Specchio di perfezione - parte2 - Ordine Francescano Secolare - fraternità di Monza

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L’ Ordine Francescano Secolare è costituito da cristiani che per una vocazione specifica, mediante una Professione Solenne, si impegnano a vivere il Vangelo alla maniera di San Francesco, nel proprio stato secolare, osservando una Regola specifica approvata dalla Chiesa.
SPECCHIO DI PERFEZIONE
Traduzione di
VERGILIO GAMBOSO
Note di
FELICIANO OLGIATI

61.
 
COME SI FECE TRASCINARE NUDO,
 
CON LA CORDA  AL COLLO,
 
DAVANTI AL POPOLO

 
 
 
1751   Un'altra volta, essendo un po' migliorato da una gravissima malattia, gli parve di aver mangiato qualcosa di speciale durante quella infermità, sebbene si fosse nutrito scarsamente. Levatosi un giorno, pur non interamente riavutosi dalla febbre quartana, fece convocare il popolo di Assisi in piazza per la predica. Finito il discorso, comandò al popolo che nessuno si movesse di là fino ai suo ritorno. Entrato nella cattedrale di San Rufino con molti fratelli, fra cui Pietro di Cattanio ch'era stato canonico di quella chiesa e poi eletto ministro generale da san Francesco, ordinò allo stesso Pietro, in nome dell'obbedienza, di fare senza contrasto quanto stava per dirgli. Frate Pietro rispose: « Fratello, non posso e non devo volere e fare di me e di te che quello che ti piace ».
 
           Allora Francesco si spogliò della tonaca e ordinò di trascinarlo nudo, con una corda legata al collo, alla presenza del popolo, fino al posto dove aveva predicato. A un altro frate comandò di procurarsi una scodella piena di cenere e di salire al luogo dove aveva predicato e, quando l'avessero trascinato colà gettargliela in faccia. Ma questi non obbedì, per la troppa compassione e pietà che provava verso il Santo.
 
           E frate Pietro afferrando la corda legata al collo di lui, se lo trascinava dietro secondo l'ordine ricevuto, ma piangendo ad alta voce, mentre gli altri frati gli facevano coro con lacrime di compassione e di amarezza.
 
           Quando fu così trascinato nudo, davanti al popolo, al luogo dove aveva predicato, il Santo disse: « Voi e tutti quelli che seguendo il mio esempio lasciano il mondo ed entrano nell'Ordine, credete che io sia un uomo santo. Ma confesso a Dio e a voi che durante questa mia infermità ho mangiato carne e brodo di carne ». Quasi tutti cominciarono a piangere, toccati da viva compassione, specie perché era d'inverno e faceva freddo intenso, e non era ancora guarito dalla febbre quartana.
 
           Si battevano il petto e si accusavano: « Se per una necessità giusta ed evidente questo santo uomo si dichiara in colpa, sottomettendo il suo corpo a tale scempio, lui che ben sappiamo condurre una vita  santa e che vediamo vivo in un corpo che gli è quasi premorto a causa della durissima astinenza ed austerità: cosa faremo noi miserabili, che tutto il tempo della nostra vita siamo vissuti e continuiamo a vivere secondo il desiderio della carne? ».
 
 
 
 
62.
 
COME VOLEVA CHE FOSSE NOTO A TUTTI
 
QUANDO IL SUO CORPO RICEVEVA
 
DEI TRATTAMENTI SPECIALI
 
 
 
1752    Facendo la quaresima di san Martino in un romitaggio, prese dei cibi conditi con lardo, a causa delle sue malattie per le quali l'olio era dannoso. Finita la quaresima, mentre predicava a una grande folla, disse esordendo: « Voi siete venuti a me con gran devozione, credendo che io sia un sant'uomo; ma confesso a Dio e a voi, che durante questa quaresima ho mangiato cibi conditi con lardo ».
 
           Quasi sempre, anche quando andava a mensa presso qualche secolare, oppure quando i frati gli cucinavano una portata delicata per alleviare i suoi disturbi, subito Francesco, alla presenza della gente o dei frati che non sapevano la cosa, diceva: « Ho mangiato questo cibo », perché non voleva nascondere agli uomini quello che era manifesto a Dio. Similmente, ogni volta che davanti a qualsiasi religioso o secolare egli aveva dei moti di orgoglio, vanità o altro vizio, lo confessava davanti a loro senza por tempo di mezzo, nudamente senza celar nulla.
 
           Disse una volta ai suoi compagni: « Negli eremitaggi e negli altri luoghi ove dimoro, io voglio vivere come se tutti gli uomini mi vedessero. Poiché se credono che io sia un santo e non facessi la vita che si conviene a un santo sarei un ipocrita ».
 
           Uno dei compagni, che era suo guardiano, impietosito per la sua malattia di milza e di stomaco, volle cucire alI'interno della sua tonaca un pezzo di pelle di volpe. Francesco ribatté: « Se vuoi che io porti una pelle di volpe sotto la mia veste, fa' in modo che sia messo anche di fuori un pezzo di quella pelle, così che tutti conoscano da ciò che tengo anche al di dentro una pelle di volpe ». Così volle fosse fatto, ma poco la portò, sebbene gli fosse molto necessaria .
 
 
 
63.
 
COME SI ACCUSO' IMMEDIATAMENTE DELLA VANITA'
 
PROVATA NEL FARE UN' ELEMOSINA
 
 
 
1753   Mentre camminava per Assisi, una povera vecchia gli chiese l'elemosina per amore di Dio. Ed egli le diede subito il mantello che portava sulle spalle. E senza indugio confessò, dinanzi a quelli che lo seguivano, come ne aveva provato un senso di vanità.
 
            Noi, che siamo vissuti con lui, abbiamo visto e udito tanti altri esempi, simili a questo, della profonda umiltà di lui, e non possiamo narrarli tutti a voce o in scritto.
 
           Era suo ideale e sua passione di non essere ipocrita davanti a Dio. E sebbene spesso, per le sue malattie, gli fosse necessaria qualche pietanza, tuttavia pensava di dovere mostrare sempre il buon esempio ai fratelli e agli altri, e perciò sopportava pazientemente ogni indigenza, per togliere a tutti il pretesto di mormorare.
 
 
 
 
64.
 
COME DESCRISSE IN SE STESSO
 
LO STATO DI PERFETTA UMILTA'
 
 
 
1754   Avvicinandosi il tempo del Capitolo, Francesco disse al suo compagno: « Non mi sembrerebbe di essere frate minore, se non fossi nello stato d'animo che sto per dirti. Ecco, i fratelli m'invitano al Capitolo con grande affetto e, commosso da questa bontà, vado con loro. Riunitici, mi pregano di annunziar loro la parola di Dio e di predicare. Mi alzo e mi metto a parlare secondo mi ha ispirato lo Spirito Santo.
 
           Finito il sermone, supponiamo che tutti mi gridino dietro:--Non vogliamo che tu abbia potere sopra di noi; non hai l'eloquenza che ci vuole, sei troppo semplice e incolto. Ci vergognamo di avere un superiore così alla buona e scadente. E quindi d'ora innanzi non avere la pretesa di esser chiamato nostro superiore--. E così mi cacciano con vituperio e disprezzo.
 
           Ebbene, non sarei un autentico frate minore, se non fossi sereno quando mi umiliano e mi scacciano non volendomi loro superiore, come quando mi venerano ed onorano, dal momento che in entrambi i casi si realizzano egualmente il vantaggio e l'utilità loro. Se ho goduto quando mi esaltano e mi onorano per il loro bene e sospinti da devozione ( e questo trattamento può essere pericoloso per la mia anima), tanto più devo esser felice per il vantaggio e il bene della mia anima allorché mi disprezzano, dove il profitto per il mio spirito è sicuro ».
 
 
 
 
65.
 
COME VOLLE ANDARE UMILMENTE IN TERRE LONTANE,
 
COME VI AVEVA MANDATO ALTRI FRATI,
 
E COME INSEGNO' LORO AD ANDARE PER IL MONDO
 
CON UMILTA' E DEVOZIONE
 
 
 
1755   Finito il Capitolo nel quale molti frati furono inviati in terre oltremare, Francesco, restato con alcuni, disse: « Fratelli carissimi, bisogna che io sia modello ed esempio a tutti i frati. Se dunque li ho mandati in regioni lontane a sopportare travagli e umiliazioni, fame e sete e altre avversità, è giusto, e la santa umiltà lo richiede che vada io pure in qualche terra lontana, affinché i fratelli affrontino più pazienti le difficoltà, quando sentono che io sopporto le stesse traversie. Andate dunque e pregate il Signore, affinché mi conceda di scegliere la regione che sia maggiormente a sua lode, a vantaggio delle anime ed a buon esempio per il nostro Ordine ».
 
           Era abitudine del santo padre, quando era in procinto di partire alla volta di qualche terra, di pregare prima il Signore e di mandare dei fratelli a pregare, affinché il Signore lo ispirasse a dirigersi dove più piacesse a Lui. Quei frati si ritirarono a pregare; e, finita l'orazione, tornarono a lui. Francesco tutto giulivo disse loro: « In nome del Signore nostro Gesù Cristo e della gloriosa vergine Maria madre di lui, e di tutti i santi: scelgo la terra di Francia, nella quale vive gente cattolica, soprattutto perché i francesi, fra gli altri cattolici, mostrano gran riverenza al corpo di Cristo, cosa a me gratissima, e quindi mi troverò ben felice in mezzo a loro ».
 
 
1756   Così ardente amore e devozione nutriva Francesco per il corpo di Cristo, che avrebbe voluto scrivere nella Regola che i frati, nelle province in cui dimoravano, avessero cura e zelo grande di questo sacramento, ed esortassero i sacerdoti a conservare l'Eucaristia in luogo adatto e decoroso, e qualora il clero si mostrasse negligente, vi sopperissero i frati.
 
