ogni anno a quell'abate e ai monaci un canestro di piccoli pesci, chiamati lasche, in segno di grande umiltà e povertà, come ad attestare che i frati non avevano in proprietà nessun luogo e non intendevano dimorare in alcun posto che non fosse sotto il dominio altrui, e quindi non avessero facoltà di alienarlo. Quando dunque i frati portavano annualmente ai monaci quei pesciolini, i monaci, in omaggio all'umiltà di Francesco che compiva quel gesto di sua spontanea volontà, ricambiavano il dono con una giara di olio.
 
 
1745     Noi, che siamo vissuti con il beato Francesco, attestiamo che egli affermò, parlando di quella chiesa, come gli era stato rivelato che, per le molte prerogative largite ivi dal Signore, la beata Vergine amava affettuosamente questa fra tutte le altre chiese del mondo. E per questo motivo, il Santo aveva massima riverenza e devozione verso la chiesetta e, affinché i frati sempre ne conservassero in cuore la memoria, alla sua morte fece scrivere nel Testamento che i frati condividessero il suo attaccamento. Infatti, vicino ormai a morire, davanti al ministro generale e ad altri fratelli dettò: « Ordino che il luogo di Santa Maria della Porziuncola sia lasciato per testamento ai frati, in modo che sia da loro tenuto nella massima devozione e riverenza ».
 
           I nostri antichi frati eseguirono questa volontà. Sebbene questo luogo sia già santo e prediletto da Cristo e dalla Vergine gloriosa, tuttavia i frati incentivavano quel carattere di santità pregando ininterrottamente e conservando il silenzio giorno e notte. Se talvolta parlavano, nei limiti stabiliti dalla legge del silenzio, lo facevano invariabilmente con la più viva devozione, trattando solo di argomenti concernenti la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Se accadeva che qualcuno cominciasse a dire parole oziose e inutili, benché ciò succedesse di raro, veniva immediatamente corretto da un fratello.
 
           Mortificavano la loro carne con molti digiuni, con veglie numerose, patendo il freddo a causa degli indumenti insufficienti, lavorando con le proprie mani. Molte volte, per non stare in ozio, aiutavano i poveri contadini nelle fatiche dei campi, e venivano retribuiti con del pane offerto per amore di Dio. Con queste e altre virtù santificavano quel luogo e mantenevano nella santità se stessi.
 
           Ma più tardi, per il via vai di frati e di secolari che vi affluivano più numerosi del consueto, e perché i frati sono più freddi nell'orazione e nelle opere virtuose, e hanno minore ritegno nel proferire parole oziose e chiacchiere sulle novità di questo mondo, questo luogo non viene più tenuto in quella riverenza e devozione, come si era fatto fino allora e come si vorrebbe.
 
           Come Francesco ebbe detto quelle parole, acceso subitamente da grande fervore concluse: « Voglio pertanto che questo luogo sia sempre sotto il diretto potere del ministro generale e servo, affinché egli abbia la più gran cura e preoccupazione nel provvedere ivi una fraternità buona e santa. Che i chierici siano scelti fra i migliori, i più santi e virtuosi dei fratelli, coloro che sanno dire meglio l'ufficio liturgico, in maniera che non solo i secolari, ma anche gli altri frati vedano e ascoltino volentieri e con gran devozione.
 
           Voglio ancora che i fratelli laici siano scelti, per loro servizio, fra gli uomini santi, discreti, umili e virtuosi. Voglio altresì che nessuna persona e nessun frate entri in questa fraternità, ad eccezione del ministro generale e dei suoi assistenti. Ed essi non parlino con nessuna persona, se non con i frati addetti al loro servizio e con il ministro generale quando venga a visitarli. E i fratelli laici siano obbligati a non dire loro parole oziose e a non riferire le novità di questo mondo e insomma nulla che non sia utile alle anime loro
 
           E voglio fermamente che nessuno entri in questo luogo, così che i frati ivi dimoranti meglio conservino la loro purità e santità, e nulla si faccia o dica di inutile, ma tutto il luogo rifulga di purezza e santità, in inni e lodi al Signore. E quando qualcuno dei frati migrerà al Signore, voglio che al suo posto sia inviato dal ministro generale un altro fratello, dovunque dimori. Ché se le altre  comunità si allontanano da purità e onestà, voglio che questo luogo benedetto rimanga sempre specchio e buon esempio dell'intero Ordine, come un candelabro sempre ardente e luminoso dinanzi al trono di Dio e alla beata Vergine. E a motivo di ciò, il Signore sia misericordioso verso le mancanze e colpe di tutti i frati, e protegga questo Ordine, sua piccola pianta ».
 