           Era sua volontà altresì di aggiungere nella Regola che dovunque i frati trovassero i nomi del Signore e le parole della consacrazione eucaristica non custodite con amore, le raccogliessero per riporle in luogo decoroso, onorando così il Signore nelle parole pronunziate da lui. E sebbene queste prescrizioni non fossero accolte nel testo della Regola, perché i ministri non vedevano di buon occhio far carico ai frati di queste direttive, tuttavia nel suo Testamento e in altri suoi scritti volle esprimere ai frati la sua volontà sulI'argomento.
 
           Una volta volle mandare alcuni frati per tutte le province, a portare molte pissidi belle e splendenti, affinché dovunque trovassero il corpo del Signore conservato in modo sconveniente, lo collocassero con onore in quelle pissidi. E anche volle mandare altri frati per tutte le regioni con molti e buoni ferri da ostie, per fare delle particole belle e pure.
 
 
1757   Dopo aver scelto i frati che intendeva condurre con sé, Francesco disse loro: « In nome di Dio, andate a due a due con umiltà e modestia, osservando il silenzio dal mattino fino all'ora terza, pregando Dio nei vostri cuori, non pronunziando tra voi parole oziose e inutili. Pur essendo in cammino, il vostro comportamento sia umile e dignitoso come se foste in un romitorio o in una cella. Poiché, dovunque siamo e andiamo, noi abbiamo la cella sempre con noi: fratello corpo è la nostra cella, e l'anima è l'eremita che vi abita per pregare il Signore e meditare su lui. Se l'anima non è in tranquillità nella sua celletta, di ben poco giovamento è quella fabbricata con le mani ».
 
 
1758  Arrivato a Firenze, Francesco v'incontrò messer Ugo vescovo di Ostia, che fu poi papa Gregorio (64) Questi, avendo udito che Francesco intendeva recarsi in Francia, glielo proibì, dicendo: « Fratello, non voglio che tu vada di là dai monti, poiché molti prelati ne approfitterebbero per contrastare il tuo movimento alla curia romana. Io e altri cardinali, che amiamo il tuo Ordine, lo proteggeremo e aiuteremo più agevolmente, se tu rimani nei limiti di questa provincia ».
 
           Gli rispose Francesco: « Messere, è per me grande vergogna, I'aver mandato altri miei fratelli in terre lontane, e io rimanere qua, non partecipando alle tribolazioni che essi patiranno per il Signore ».
 
           Il cardinale gli replicò quasi rimproverandolo: « E perché hai inviato i tuoi frati così lontano a morire di fame e a sopportare chissà quali altre tribolazioni? ».
 
           Con grande fervore e ispirazione profetica Francesco ribatté «Messere, credete voi che Dio abbia suscitato i frati soltanto per queste regioni? Ma io vi dico in verità, che Dio ha scelto e mandato i frati per il bene e la salvezza delle anime di tutti gli uomini del mondo: non solo nei paesi dei cristiani, ma anche in quelli dei non credenti essi saranno accolti e conquisteranno molte anime ».
 
           Rimase stupito il vescovo di Ostia da tali parole, affermando che ciò era vero. Tuttavia non permise al Santo di recarsi in Francia. E il beato Francesco vi mandò Pacifico insieme con altri frati. Lui se ne tornò invece alla valle Spoletana.
 
 
 
66.
 
COME INSEGNO' AD ALCUNI FRATI
 
A CONQUISTARE LE ANIME DI CERTI BRIGANTI
 
CON L' AMORE E L' UMILTA'
 
 
 
1759    In un eremitaggio di frati, posto sopra Borgo San Sepolcro (66), venivano ogni tanto dei briganti a chiedere pane. Costoro stavano nascosti nelle selve e depredavano i passanti. Alcuni frati sostenevano che non era bene far loro l'elemosina, altri al contrario lo facevano per compassione, sperando di indurli a penitenza.
 
           Francesco venne a passare di là, e i frati lo interrogarono se fosse bene far l'elemosina ai briganti. Rispose: « Se farete come vi dirò, confido nel Signore che conquisterete le loro anime. Andate dunque, acquistate del buon pane e buon vino, recatelo a quelli nei boschi dove stanno, e chiamateli: --Fratelli briganti, venite a noi che  siamo vostri fratelli e vi portiamo buon pane e buon vino!--. Essi verranno subito. Voi allora stenderete per terra una tovaglia, vi disporrete sopra il pane e il vino, e li servirete umilmente e lietamente, finché abbiano mangiato. Dopo il pasto, parlate loro le parole del Signore, e infine fate loro questa prima richiesta per amor di Dio: che vi promettano di non percuotere né danneggiare alcuno nella persona. Poiché, se domandate tutte le cose in una volta, non vi daranno ascolto, invece, vinti dalla vostra umiltà e affetto, subito accondiscenderanno alla vostra proposta.
 
           Un altro giorno, grati di questa loro promessa, recate loro con il pane e il vino, anche uova e cacio, e serviteli finché abbiano mangiato. Dopo il pasto, direte:--Ma perché state in questi posti tutto il giorno a morire di fame e sopportare tanti disagi, facendo il male col pensiero e con le azioni, a causa delle quali perdete le vostre anime, se non vi convertite a Dio? Meglio che serviate il Signore e lui vi darà in questa vita le cose necessarie al corpo, e alla fine salverà le vostre anime. --Allora il Signore li ispirerà a ravvedersi, grazie all'umiltà e gentilezza che voi gli avrete mostrato ».
 
           I frati eseguirono ogni cosa secondo l'istruzione ricevuta da Francesco. E i briganti, per bontà e misericordia di Dio ascoltarono ed eseguirono alla lettera, punto per punto, quanto i frati avevano loro richiesto. Anzi, toccati da tanta umiltà e benevolenza, cominciarono a loro volta a servirli, portando sulle loro spalle la legna fino all'eremitaggio. Alcuni di loro entrarono infine nell'Ordine, gli altri confessarono i loro peccati e fecero penitenza delle colpe commesse, promettendo ai frati di voler vivere d'allora in poi del proprio lavoro e mai più commettere quei misfatti.
 
 
 
67.
 
COME, FUSTIGATO DAI DEMONI,
 
CAPI' CHE ERA PIU' GRADITO A DIO
 
CH' EGLI ABITASSE IN LUOGHI POVERI E UMILI,
 
ANZICHÉ CON I CARDINALI
 
 
 
1760    Una volta il beato Francesco si portò a Roma per incontrare il cardinale di Ostia. Rimasto alcuni giorni con lui, andò a render visita a messer Leone cardinale, molto devoto a Francesco.
 
           Si era d'inverno, stagione non adatta a viaggiare a piedi, per causa del freddo, del vento e delle piogge. Per cui il cardinale lo pregò di sostare qualche giorno da lui, ricevendo il cibo come un mendicante insieme agli altri poveri che quotidianamente mangiavano alla sua mensa.
 
           Disse questo, perché sapeva che Francesco voleva sempre esser ricevuto come un qualunque poverello, dove era ospitato, sebbene il Papa e i cardinali lo accogliessero con viva devozione e rispetto, venerandolo come santo. Aggiunse il cardinale: « Ti assegnerò una buona casa appartata, dove potrai pregare e prendere i pasti quando vorrai ».
 
           Allora frate Angelo Tancredi, uno dei primi dodici frati che abitava con quel cardinale, disse a Francesco: « Fratello, qui vicino sorge una torre assai spaziosa e fuori mano, dove potrai dimorare  come in un eremo ». Il Santo andò a vederla e gli piacque, e tornato dal cardinale gli disse: « Messere, forse rimarrò presso di voi alcuni giorni ».
 
           Il cardinale ne fu molto felice. Andò quindi frate Angelo e preparò nella torre una celletta per Francesco e il suo compagno. E perché il Santo non voleva discendere di là per recarsi dal cardinale, per tutto il tempo che rimarrebbe là né voleva che alcuno entrasse da lui, Angelo promise e dispose di portare ogni giorno il cibo a lui e al compagno.
 
           Francesco si ritirò con il compagno nella torre. Calata la notte, mentre si disponeva a dormire, vennero i demoni e gli diedero una forte dose di fustigate. Francesco chiamò il compagno: « Fratello, gli disse, i demoni mi hanno battuto molto duramente. Rimani vicino a me, ho paura di star solo ». Il compagno quella notte rimase vicino a lui, che tremava tutto come preso dalla febbre; tutte quelle ore le trascorsero svegli.
 
           Francesco parlava con il compagno: « Perché i demoni mi hanno pestato, e perché il Signore ha dato loro il potere di nuocermi? ». E soggiunse: « I demoni sono i castaldi del Signore. Come il podestà manda il suo castaldo a punire chi ha commesso un'infrazione, così il Signore, per mezzo dei suoi agenti, cioè i demoni che in questo mondo sono al suo servizio, sferza e castiga quelli che ama. Anche il perfetto religioso molte volte pecca per ignoranza; così, quando non conosce la sua colpa, viene battuto dal diavolo, affinché osservi diligentemente e consideri in quali cose ha mancato esteriormente e interiormente. Nulla lascia impunito il Signore, durante questa vita, in quelli ch'egli ama di vero amore.
 
           Io veramente, per grazia e misericordia di Dio, non ho coscienza di aver commesso mancanze che non abbia riparato per mezzo della confessione e dell'ammenda. E certo il Signore mi ha fatto questo dono per sua misericordia: che di tutte le cose nelle quali io possa piacergli o dispiacergli, nelle orazioni prendo chiara cognizione. Ma può essere che, per mezzo dei suoi giustizieri, egli mi abbia ora castigato perché, sebbene messer cardinale ben volentieri mi usi riguardi e al mio corpo sia necessario godere questo ristoro, i miei frati però che vanno per il mondo sopportando fame e molte tribolazioni, e gli altri frati che abitano negli eremitaggi e in piccole case, udendo che io rimango presso messer cardinale, potranno aver occasione di protestare, dicendo: --Noi sopportiamo tante avversità, e lui gode i suoi agi!
 
           Io invece sono tenuto a dare sempre loro il buon esempio, e proprio per questo sono stato dato loro. I frati sono più edificati quando abito in mezzo a loro in luoghi poveri, che non quando sto altrove; e con maggior pazienza sopportano le loro tribolazioni, quando odono che io pure sopporto gli stessi travagli ».
 
           E invero il grande e costante impegno del nostro padre fu di offrire sempre a tutti il buon esempio, non dando occasione agli altri frati di mormorare di lui. Per questo, sano o malato, soffrì tante e così grandi pene, che tutti i fratelli che venissero a saperlo,--come noi che siamo vissuti con lui fino al giorno della sua morte,--ogni volta che leggessero o richiamassero alla memoria tali cose, non potrebbero trattenere le lacrime, e con maggior pazienza e letizia sopporterebbero ogni tribolazione e angustia.
 
           Di primissimo mattino Francesco discese dalla torre, andò dal cardinale a raccontargli cosa gli era accaduto e di cui aveva conversato con il compagno, e concluse: « Gli uomini pensano che io sia un santo, ed ecco i demoni mi hanno cacciato dal mio ritiro! ».
 
           Il cardinale fu pieno di gioia nel vederlo, tuttavia, conoscendone la santità e venerandolo, non osò opporsi quando non volle restare più da lui. Così, preso commiato, Francesco ritornò all'eremitaggio di Fonte Colombo, presso Rieti.
 
 
 
 
 
 
68.
 
COME RIMPROVERO' I FRATI CHE VOLEVANO SEGUIRE
 
LA VIA DELLA LORO SAPIENZA E SCIENZA,
 
E PREDISSE LORO LA RIFORMA DELL' ORDINE
 
E IL RITORNO ALLO STATO PRIMITIVO
 
 
 
1761   Trovandosi Francesco al Capitolo generale presso Santa Maria della Porziuncola, capitolo chiamato delle stuoie, perché non essendovi abitazioni, gli unici rifugi erano fatti con stuoie, e vi furono presenti cinquemila frati; in quell'occasione, dunque, molti frati colti e dotti si recarono dal cardinale di Ostia, che stava colà, e gli dissero: « Messere, vogliamo che voi persuadiate frate Francesco a seguire il consiglio dei frati istruiti, e consenta talvolta di essere guidato da loro ». E citavano la Regola di san Benedetto, quelle di Agostino e Bernardo, che insegnano a menar vita religiosa in questa e quella maniera
 
           Tutte queste cose riferì il cardinale a Francesco, in tono di ammonizione. Il Santo, senza risponder nulla, lo prese per mano e lo condusse tra i frati riuniti a Capitolo, e così parlò ad essi nel fervore e nella virtù dello Spirito Santo: « Fratelli miei, fratelli  miei! Il Signore mi ha chiamato per la via della semplicità e dell'umiltà, e questa via mi. mostrò veramente per me e per quelli che intendono credermi e imitarmi. Di conseguenza, voglio che non mi si parli di nessuna Regola né di san Benedetto, né di sant'Agostino, né di san Bernardo, né di alcun altro ideale e maniera di vita diverso da quello che dal Signore mi è stato misericordiosamente rivelato e concesso.
 
           Il Signore mi ha detto che io dovevo essere come un novello pazzo in questo mondo, e non ci ha voluto condurre per altra via che quella di questa scienza. Dio vi confonderà proprio per mezzo della vostra scienza e sapienza. Io confido nei castaldi del Signore, e per loro mezzo Dio vi punirà. E allora tornerete al vostro stato, lo vogliate o no, con vostra vergogna ».
 
           Molto rimase trasecolato il cardinale, e niente rispose; e i fratelli furono pieni di grande timore.
 
 
 
 
69.
 
COME PREVIDE E PREDISSE CHE LA SCIENZA
 
SAREBBE STATA OCCASIONE DI ROVINA DELL' ORDINE,
 
E COME PROIBI' A UNO DEI COMPAGNI Dl DARSI
 
ALLO STUDIO DELLA PREDICAZIONE
 
 
 
1762   Molto penava Francesco quando, trascurando la virtù, si andava in cerca della scienza che gonfia, soprattutto se un frate non perdurava nella vocazione cui era stato chiamato da principio.
 
           Diceva: « I miei frati che sono presi dalla curiosità di sapere, si troveranno a mani vuote nel giorno della tribolazione. Perciò vorrei che essi piuttosto si rinvigorissero nella virtù. E quando il tempo della tribolazione verrà, avessero con sé nell'angoscia il Signore. La tribolazione certamente verrà, e i libri, che non serviranno allora a niente, saranno gettati dalla finestra >>.
 
           Non diceva questo perché gli dispiacesse la lettura della sacra Bibbia, ma per distogliere tutti dalla superflua preoccupazione di imparare. Voleva infatti che i frati fossero buoni e caritatevoli, anziché assetati di sapere e arroganti.
 
           Presentiva che sarebbero venuti fra non molto i tempi nei quali prevedeva che un sapere orgoglioso sarebbe causa di rovina. Per cui, dopo la sua morte, apparendo a un certo compagno troppo assillato dallo studio della predicazione, gliene fece rimprovero e proibizione, e gli comandò che studiasse di avanzare sulla via dell'umiltà e della semplicità.
 
 
 
 
70.
 
COME QUELLI CHE ENTRERANNO NELL' ORDINE
 
NEL TEMPO DELLA TRIBOLAZIONE FUTURA
 
SARANNO BENEDETTI,
 
E COLORO CHE SARANNO SOTTOPOSTI ALLA PROVA
 
SARANNO MIGLIORI Dl CHI Ll HA PRECEDUTI
 
 
 
1763   Diceva Francesco: « Verrà tempo in cui, per i malesempi dei  cattivi frati, quest'Ordine amato da Dio avrà così sinistra reputazione che ci si vergognerà di uscire in pubblico. Ma quelli che allora entreranno nell'Ordine, saranno guidati unicamente dalla virtù dello Spirito Santo, la carne e il sangue non lasceranno macchia alcuna su di loro, e saranno veramente benedetti dal Signore. Anche se nessuna opera meritoria verrà compiuta da essi, tuttavia, poiché si raffredderà lo spirito di carità che anima i santi ad agire con fervore, saranno assaliti da tentazioni immense; e quelli che usciranno vincitori da queste prove, saranno migliori di coloro che li precedettero.
 
           Guai però a coloro che, facendo applausi a se stessi, per il solo aspetto ed apparenza di pratica religiosa, confidando nella propria istruzione e sapere, saranno trovati oziosi, vale a dire inattivi nell'esercizio delle opere virtuose, nella via della croce e della penitenza, nella pura osservanza del Vangelo, che sono obbligati a seguire in purità e semplicità, in forza della loro professione! Questi non resisteranno con vigore alle tentazioni, che il Signore permetterà per purificare gli eletti. Ma quelli che saranno messi alla prova e l'avranno superata, riceveranno la corona della vita, a guadagnare la quale attualmente li incita la malizia dei reprobi ».
 
 
71.
 
COME RISPOSE A UN COMPAGNO CHE GLI DOMANDAVA
 
PERCHÉ NON REPRIMESSE GLI ABUSI
 
CHE AVVENIVANO NELL' ORDINE Al SUOI TEMPI
 
 
1764   Un compagno disse un giorno al beato Francesco: « Perdonami, Padre. Quanto ti voglio dire è stato già notato da molti ». E seguitò: « Tu sai come una volta, per grazia di Dio, tutto l'Ordine era fiorente di pura perfezione. Tutti i fratelli con vibrante fervore e zelo osservavano in ogni cosa la santa povertà, in angusti edifici e modesti utensili, poveri libri e rozze vesti, e nell'adempiere a questo ideale erano accomunati da una sola volontà e dallo stesso slancio; erano gelosi nell'osservanza di quanto si riferisce alla purezza della fede, alla nostra vocazione, al buon esempio. Da uomini veramente apostolici ed evangelici, erano unanimi nell'amore di Dio e del prossimo.
 
           Da poco tempo in qua, invece, questa purità e perfezione ha cominciato ad alterarsi, sebbene molti adducano a scusa il gran numero dei frati, dicendo che per questo non possono più essere praticate tali virtù. Molti frati, anzi, sono giunti a tanta cecità che sono convinti che il popolo sia meglio edificato e convertito a devozione da questo comportamento, anziché dal fervore primitivo. E pensano addirittura che questo stile di vita sia più conveniente, e hanno in disprezzo la via della santa semplicità e povertà, che pure fu il principio e il fondamento del nostro Ordine. Constatando questo sviamento, crediamo fermamente che esso ti dispiaccia tuttavia, siamo molto stupiti, che, dispiacendoti simili abusi tu li sopporti e non li corregga ».
 
           Gli rispose il beato Francesco: « Il Signore ti perdoni, fratello. Perché vuoi essermi contrario e avverso, implicandomi in cose che non si riferiscono al mio dovere? Fin tanto che ebbi la carica di guidare i frati, essi restarono saldi nella loro vocazione e nell'impegno assunto. Fin dal principio della mia nuova vita, sono stato sempre malato, eppure con il mio debole zelo, con l'esempio e con le esortazioni riuscivo a sostenere i fratelli. Dopo che vidi che il Signore moltiplicava il loro numero, ed essi per tiepidezza e inerzia spirituale cominciavano a deviare dalla strada dritta e sicura per la quale erano soliti camminare e, avanzando per la via larga che mena alla morte, non erano appassionati alla loro vocazione, agli impegni assunti e al buon esempio; né intendevano abbandonare il cammino pericoloso e mortale che avevano preso, nonostante le mie ammonizioni e l'esempio che loro continuamente davo, affidai la guida dell'Ordine a Dio e ai ministri.
 