 
56.
 
DELL' UMILE RIVERENZA
 
CHE MOSTRAVA VERSO LE CHIESE,
 
SCOPANDOLE E RIPULENDOLE
 
 
 
1746    Mentre stava presso Santa Maria della Porziuncola e i frati erano ancora pochi Francesco andava per i villaggi e le chiese dei dintorni di Assisi, annunziando e predicando agli uomini che facessero penitenza. Portava con sé una scopa per pulire le chiese sudicie. Ci soffriva molto quando vedeva una chiesa non linda come avrebbe voluto.
 
           E perciò, finita la predica, faceva riunire in disparte, per non essere udito dalla gente i preti che erano presenti, e parlava loro della salvezza delle anime e soprattutto che fossero solleciti nel conservare pulite le chiese e tutta la suppellettile che si adopera per celebrare i divini misteri.
 
 
 
57.
 
DEL CONTADINO CHE LO TROVO' MENTRE SCOPAVA UNA CHIESA
 
E COME, CONVERTITOSI
 
ENTRO'  NELL' ORDINE E FU UN SANTO FRATE
 
 
 
1747      Andato nella chiesa d'un villaggio del contado di Assisi, Francesco cominciò a scoparla e pulirla umilmente. Se ne sparse tosto la voce per tutto il villaggio, poiché la gente lo vedeva volentieri e ancor più volentieri lo ascoltava. Venuto a sapere la cosa un contadino di mirabile semplicità, di nome Giovanni, che stava arando il suo campo, andò difilato da Francesco e lo trovò a scopare la chiesa con tutta umiltà e devozione. E gli disse: « Fratello dammi la scopa, voglio aiutarti ». Gliela prese dalle mani e finì le pulizie.
 
           Poi sedettero insieme. Disse il contadino: « Fratello, è già gran tempo che ho volontà di servire Dio, specialmente dopo aver udito parlare di te e dei tuoi frati; ma non sapevo come venire con te. Ora però, dal momento che è piaciuto a Dio che ti vedessi, voglio fare tutto quello che piacerà a te ».
 
           Il beato Francesco, considerando il fervore di quell'uomo, esultò nel Signore, specie perché a quel tempo aveva pochi frati e gli sembrava che quello, per la sua semplice purità, sarebbe un buon religioso. Gli rispose dunque: « Fratello, se vuoi far parte della nostra vita e della nostra fraternità, bisogna che tu ti espropri di tutte le cose che possiedi onestamente, e le dia ai poveri, secondo la prescrizione del Vangelo. La stessa cosa hanno fatto tutti i miei frati che l'hanno potuto ».
 
           Sentito questo, Giovanni si recò subito nel campo dove aveva lasciato i buoi, li sciolse, e ne condusse uno davanti a Francesco, e gli disse: « Fratello, per tanti anni ho lavorato per mio padre e i miei di casa, e sebbene la mia parte di eredità sia ben piccola, voglio che tu riceva questo bue da me e lo doni ai poveri nel modo che ti piacerà ».
 
           Vedendo i genitori e i fratelli (questi erano ancora piccoli) che Giovanni voleva abbandonarli, cominciarono tutti a piangere così forte e a innalzare voci così lamentose, che Francesco ne fu mosso a pietà. Era una famiglia numerosa e miserabile. Francesco disse loro: « Preparate del cibo per tutti, mangeremo insieme, e non piangete, poiché vi renderò felici ». Quelli subito apparecchiarono la mensa e tutti insieme mangiarono con grande allegria.
 