           Quando rinunciai all'incarico di governare i frati, io mi scusai davanti a loro nel Capitolo generale, adducendo la ragione delle mie infermità; però, se i frati volessero camminare secondo la mia volontà, non vorrei, per consolazione e utilità di loro stessi, che avessero altro ministro se non me fino al giorno della mia morte. Il suddito fedele e buono sa intendere e seguire la volontà, senza che al prelato sia necessaria per ben governare una cura assillante. Inoltre, io sarei così felice della bontà dei frati per il loro e mio profitto, che, anche giacendo infermo, non esiterei a soddisfarli. Il mio ufficio di guida è infatti soltanto spirituale, e consiste nel reprimere i difetti, correggerli ed emendarli. Dal momento però che non riesco a raddrizzarli e migliorarli con le ammonizioni, esortazioni ed esempio, non voglio diventare giustiziere nel punirli e flagellarli, come fanno i governanti di questo mondo.
 
           Io confido nel Signore che i nemici invisibili, che sono i suoi castaldi al servizio suo per punire in questo e nell'altro mondo, fin da ora faranno vendetta di quelli che trasgrediscono i comandi di Dio e le promesse della loro professione. Essi li faranno castigare dagli uomini di questo mondo, con vergogna e rossore, di modo che tornino alla loro vocazione e ai loro impegni.
 
           E fino al giorno della mia morte, io non smetterò di ammaestrare i frati con l'esempio e con le azioni a seguire il cammino mostratomi dal Signore, quel cammino che ho additato con la parola e l'esempio. Così saranno senza scusa davanti a Dio, e io non sarò obbligato, più tardi, a render conto di loro alla presenza del Signore ».
 
 
71.
 
FRATE LEONE, COMPAGNO E CONFESSORE DI SAN FRANCESCO
 
SCRISSE A FRATE CORRADO DA OFFIDA
 
LE PAROLE CHE SEGUONO,
 
DICENDO DI AVERLE RACCOLTE DALLA BOCCA DI FRANCESCO.
 
PAROLE CHE LO STESSO CORRADO RIFERI'
 
PRESSO SAN DAMIANO
 
VICINO ALLA CITTA DI ASSISI
 
 
1765  San Francesco stava in orazione davanti all'abside della chiesa di Santa Maria degli Angeli, con le mani tese in alto, invocando Cristo affinché avesse misericordia del popolo nella gran tribolazione che stava per abbattersi.
 
           E il Signore rispose: « Francesco, se vuoi che io abbia pietà del popolo cristiano, fa' che il tuo Ordine permanga nello stato in cui fu stabilito, poiché non mi resta che esso in tutto il mondo. E ti prometto che, per amore tuo e del tuo Ordine, non lascerò che al mondo sopravvenga alcuna tribolazione. Ma dico a te che essi si ritrarranno dalla via in cui li ho messi. E m'inciteranno a tale ira, che insorgerò contro di loro e chiamerò i demoni e darò a questi il potere che vorranno. E i demoni provocheranno tanto scandalo tra i frati e il mondo, che nessuno vi sarà che osi portare il tuo saio se non nelle selve. E quando il mondo perderà la fiducia nei tuo Ordine, non rimarrà più alcuna luce, poiché io ho posto i frati come luce del mondo».
 
           E san Francesco disse: « Di che vivranno i miei fratelli che abiteranno le selve? ». Disse Cristo: « Io li nutrirò, come nutrii i figli d'Israele nel deserto, facendo piovere la manna. Questi frati saranno buoni, e allora l'Ordine tornerà alla sua condizione originaria, in cui fu fondato e cominciato ».
 
 
 
72.
 
COME DALLE PREGHIERE E LACRIME DEGLI UMILI
 
SEMPLICI FRATELLI SONO CONVERTITE QUELLE ANIME
 
CHE SEMBRANO CONVERTIRSI PER LA SCIENZA
 
E PREDICAZIONE DEGLI ALTRI
 
 
 
1766  Il padre santo non voleva che i suoi frati fossero avidi del sapere e dei libri, ma voleva e insisteva che si sforzassero di stabilirsi sul fondamento della santa umiltà, e a seguire la pura semplicità, la santa orazione e la nostra signora povertà: su queste fondamenta costruirono i primi santi frati. Diceva che questa sola era la via sicura alla salvezza propria e alla edificazione degli altri, poiché Cristo, che noi siamo chiamati a imitare, ci mostrò e prescrisse questo ideale con la parola e l'esempio.
 
           Ma il beato padre, prevedendo il futuro, conosceva per virtù dello Spirito Santo, e sovente ripeteva ai fratelli « che molti, col pretesto di migliorare il prossimo, dimenticheranno la loro vocazione di santa umiltà, pura semplicità, orazione e devozione e povertà. Finiranno con l'illudersi di esser maggiormente imbevuti e colmi di devozione, di essere ardenti e illuminati dall'amore e conoscenza di Dio, mentre nel loro intimo saranno freddi e vuoti. Così non potranno più tornare alla primitiva vocazione, avendo perduto in studi falsi e vani il loro tempo. E temo che verrà loro tolto quanto suppongono di possedere, poiché trascurarono completamente ciò che era loro offerto: di conservare cioè e seguire la loro vocazione ».
 
            Diceva ancora: « Vi sono molti frati, che pongono ogni loro sforzo e impegno nell'acquistare la scienza, trascurando la loro vocazione, uscendo con la mente e con la vita dalla via dell'umiltà e della santa orazione. Quando hanno predicato al popolo, venendo a sapere che alcuni sono rimasti edificati o convertiti a penitenza, si gonfiano e inorgogliscono della fatica e guadagno altrui quasi fosse opera loro. Invece, essi hanno predicato per loro condanna e perdita, e nulla hanno operato se non come strumenti di quei buoni, per mezzo dei quali il Signore ha in verità acquistato un tale frutto. Coloro che questi immaginano di aver edificato e convertito grazie alla loro scienza e predicazione, in realtà il Signore ha edificato e convertito con le orazioni e lacrime dei santi, poveri, umili, semplici frati, per quanto costoro ignorino per lo più tale cosa, giacché Dio non vuole che lo sappiano e ne siano incitati a insuperbire.
 
 
           Questi sono i miei frati cavalieri della Tavola rotonda, che si appartano in luoghi disabitati e remoti per abbandonarsi con più amore all'orazione e alla meditazione, piangendo i peccati propri e altrui, vivendo in semplicità e umiltà. La loro santità è nota a Dio, e talvolta ignota ai fratelli e agli altri uomini. Quando le loro anime saranno presentate dagli angeli al Signore, Dio mostrerà loro il frutto e la ricompensa delle loro opere: le molte anime, cioè, salvate dai loro esempi, orazioni e lacrime. E dirà loro: --Figli miei diletti, tante e tali anime sono state salvate a mezzo delle vostre preghiere, pianto ed esempio; e poiché foste fedeli nel poco vi farò padroni di molto! Altri predicarono e operarono con parole di cultura e sapere, ma sono stato io a maturare il frutto della salvezza per i vostri meriti. Ricevete dunque la ricompensa delle fatiche di quelli e il frutto dei vostri meriti, il regno eterno, che avete conquistato con l'ardore dell'umiltà e della semplicità, con la violenza delle vostre orazioni e lacrime--.
 
           Così, portando i loro covoni, vale a dire i frutti e le ricompense della loro santa umiltà e semplicità, entreranno lieti ed esultanti nella felicità del Signore. Ma quelli che si preoccupano solo di sapere e di mostrare agli altri la via della salvezza, senza nulla operare per salvarsi loro, arriveranno nudi e a mani vuote dinanzi al tribunale di Cristo, non recando che i covoni della vergogna, della delusione e della amarezza.
 
           Allora la verità della santa umiltà e semplicità, della santa orazione e povertà, in cui consiste il nostro ideale, sarà esaltata, glorificata, magnificata. Una verità alla quale quelli che furono rigonfi di sapere, recarono pregiudizio con la loro vita, i vuoti discorsi, le prediche della loro vana sapienza, dicendo che quella verità era falsità, e perseguitando crudelmente come ciechi quelli che camminavano nella verità.
 
           Allora l'errore e la falsità delle opinioni da loro seguite e  predicate come verità, e attraverso le quali essi fecero precipitare molti nella fossa della cecità, si riveleranno dolore, confusione e vergogna. Ed essi, insieme con le loro opinioni tenebrose, saranno immersi nelle tenebre in compagnia degli spiriti maligni ».
 
           
 
1767   Commentando quel detto: La sterile partorì molti figli, mentre quella che aveva molti figli diventò sterile, Francesco era solito dire: «Sterile è il buon religioso, semplice, umile povero e disprezzato, tenuto a vile e buttato in un canto, ii quale però edifica incessantemente gli altri con le sante orazioni e virtù e li partorisce con i suoi gemiti dolorosi ».
 
           Queste parole amava spesso ripetere davanti ai ministri e agli altri frati, specialmente durante i Capitoli generali.
 
 
73.
 
COME VOLEVA E INSEGNAVA CHE PRELATI E PREDICATORI
 
DEVONO ESERCITARSI NELL' ORAZIONE
 
E NELLE OPERE DI UMILTA'
 
 
1768   Fedele servo e imitatore perfetto di Cristo, Francesco, sentendosi completamente trasformato in Cristo per virtù della santa umiltà, desiderava nei suoi fratelli l'umiltà sopra tutte le altre virtù, e li incoraggiava senza sosta e affettuosamente, con le parole e l'esempio, ad amare questa grazia, desiderarla, acquistarla e conservarla. Ammoniva specialmente i ministri e i predicatori, inducendoli a dedicarsi a opere di umiltà.
 
           Soggiungeva che, a causa delle cariche di governo e gli impegni di predicazione, non dovevano trascurare la santa devota orazione né omettere di andare all'elemosina, né di dedicarsi al lavoro manuale e compiere altri servizi, come tutti gli altri frati, per il buon esempio e il profitto delle anime proprie e altrui.
 
           Diceva: « Molto sono edificati i frati sudditi, quando i loro ministri e predicatori si dedicano all'orazione e si danno di buona voglia a servizi umili e bassi. Altrimenti non possono, senza vergogna e pregiudizio e condanna, ammonire intorno a queste cose gli altri fratelli. Bisogna, secondo l'esempio del Signore, prima fare e poi insegnare, o meglio fare e insegnare nello stesso tempo ».
 
 
74.
 
COME INDICO' AI FRATI, UMILIANDOSI,
 
IL MODO DI CONOSCERE QUANDO EGLI ERA SERVO DI DIO
 
E QUANDO NO
 
 
1769   Il beato Francesco convocò una volta molti frati e disse loro: «Ho pregato il Signore che si degnasse mostrarmi quando sono servo di lui e quando no. Poiché niente altro vorrei, che essere suo servo. Il Signore benignissimo mi rispose: --Potrai conoscere che sei veramente mio servo, quando tu pensi, dici e fai cose sante!--.
 
           Perciò ho chiamato voi, fratelli, e vi ho rivelato questo per potere vergognarmi davanti a voi, allorché mi vedrete mancare in una o tutte  queste cose ».
 
 
75.
 
COME VOLLE CHE TUTTI I FRATI SI DEDICASSERO
 
TALORA A LAVORI MANUALI
 
 
1770   Diceva che quelli che attendono svogliati a un lavoro umile in casa, saranno rigettati ben presto dalla bocca del Signore. Nessuno poteva mostrarsi in o~io dinanzi a lui, senza che tosto lo sferzasse con parole mordenti. E lui, modello di ogni perfezione, lavorava umilmente con le sue mani, non permettendo che venisse sciupato un solo attimo del prezioso dono del tempo.
 
           Diceva: « Voglio che tutti i miei frati lavorino e si esercitino umilmente in lavori onesti, affinché noi siamo di minor peso alla gente, e cuore e lingua non vagabondino nell'ozio. Chi non conosce un mestiere, lo impari ».
 
           Secondo lui, la ricompensa del lavoro non doveva essere a disposizione del lavoratore, bensì del guardiano o della comunità.
 
 
PARTE QUARTA
 
 
ZELO DEL SANTO
 
PER L'OSSERVANZA DELLA REGOLA
 
E PER LA PERFEZIONE DELL'ORDINE TUTTO
 
 
76.
 
COME LODAVA L' OSSERVANZA DELLA REGOLA,
 
E VOLEVA CHE I FRATI LA CONOSCESSERO
 
E NE PARLASSERO, E MORISSERO TENENDOLA IN MANO
 
 
1771  Perfetto zelatore e amante dell'osservanza del Vangelo, il beato Francesco amava ardentemente che tutti mettessero in pratica la Regola, che è vivere il Vangelo, e diede una speciale benedizione a coloro che sono e saranno veri zelatori di essa.
 
           Ai suoi discepoli diceva che la Regola è il libro della vita, la speranza della salvezza, la caparra della gloria, il midollo del Vangelo, la via della croce, lo stato di perfezione, la chiave del paradiso, il patto di eterna alleanza.
 
           Voleva che tutti ne avessero una copia e la sapessero a mente, e che nelle loro conversazioni i frati ne parlassero di frequente, per evitare lo scoramento, e ne meditassero dentro di sé per richiamare il giuramento pronunciato.
 
           Prescrisse che la Regola fosse sempre davanti al loro sguardo, a rammentare il loro ideale di vita e a stimolo di osservanza. E, più ancora, volle e insegnò ai frati di morire con essa.
 
 
 
77.
 
DI UN SANTO FRATELLO LAICO, MARTIRIZZATO
 
MENTRE TENEVA LA REGOLA TRA LE MANI
 
 
 
1772   Non scordò questo santo esempio e questi dettami del beatissimo padre, un fratello laico, che crediamo indubbiamente assunto nel coro dei martiri, e andò tra gli infedeli per brama di martirio. Mentre i Saraceni lo portavano alla pena capitale, egli, tenendo con grande fervore la Regola tra le mani e piegando umilmente le ginocchia, disse al compagno: « Mi confesso colpevole, fratello carissimo, di tutte le cose che ho commesso contro questa Regola, davanti agli occhi della divina Maestà e dinanzi a te ».
 
           Appena terminata questa breve confessione, gli fu vibrato un colpo di scimitarra, ed egli finì questa vita ottenendo la corona del martirio. Era entrato nell'Ordine da giovanetto cosicché appena riusciva a sopportare i digiuni della Regola, e pur tanto fanciullo, portava sulle carni uno strumento di mortificazione. Beato ragazzo, che cominciò felicemente e più felicemente finì!
 
 
78.
 
COME VOLLE CHE L' ORDINE FOSSE SEMPRE
 
SOTTO LA PROTEZIONE E DISCIPLINA
 
DELLA CHIESA ROMANA
 
 
 
1773  Diceva Francesco: « Andrò, e affiderò l'Ordine dei fratelli minori alla Chiesa romana. I malevoli saranno intimoriti e tenuti a freno dalla forza della sua autorità; e i figli di Dio godranno perfetta libertà, a incremento della salvezza eterna. Da ciò i figli riconosceranno i dolci benefici della loro madre, e ne seguiranno sempre le orme venerabili con particolare devozione.
 
           Sotto questa protezione l'Ordine non patirà mali incontri, né il figlio di Belial scorrazzerà impunemente per la vigna del Signore. Questa madre santa sarà incitata a emulare la gloria della nostra povertà, e mai permetterà che il fulgore dell'umiltà e il giubilo della obbedienza siano offuscati dal tenebrore dell'orgoglio.
 
           Conserverà intatti fra noi i vincoli della carità e della pace, e percuoterà severamente gli animatori di discordia. La santa osservanza della purezza del Vangelo sarà fiorente davanti a lei, che non permetterà venga inquinato il profumo della nostra buona fama e vita, nemmeno per un'ora ».
 
 
 
79.
 
I QUATTRO PRIVILEGI CHE DIO DONO' ALL' ORDINE
 
E CHE ANNUNZIO' AL BEATO FRANCESCO
 
 
 
1774   Diceva il beato Francesco di aver ottenuto dal Signore quattro privilegi, rivelatigli a mezzo di un angelo: che cioè l'Ordine e l'ideale di vita dei frati minori sarebbe durato fino al giorno del giudizio; che nessun persecutore dell'Ordine per proposito  deliberato, sarebbe vissuto a lungo, che nessun malvagio, intendendo vivere male nell'Ordine, vi avrebbe durato a lungo; infine, che chiunque amasse di cuore l'Ordine, per peccatore che egli fosse, avrebbe alla fine ottenuto misericordia.
 
 
 
80.
 
DELLE QUALITA' CHE RITENEVA NECESSARIE
 
AL MINISTRO GENERALE E AI SUOI COMPAGNI
 
 
 
1775    Tanto grande era lo zelo che aveva per conservare la perfezione nell'Ordine e la perfetta osservanza della Regola gli pareva così importante, che spesso rifletteva chi potesse esser capace, dopo la sua morte, di guidare l'Ordine tutto e mantenerlo, con l'aiuto di Dio, nella perfezione. Ma non riusciva a trovar nessuno che ne fosse idoneo.
 
           Quando la sua vita stava per finire, un frate gli disse: «Padre, tu stai per passare al Signore, e questa famiglia che ti ha seguito resterà in questa valle di lacrime. Suggerisci dunque a noi, se alcuno ne conosci nell'Ordine, chi goda della tua fiducia e cui si possa degnamente affidare l'incarico di ministro generale ». Rispose Francesco, accompagnando ogni parola con sospiri: « Figlio mio, non vedo alcuno che abbia le capacità di essere capo di un esercito così grande e vario, di essere pastore di un gregge tanto numeroso ed esteso. Ma vi dipingerò quale dovrebbe essere il capo e pastore di questa famiglia.
 
           Quest'uomo, proseguì, dovrebbe essere di vita austera, di grande maturità, di fama irreprensibile, sarà libero da preferenze, affinché non accada che, amando una parte più del giusto, non porti pregiudizio al tutto. Dovrà essere un innamorato della preghiera, sapendo però dividere il tempo fra la cura della propria anima e quella del suo gregge. Di prima mattina metterà innanzi a tutto il santo sacrificio della Messa, e in lunga preghiera raccomanderà ardentemente alla protezione divina sé e la sua famiglia. Dopo l'orazione, si metta a disposizione dei fratelli, pronto a essere "dilapidato" da tutti; risponderà a ciascuno e provvederà alle necessità di tutti con bontà, pazienza e mitezza.
 
           Non deve fare preferenze, in modo da non curarsi meno dei semplici e degli incolti che degli istruiti e dei dotti. Se gli è concesso il dono della scienza, ha un motivo di più di essere l'incarnazione della pietà, semplicità, pazienza e umiltà. Coltiverà le virtù in se stesso e negli altri, praticandole di continuo e incitando ad esse con l'esempio più che con le parole .
 
           Deve odiare il denaro, che è il più gran corruttore del nostro ideale di perfezione. Essendo il capo e l'esempio da imitarsi da tutti, mai deve abusare dei soldi. Gli bastino per suo uso una veste e un piccolo libro; a servizio della comunità tenga penna e calamaio, una tavoletta per scrivere e il sigillo. Non sia collezionista di libri, né troppo appassionato alla lettura, affinché non gli accada di sottrarre ai suoi doveri quello che dedica alle sue inclinazioni.
 
            Consoli con tenerezza gli afflitti, sia ultimo rimedio per i tribolati, affinché, venendo a mancare presso di lui le medicine della sanità, il morbo della disperazione non prevalga nei malati. Per piegare a dolcezza i protervi, umilii se stesso e rinunci a qualcosa del suo diritto, pur di salvare un'anima. Riversi una immensa comprensione su quelli che abbandonano l'Ordine, simili a pecorelle sperdute, e mai neghi loro misericordia, consapevole di come sono forti le tentazioni che possono spingere a tale passo. Se il Signore permettesse che vi fosse esposto lui, forse precipiterebbe in un abisso più profondo.
 