           Finito che ebbero di mangiare, Francesco disse: « Questo vostro figlio vuole servire Dio, e di ciò non dovete contristarvi, ma essere contenti. Infatti, state per avere un grande onore e un gran vantaggio per le vostre anime, non solo davanti a Dio ma anche davanti alla gente, poiché Dio sarà onorato da uno del vostro sangue e tutti i nostri frati saranno vostri figli e vostri fratelli. Io non posso e non devo ridarvi vostro figlio, perché è creatura di Dio e lui intende servire il suo Creatore, un servire che è regnare. Ma, a vostro conforto, io voglio che egli ceda a voi, che siete poveri, questo bue che gli appartiene; sebbene, secondo il Vangelo, dovesse darlo ad altri ». E quelli furono consolati dalle parole di Francesco, specialmente perché venne loro lasciato il bue, poiché erano molto poveri.
 
           A Francesco piaceva immensamente la pura e santa semplicità in sé e negli altri; così rivestì del saio Giovanni e lo conduceva in giro con sé come compagno. Era questi di tale semplicità, che si faceva un dovere di imitare tutto quello che faceva Francesco. Quando il Santo stava in qualche luogo in una chiesa in preghiera, Giovanni voleva osservarlo, per uniformarsi fedelmente a tutti i suoi atti e gesti. Se Francesco piegava le ginocchia o alzava le mani al cielo, o sputava o sospirava, anche lui faceva lo stesso. Quando Francesco se ne accorse cominciò gaiamente a rimproverarlo di tanta semplicità. Giovanni gli rispose: « Fratello, ho promesso di fare tutto quello che fai tu, e perciò bisogna che io mi uniformi a te in ogni cosa ».
 
           Vedendo in lui tale purezza e semplicità, Francesco ne era ammirato e straordinariamente felice. Giovanni faceva tali progressi nella virtù, che Francesco e tutti gli altri frati erano stupiti di quella perfezione. E dopo breve tempo, Giovanni morì in questo santo slancio di virtù. E Francesco, quando in seguito narrava la vita di lui con grande gioia di mente e di cuore, non lo chiamava « frate Giovanni », ma « santo Giovanni ».
 
 
 
 
58.
 
COME PUNI' SE STESSO,
 
MANGIANDO NELLA SCODELLA DI UN LEBBROSO  
 
PERCHÉ GLI AVEVA FATTO VERGOGNA
 
 
 
1748   Di ritorno alla chiesa della Porziuncola, Francesco trovò fratello Giacomo il semplice in compagnia di un lebbroso devastato dalle ulceri. Era stato lui ad affidargli quel lebbroso e tutti gli altri che incontrasse, perché si sentiva come il medico di quei poveretti e toccava, ripuliva, curava le loro piaghe senza nausea. A quei tempi i frati dimoravano nei lebbrosari.
 
 
           Disse Francesco a Giacomo con tono quasi di rimprovero: « Non dovresti condurre fuori dal loro ospedale questi cristiani, perché non è conveniente né per te né per loro! ». Voleva, sì, che li servisse, ma non che menasse fuori dal lebbrosario quelli che erano coperti di piaghe, poiché la gente ne aveva orrore. Ma Giacomo era così ingenuo, che li accompagnava dall'ospedale fino alla chiesa della Porziuncola, come avrebbe fatto con dei frati. Francesco soleva chiamare i lebbrosi « fratelli cristiani ».
 
           Ma subito Francesco si pentì delle parole che aveva proferito, pensando che il lebbroso era stato umiliato per il rimprovero rivolto al fratello Giacomo. E però, volendo dare soddisfazione a Dio e al lebbroso, confessò la sua colpa a frate Pietro di Cattanio, allora ministro generale, e aggiunse: « Voglio che tu approvi la penitenza che ho scelto di fare per questo peccato, e che non mi contraddica ». Rispose Pietro: «Fratello, fa' quello che ti piace ». Egli aveva tanta venerazione e timore, che non osava contraddire Francesco, sebbene spesso ne restasse afflitto
 
           Allora Francesco disse: « Questa sia la mia penitenza: che io mangi con il fratello cristiano nella stessa scodella ». E sedette a mensa con il lebbroso e gli altri frati, e tra Francesco e il lebbroso fu posto un unico piatto.
 
           Era quell'infermo tutto piaghe, faceva ribrezzo, specie per le dita contratte e sanguinolente, con le quali tirava su i bocconi dal piatto; e quando vi immergeva le mani, ne colava sangue e pus. Vedendo questa scena, frate Pietro e gli altri ne furono profondamente contristati, ma non osavano dir nulla, per timore e riverenza verso il santo padre.
 
           Chi scrive questo episodio, ha visto la scena e ne è testimone .
 
 
 
 
59.
 
COME MISE IN FUGA I DEMONI
 
CON PAROLE DI UMILTA'
 
 
 
1749    Una volta andò Francesco alla chiesa di San Pietro di Bovara, presso il castello di Trevi, nella valle Spoletana, e con lui  c'era frate Pacifico, che al secolo veniva chiamato: « Re dei versi », uomo nobile, cortese e maestro nell'arte del canto.
 
           Quella chiesa era abbandonata. Disse Francesco a frate Pacifico: «Torna pure al lebbrosario poiché stanotte voglio rimanere qui da solo. Tornerai da me domani di buon'ora ».
 
           Essendo rimasto solo e avendo recitato compieta e altre orazioni, voleva riposarsi e dormire, ma non vi riuscì. La sua anima cominciò ad aver paura, il suo corpo a tremare, avvolto da suggestioni diaboliche. Il Santo uscì di chiesa e si fece il segno della croce, dicendo: « Da parte di Dio onnipotente, io vi ingiungo, o demoni, che esercitiate sul mio corpo il potere concesso a voi dal Signore Gesù Cristo, poiché sono pronto a sopportare qualunque cosa. Essendo il mio corpo il peggior nemico che io abbia, prendete pure vendetta del mio peggiore nemico ».
 
           E tosto quelle suggestioni cessarono del tutto, e tornato al luogo ove s'era messo a giacere, dormì in pace.
 
 
 
 
60.
 
DELLA VISIONE CONTEMPLATA DA FRATE PACIFICO
 
IN CUI UDI' CHE IL TRONO DI LUCIFERO
 
ERA RISERVATO ALL' UMILE FRANCESCO
 
 
 
1750    Sul far del mattino frate Pacifico tornò a lui. Francesco stava allora in orazione davanti all'altare, e Pacifico si pose ad aspettarlo fuori del coro, in preghiera dinnanzi al Crocifisso. E messosi a pregare, fu elevato e rapito in cielo,--se con il corpo o fuori del corpo, solo Dio lo sa, --e vide in cielo molti troni, fra i quali uno più alto e glorioso di tutti, fulgente e adorno d'ogni sorta di pietre preziose. Ammirandone la bellezza, cominciò a pensare fra di sé di chi fosse quel trono. E subito uscì una voce: « Questo fu il trono di Lucifero, e in luogo di lui vi si assiderà l'umile Francesco ».
 
           Tornato in sé, ecco uscire verso di lui Francesco. Pacifico gli cadde ai piedi con le braccia strette a croce. Considerandolo come già in cielo, assiso su quel trono, gli disse: « Padre, perdonami, e prega il Signore che abbia pietà di me e rimetta i miei peccati ». Francesco tese la mano e lo tirò su, e comprese che nella preghiera aveva avuto una visione. Appariva infatti tutto trasfigurato e parlava a Francesco, non come a uno vivente nella carne, ma quasi già regnante in cielo.
 
           Poiché Pacifico non voleva raccontare al Santo la visione, cominciò a parlare di argomenti del tutto estranei e tra l'altro domandò: «Fratello, che pensi di te stesso?». Rispose Francesco: << Mi sembra di essere più peccatore di chiunque altro al mondo ». Immediatamente all'anima di Pacifico fu detto: « Da ciò puoi conoscere che la visione risponde a verità. Come Lucifero venne cacciato da quel trono per la sua superbia, così Francesco meriterà per la sua umiltà di essere esaltato e di assidervisi ».
 
 
 

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