           E vorrei che, come vicario di Cristo, sia da tutti onorato con devozione e rispetto, e in ogni cosa gli si provveda con benevolenza, secondo le sue necessità e le esigenze del nostro ideale. Occorre, però, che non si lasci sedurre da onori e favori: deve far loro lo stesso viso che fa alle ingiurie, così che gli onori trasformino in meglio la sua condotta. Se talora abbisogni di cibo ricercato e migliore, non lo prenda di nascosto, ma davanti a tutti, affinché malati e deboli non si vergognino di provvedersene.
 
           Sappia penetrare i segreti delle coscienze e scoprire la verità nascosta nelle radici profonde. Diffidi per metodo di qualsiasi accusa, finché la verità non cominci ad emergere da una inchiesta coscienziosa. Non presti orecchio alle chiacchiere, tenga per sospetti i pettegolezzi, sia guardingo specie nelle accuse, non ci creda facilmente. Per brama di conservare un vile onore, mai contamini o attenui la giustizia e l'equità. Abbia cura di non mai rovinare un'anima per eccesso di rigore, né troppa mansuetudine incentivi il torpore, e da rilassata indulgenza non derivi un afflosciarsi della disciplina. Sia da tutti temuto, e da quelli stessi che lo temono, amato. Giudichi e senta la sua carica più come un peso che come un onore.
 
 
1776    Vorrei inoltre che si circondasse di compagni di provata onestà, inflessibili contro le passioni, forti nelle difficoltà, affettuosi e comprensivi verso i colpevoli, che riversino su tutti la stessa affezione. Non prendano, dai guadagni del loro lavoro, se non ciò che è strettamente necessario al corpo. Nulla desiderino, fuorché la lode di Dio, l'avanzamento dell'Ordine, il bene della loro anima, la salvezza di tutti i fratelli.
 
Siano affabili verso tutti, e accolgano con santa letizia quelli che vengono da loro, porgendo a tutti con purezza e semplicità, in se stessi esempio e norma dell'osservanza del Vangelo, secondo l'ideale presentato nella Regola.
 
           Ecco, secondo me, come deve essere il ministro generale di quest'Ordine e i suoi compagni ».
 
 
 
81.
 
COME GLI PARLO' IL SIGNORE,
 
QUANDO ERA PROFONDAMENTE AFFLITTO A CAUSA DEI FRATI
 
CHE SI ALLONTANAVANO DALL' IDEALE DI PERFEZIONE
 
 
 
1777   Dato l'ardente zelo ch'egli aveva incessantemente per la perfezione dell'Ordine, diventava di necessità assai triste quando veniva a sapere o scorgeva delle imperfezioni. Cominciando ad accorgersi che alcuni frati davano malesempio nella fraternità e cominciavano a scendere dalle altezze delI'ideale, stretto nell'intimo del cuore da grande angoscia, un giorno durante l'orazione disse al Signore: «Signore, affido a te la famiglia che mi hai dato! ».
 
           E subito il Signore rispose: « Dimmi, o piccolo uomo semplice e ignorante: perché ti amareggi tanto se qualcuno esce dall'Ordine o quando i frati non camminano per la via che ti ho mostrato? Dimmi ancora: chi ha fondato questa fraternità? Chi provoca la conversione di un uomo? chi largisce la forza di perseverare nella nuova vita? Non sono forse io? Non ti ho prescelto a guidare la mia famiglia perché sei istruito ed eloquente, poiché non voglio che tu, né i veri frati e autentici osservatori della Regola che ti ho dato, procediate nella via della scienza e dell'eloquenza. Ho scelto te, semplice e senza cultura, affinché sappiate, tu e gli altri, che sarò io a vigilare sopra il gregge; e ti ho posto come un segno per loro, affinche le opere che io compio in te, essi debbano realizzarle in se stessi. Quelli dunque che camminano per la via loro mostrata a te, possiedono me e ancor più mi possederanno; quelli invece che avranno voluto seguire altre strade, sarà loro tolto anche quello che credono di avere.
 
           E dunque, io ti dico che, d'ora in poi, non devi affannarti, ma fai bene quello che fai, continua a compiere il tuo lavoro: io ho fondato questa famiglia di frati in un amore eterno. Sappi che tanto li amo che se qualche frate ritornasse al vomito e morisse fuori dell'Ordine, ne invierò un altro che prenderà la corona al posto del transfuga; e se non fosse nato, io lo farò nascere. E affinché tu sappia come ardentemente io amo l'ideale e l'Ordine dei frati, quand'anche non rimanessero che tre frati, ebbene: sarà sempre il mio Ordine, e non lo abbandonerò in eterno! ».
 
           Sentite che ebbe queste parole, l'anima di Francesco fu pervasa di meravigliosa consolazione.
 
 
1778   E sebbene per il grande zelo che sempre ebbe per la perfezione dell'Ordine, non potesse tenersi dall'essere vivamente contristato allorché udiva esserci tra i frati qualche stortura ch'era di malesempio e di scandalo, dopo che il Signore lo ebbe così confortato, richiamava alla memoria quel detto del salmo: « Ho giurato e deciso di osservare i comandi del Signore, e di osservare la Regola che Egli stesso ha dato a me e a quelli che vogliono imitarmi. Tutti i frati vi sono tenuti, esattamente come me.
 
           E ora, dopo che ho lasciato di governare i frati, a causa delle mie infermità e altri motivi ragionevoli, non sono tenuto che a pregare per l'Ordine e a mostrare il buon esempio ai frati. Questa è la consegna mandatami dal Signore. E so in verità che, data la mia malattia, l'aiuto più grande che io possa recare all'Ordine è di pregare per esso ogni giorno il Signore, affinché Lui lo governi, lo custodisca e protegga. A questo mi sono impegnato davanti a Dio e ai fratelli: che se qualcuno si perdesse per il mio malesempio voglio rendere conto al Signore per lui ».
 
           Tali erano le parole che il Santo ripeteva tra sé per dare tranquillità al suo cuore, e che spesso esponeva ai frati nei colloqui e nei Capitoli.
 
           Se qualche frate lo incitava a intromettersi nel governo dell'Ordine, replicava: « I frati hanno la loro Regola, hanno giurato di osservarla; e affinché non prendano pretesti dal mio comportamento per scusarsi, dopo che piacque al Signore di mettermi alla loro guida, ho giurato davanti a loro di osservare la Regola lealmente. E dal momento che i frati sanno cosa devono fare e cosa evitare, non mi rimane che di ammaestrarli con le mie opere, poiché a questo scopo sono stato dato loro nella mia vita e dopo la mia morte ».
 
 
82.
 
DEL SINGOLARE ZELO CHE EBBE
 
PER IL LUOGO DI SANTA MARIA DELLA PORZIUNCOLA
 
E DELLE PRESCRIZIONI CHE VI DETTO'
 
CONTRO LE PAROLE OZIOSE
 
 
 
1779   Finché visse, Francesco ebbe sempre uno zelo particolare e una passione eccezionale per mantenere una piena perfezione di vita e comportamento nel sacro luogo di Santa Maria degli Angeli, capo e madre di tutto l'Ordine, e ciò a preferenza di tutti gli altri luoghi. Era suo intento e volere che questo fosse modello ed esempio di umiltà, povertà e di ogni perfezione evangelica per tutti gli altri luoghi; e che i frati ivi dimoranti fossero, in tutte le loro azioni, i più attenti e solleciti a osservare perfettamente la Regola.
 
           E una volta, ad evitare l'ozio, radice di tutti i mali, soprattutto tra i religiosi, ordinò che tutti i giorni, subito dopo il pasto, i frati si mettessero insieme con lui a fare qualche lavoro, affinché non avessero a perdere del tutto o in parte il bene guadagnato durante l'orazione, a causa delle parole inutili e oziose, cui l'uomo è disposto specialmente dopo i pasti.
 
           Inoltre, ordinò e comandò che fermamente fosse osservato se qualche frate, nel passeggiare o nel lavorare con gli altri, pronunziasse parole oziose, fosse tenuto a recitare una volta il Padre nostro, lodando Dio in principio e in fine dell'orazione. Se poi, consapevole del suo sbaglio, se ne fosse spontaneamente accusato, dicesse per il bene della sua anima il Padre nostro insieme con le Laudi del Signore, come detto sopra. Se invece a rimproverarlo fosse stato per primo un fratello, doveva recitare il Padre nostro, nel modo suddetto, per l'anima di quel fratello.
 
 
           Se poi, rimproverato, avesse voluto scusarsi e non volesse dire il Padre nostro, fosse tenuto a dirlo due volte per l'anima del fratello che lo aveva ripreso. Se ancora, per testimonianza di questo o altro frate, risultava certo che aveva pronunciato parole oziose, doveva dire ad alta voce le Laudi del Signore a principio e in fine all'orazione, così da essere udito chiaramente da tutti i frati presenti. E costoro, mentre egli prega, tacciano e ascoltino. Se infine, un frate, udendo un altro a dire parole oziose, avrà taciuto e non lo avrà rimproverato, sia tenuto lui stesso a recitare un Padre nostro insieme con le Laudi del Signore per l'anima di quel fratello.
 
           E ogni frate che, entrando in una celletta o in casa o altro luogo, vi incontri uno o più frati, subito debba lodare e benedire il Signore devotamente.
 
           Il padre santo era sollecito nel recitare sempre queste Laudi del Signore, e insegnava agli altri frati ed eccitava con ardente slancio e desiderio a dirle con intensa devozione.
 
 
83.
 
COME ESORTO' I FRATI
 
A NON ABBANDONARE MAI QUEL LUOGO
 
 
 
1780  Francesco sapeva che il regno dei cieli si estende ad ogni località della terra ed era convinto che la grazia divina poteva esser largita agli eletti di Dio dovunque, pure aveva sperimentato che il luogo di Santa Maria della Porziuncola era colmo di una grazia più copiosa, ed era frequentato dalla visita degli spiriti celesti.
 
           Per questo era solito dire ai frati: « Guardate, figli, di non abbandonare mai questo luogo! Se vi cacciano via da una parte, voi tornateci dall'altra, poiché questo luogo è santo, è l'abitazione di Cristo e della Vergine sua madre. Fu qui che, quando noi eravamo in pochi, l'Altissimo ci ha moltiplicati, qui ha fatto risplendere l'anima dei suoi poveri con la luce della sua sapienza; qui ha acceso le nostre volontà con il fuoco del suo amore. Qui, colui che pregherà con cuore devoto, otterrà quanto domanderà; ma le offese saranno punite più severamente. Per questo, figli, considerate con riverenza e onore questo luogo cosi degno, come si addice all'abitazione di Dio singolarmente prediletta da Lui e dalla Madre sua. E qui, con tutto il cuore e con voce di esultanza e di ringraziamento, glorificate Dio Padre e il Figlio suo, il Signore Gesù Cristo, nell'unità dello Spirito Santo ».
 
 
84.
 
PREROGATIVE CONCESSE DAL SIGNORE
 
AL LUOGO DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI
 
 
 
1781    Questo luogo è veramente il santo dei santi, meritatamente stimato degno di grandi onori.
 
            Felice è il suo attributo, più felice il suo nome, ed ora il suo cognome è presagio di beneficio.
 
           Qui le presenze angeliche irradiano la loro luce, qui sogliono passare le notti facendo risuonare degli inni.
 
           Era tutta in rovina e Francesco la restaurò: fu una delle tre chiese che egli stesso rinnovò.
 
           Questa scelse il Padre, quando indossò il saio, qui domò il suo corpo, soggiogandolo allo spirito.
 
           In questo tempio fu generato l'Ordine dei Minori, mentre una folla di uomini seguiva l'esempio del Padre.
 
           Chiara, sposa di Dio, qui si lasciò recidere le chiome, e seguì Cristo abbandonando gli splendori del mondo.
 
           Sacra madre, essa diede alla luce Fratelli e Sorelle, e per loro mezzo partorì Cristo rinnovando il mondo.
 
           Qui la via larga del vecchio mondo venne ristretta, e dilatata fu la virtù di quelli che furono chiamati.
 
           Qui fu composta la Regola, qui rinacque la povertà, la vanagloria umiliata, innalzata di nuovo la Croce.
 
           Se talvolta Francesco è sconvolto ed abbattuto qui ritrova pace e il suo spirito si ritempra.
 
           Qui viene dimostrato il vero di cui si dubita, e viene concesso tutto quello che il Padre domanda.
 
 
 
 
PARTE QUINTA
 
 
ZELO Dl SAN FRANCESCO
 
PER LA PERFEZIONE DEI FRATI
 
 
85.
 
COME DESCRISSE LORO IL FRATE PERFETTO
 
 
 
1782    Francesco, immedesimato in certo modo nei suoi fratelli per l'ardente amore e il fervido zelo che aveva per la loro perfezione, spesso pensava tra sé quelle qualità e virtù di cui doveva essere ornato un autentico frate minore.
 
           E diceva che sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti santi frati: la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme con l'amore della povertà; la semplicità e la purità di Leone, che rifulse veramente di santissima purità, la cortesia di Angelo, che fu il primo cavaliere entrato nell'Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà, l'aspetto attraente e il buon senso di Masseo, con il suo parlare bello e devoto; la mente elevata nella contemplazione che ebbe Egidio fino alla più alta perfezione; la virtuosa incessante orazione di Rufino, che pregava anche dormendo e in qualunque occupazione aveva incessantemente lo spirito unito al Signore; la pazienza di Ginepro, che giunse a uno stato di pazienza perfetto con la rinunzia alla propria volontà e con l'ardente desiderio d'imitare Cristo seguendo la via della croce; la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò per vigoria tutti gli uomini; la carità di Ruggero, la cui vita e comportamento erano ardenti di amore, la santa inquietudine di Lucido, che, sempre all'erta, quasi non voleva dimorare in un luogo più di un mese, ma quando vi si stava affezionando, subito se ne allontanava, dicendo: Non abbiamo dimora stabile quaggiù, ma in cielo.
 
 
86.
 
COME DESCRISSE GLI OCCHI IMPUDICHI,
 
PER INCITARE I FRATI ALLA CASTITA'
 
 
 
1783   Fra le virtù che Francesco amava e desiderava fossero nei frati dopo il fondamento della santa umiltà, prediligeva la bellezza e l'immacolatezza della castità. Volendo insegnare ai fratelli a conservare pudichi gli occhi, soleva rappresentare gli occhi impudichi con la seguente parabola:
 
            « Un re pio e potente inviò successivamente due messaggeri alla regina. Il primo tornò e riferì il suo messaggio, senza nulla dire della regina, poiché aveva saggiamente tenuto gli occhi al loro posto, senza fissarli sulla regina. Tornò anche l'altro, e dopo brevi parole, tessé un lungo elogio delle bellezze della regina. --Veramente, egli concluse, o sire, ho visto una donna bellissima; beato chi può goderne!
 
           Gli rispose il re: --Servitore indegno, tu hai gettato i tuoi sguardi impudichi sulla mia sposa; è chiaro che ti stava a cuore di possedere quella che avevi davanti.
 
           Poi chiamò il primo e gli disse:--Che te ne pare della regina?--Quello rispose: --Ne ho avuto un'ottima impressione, poiché mi ha ascoltato volentieri e con pazienza-.            E il re:--Ti è parsa una bella donna?--Ribatté il messaggero: --Sire, spetta a te osservare questo. Io dovevo esporre il messaggio ricevuto.
 
           Il re allora concluse:--Tu hai occhi casti, sarai casto anche nel mio appartamento e godrai delle mie delizie. Ma quell'impudico esca dalla mia casa onde non contamini il mio talamo! -- ».
 
           E il Santo aggiungeva: « Chi non dovrebbe temere di guardare la sposa di Cristo? ».
 
 
 
87.
 
DELLE TRE RACCOMANDAZIONI LASCIATE AI FRATI
 
PER CONSERVARE LA LORO PERFEZIONE
 
 
 
1784  Una volta, malato com'era di stomaco, fece tali sforzi di vomito che ebbe una emorragia, che durò tutta la notte fino al mattino. I suoi compagni, vedendolo così sfinito e affranto che pareva morire, gli dissero con grande angoscia e lacrimando: « Padre, cosa faremo senza di te? A chi lasci noi, tuoi orfani? Sei sempre stato per noi padre e madre, avendoci generati e dati alla luce in Cristo; sei stato a noi guida e pastore, maestro e correttore, ammaestrandoci e rimproverandoci più con l'esempio che con la parola. Dove andremo noi, pecore senza pastore? orfani senza padre? uomini semplici e ignoranti, senza guida?
 
           Dove andremo a cercarti, o gloria della poverta, lode della semplicità, onore della nostra umiltà? Chi mostrerà a noi, ancora ciechi, la via della verità? Dove sarà la bocca che ci parlerà, la lingua che ci darà consiglio? Dove sarà l'anima infuocata, che ci diriga nella via della croce e ci rafforzi nella perfezione evangelica? Dove sarai, luce dei nostri occhi, che possiamo ricorrere a te? consolatore delle nostre anime, che possiamo trovarti?
 
           Ecco, Padre, che tu stai morendo, e ci lasci abbandonati, nella tristezza più amara! Ecco quel giorno, giorno di pianto e di cordoglio, giorno che si avvicina, di desolazione e di tristezza ! Ecco il giorno angoscioso che sempre, mentre siamo stati con te, paventavamo; al quale anzi non avevamo nemmeno il coraggio di pensare! La tua vita è per noi luce ininterrotta, le tue parole fiaccole ardenti e incendianti a vivere la croce, la perfezione evangelica, I'amore e l'imitazione del dolce Crocifisso.
 
           E ora, Padre, benedici noi e gli altri fratelli, figli tuoi, che hai generato in Cristo; e lasciaci qualche ricordo della tua volontà, che resti nella memoria dei tuoi fratelli, così che possano dire: "Queste parole il nostro Padre ha lasciato ai suoi fratelli e figli, morendo " ».
 
           Allora Francesco, volgendo gli occhi paterni sui figli, disse: «Chiamatemi Benedetto da Pirato ». Era sacerdote questo frate, santo e molto discreto, che talvolta celebrava la Messa in presenza di Francesco, quando questi giaceva infermo; il Santo, infatti, per quanto fosse malato, voleva ascoltar Messa, se gli era possibile.
 
           Giunto che fu, gli disse: « Scrivi: Io benedico tutti i miei frati che sono e che saranno nell'Ordine sino alla fine dei tempi. E poiché per lo sfinimento e le sofferenze del male non posso parlare, manifesto brevemente in questi tre ricordi a tutti i frati, presenti e futuri, la mia volontà e intenzione. Come prova che si ricordano di me, della mia benedizione e testamento, si amino sempre l'un l'altro, come li ho amati e li amo io. Amino sempre e osservino la povertà, nostra signora. Siano sempre lealmente soggetti ai prelati e al clero della santa madre Chiesa ».
 
           Così infatti il nostro Padre, nei Capitoli dei frati soleva al momento della conclusione, benedire e assolvere tutti i frati presenti e futuri; anche fuori di Capitolo faceva ciò ripetute volte, sospinto dall'ardore del suo affetto. Ammoniva i frati a temere e fuggire il malesempio, e malediceva tutti coloro che con cattivi esempi provocavano la gente a oltraggiare l'Ordine e la vita dei frati, perché di questo i buoni e santi frati si vergognano e profondamente si rammaricano .
 
 
 
 
 
88.
 
DELL' AMORE CHE MOSTRO' AI FRATI, VICINO A MORTE,
 
DANDO A CIASCUNO UN PEZZO Dl PANE,
 
COME FECE CRISTO
 
 
 
1785    Una notte Francesco fu così tormentato dai dolori provocatigli dalle malattie, che non poté mai riposare né dormire. Fattasi mattina e mitigatisi i dolori, fece chiamare tutti i frati, che dimoravano colà e, fattili sedere intorno, li veniva guardando come se vedesse in loro tutti i suoi frati. E ponendo la sua destra sul capo di ciascuno, benedisse tutti i presenti e gli assenti e quelli che sarebbero entrati nell'Ordine sino al tramonto dei secoli. E sembrò rammaricarsi di non poter vedere tutti i fratelli suoi e figli prima di morire.
 
 
1786   Volendo imitare nella morte il suo Signore e maestro, che aveva perfettamente imitato durante la vita, chiese gli fossero portati dei pani, li benedisse, li fece spezzare in piccole parti, poiché per la gran debolezza non riusciva a farlo lui. Poi li prese e ne porse un frammento a ognuno dei frati, esortando che lo mangiassero interamente.
 
           Così, come il Signore prima della sua morte volle, in segno di amore, mangiare il giovedì santo con gli apostoli, anche il suo perfetto imitatore Francesco volle offrire ai suoi fratelli lo stesso segno d'amore. E poiché intese ripetere questo gesto a somiglianza di Cristo, è naturale che chiedesse poi se fosse giovedì. Invece era un altro giorno, ma disse che lui pensava fosse giovedì.
 
           Uno di quei frati conservò un frustolo di quel pane e dopo la morte di Francesco, molti malati che ne mangiarono, furono subito liberati dalle loro infermità.
 
 
 
89.
 
COME TEMEVA CHE I FRATI AVESSERO A PATIRE DISAGIO
 
PER LE SUE MALATTIE
 
 
 
1787    Non potendo per le sue sofferenze prendere riposo e vedendo per questo che i fratelli erano molto disturbati dalle loro occupazioni e affaticati per causa sua, poiché amava più i fratelli che il proprio corpo, cominciò a temere che, sopraffatti dalla fatica, non commettessero qualche sia pur minima offesa a Dio, a motivo dell'impazienza.
 
           E una volta, vinto da un senso di pietà e compassione, disse ai compagni: «Fratelli e figli miei carissimi, non vi rincresca di affaticarvi per la mia malattia. Dio, per amore di me suo servo, vi contraccambierà in questa vita e nelI'altra, dandovi il frutto delle opere cui adesso non potete attendere, perché occupati per la mia infermità. Ne avrete maggior guadagno che se aveste lavorato per voi stessi, poiché chi aiuta me, aiuta tutto l'Ordine e la vita dei frati. Potete dire:--- Noi abbiamo fatte delle spese per te, e il Signore sarà nostro debitore al posto tuo ».
 
           Questo diceva il padre santo, nello zelo ardente che sentiva per la loro perfezione, volendo aiutare e rinfrancare i loro spiriti impauriti. Temeva infatti che talvolta, tediati da quel lavoro, dicessero: « Non possiamo pregare, né ce la facciamo a sopportare questa fatica! »; e in tal modo, infastiditi e  spazientiti, perdessero il grande frutto di un piccolo lavoro.
 
 
 
90.
 
COME ESORTO' LE SORELLE DI SANTA CHIARA
 
 
 
1788        Dopo che Francesco ebbe composto le Lodi del Signore per le sue creature, compose anche alcune sante parole, con la loro melodia, per la consolazione e l'edificazione delle Povere Dame, sapendo quanto soffrivano per la sua infermità. E non potendo visitarle di persona, mandò loro quelle parole a mezzo dei compagni. In quel cantico egli volle manifestare loro la sua volontà, che cioè sempre vivessero e si comportassero umilmente e fossero concordi nell'amore fraterno.
 
           Vedeva infatti che la santa vita di quelle era non solo un motivo di fervore per l'Ordine dei frati ma riusciva di edificazione per tutta la Chiesa. Sapendo che, fin dal principio della loro conversione avevano condotto un'esistenza dura e povera, era sempre mosso da pietà e compassione verso di esse.
 
           In quel cantico dunque le pregò che, come il Signore le aveva adunate insieme da molte parti per vivere nella santa carità, povertà e obbedienza, così dovessero sempre vivere e morire in queste virtù. Le esortò specialmente che, con le elemosine che il Signore loro donava, provvedessero alle loro necessità materiali parcamente, con letizia e gratitudine, e soprattutto si mantenessero in buona salute nel lavoro che affrontavano per le loro sorelle inferme, e queste sopportassero con pazienza le loro infermità.
 
 
 
 
PARTE SESTA
 
 
DELL'INCESSANTE FERVORE DI AMORE
 
E COMPASSIONE
 
PER LE SOFFERENZE DI CRISTO
 
 
 
91.
 
COME NON SI PREOCCUPAVA
 
DELLE PROPRIE MALATTIE
 
PER AMORE ALLA PASSIONE DI CRISTO
 
 
 
1789   Francesco aveva un così grande fervore di amore e compassione verso i dolori e la passione di Cristo, e tanto ogni giorno se ne affliggeva intimamente ed esteriormente, che non faceva caso alle  proprie malattie. Per lunghi anni e fino alla morte ebbe a patire mali di stomaco, di fegato e di milza; inoltre, da quando era tornato d'oltremare, soffriva continuamente forti dolori agli occhi; mai volle pero darsi premura di farsi curare.
 
           Il cardinale di Ostia, vedendo che Francesco era ed era stato sempre così duro verso il suo corpo e che ormai cominciava a perdere la vista e non voleva sottoporsi a cure lo esortò con viva pietà e compassione, dicendo: « Fratello non fai bene a non curarti, poiché la tua vita e la tua salute sono molto utili ai frati, alla gente e a tutta la Chiesa. Se tu hai compassione dei tuoi fratelli ammalati, e sempre sei stato con loro affettuoso e compassionevole, non devi in questa tua grave infermità essere spietato con te stesso. E quindi ti comando di farti curare e soccorrere ».
 
           Infatti il padre santo ciò che era amaro al suo corpo, sempre l'accoglieva come fosse dolce, traendo dall'umiltà e dagli esempi del Figlio di Dio immensa incessante soavità.
 
 
 
92.
 
COME FU TROVATO CHE ANDAVA PIANGENDO AD ALTA VOCE
 
LA PASSIONE DI CRISTO
 
 
 
1790   Una volta, poco tempo dopo la conversione, Francesco camminava solo per la via, nelle vicinanze della chiesa di Santa Maria della Porziuncola, e piangeva e gemeva ad alta voce. Un uomo di viva spiritualità gli mosse incontro e, temendo soffrisse di qualche malattia, gli chiese: « Che hai, fratello? ». Egli rispose: « Io dovrei percorrere così, senza vergogna, tutto il mondo, piangendo la passione del mio Signore ».
 
           Allora quello cominciò a gemere e a lacrimare forte insieme con Francesco. Noi abbiamo conosciuto quest'uomo, e abbiamo saputo l'episodio da lui stesso. Egli fu di grande consolazione e usò bontà al beato Francesco e a noi suoi compagni.
 
 
 
 
93.
 
COME LA GIOIA CHE TALORA DIMOSTRAVA ESTERNAMENTE,
 
SI CAMBIAVA IN LACRIME E COMPASSIONE PER CRISTO
 
 
 
1791   Inebriato d'amore per Cristo, la cui passione condivideva, Francesco faceva talvolta così: la dolcissima melodia che gli zampillava dal cuore, si esprimeva in lingua francese, e il ruscello della voce divina che gli sussurrava nell'intimo erompeva in cantici francesi.
 
           A volte raccattava da terra un pezzo di legno, lo posava sul braccio sinistro, prendeva nella destra un altro bastoncino e lo passava su quello, a modo dell'archetto d'una viola o d'altro strumento, facendo gesti appropriati, e così accompagnava, cantandole in francese, le lodi del Signore Gesù
 
            Ma questo tripudio finiva in lacrime, e il giubilo si scioglieva in compianto per la passione di Cristo. Tra le lacrime emetteva continui sospiri e, raddoppiando i gemiti, dimentico di quello che teneva tra le mani, era come rapito nel cielo.
 
 
 
 
 
 
 
 
PARTE SETTIMA
 
 
DEL SUO ZELO NELL'ORAZIONE
 
NELL'UFFICIO DIVINO, E NEL CONSERVARE
 
LA LETIZIA SPIRITUALE
 
IN SE STESSO E NEGLI ALTRI
 
 
 
94.
 
DELL' ORAZIONE E DELL' UFFICIO DIVINO
 
 
 
1792   Sebbene da molti anni fosse afflitto dalle infermità che abbiamo detto sopra, era Francesco così devoto e rispettoso nella preghiera e nell'ufficio divino, che mai si appoggiava al muro o alla parete mentre pregava o recitava le ore canoniche. Stava sempre dritto, a capo scoperto, e talvolta in ginocchio. La maggior parte del giorno e della notte si abbandonava alla preghiera. Quando andava per il mondo, a piedi, sempre sospendeva il cammino al momento di recitare le ore. Se poi, a causa della malattia, andava a cavallo, scendeva regolarmente a terra per recitare l'ufficio.
 
           Una volta, che pioveva a dirotto, Francesco, obbligato dalla malattia, andava a cavallo. Era tutto bagnato, e scese dal giumento, quando volle dire le ore canoniche e le recitò con fervente devozione e concentrazione, stando immobile sulla strada mentre la pioggia veniva giù senza sosta, come fosse in chiesa o in una celletta.
 
           Disse poi al compagno: « Se il corpo esige di prendere in tutta pace e comodità il suo cibo, che insieme con lui diventerà pasto dei vermi: con quanta pietà e devozione non deve prendere l'anima il suo cibo, che è Dio stesso! ».
 
 
 
 
 
 
95.
 
COME AMO' SEMPRE IN SE STESSO E NEGLI ALTRI
 
LA LETIZIA SPIRITUALE INTIMA ED ESTERNA
 
 
 
1793  Francesco s'impegnò sempre con ardente passione ad avere, fuori della preghiera e dell'ufficio divino, una continua letizia spirituale intima ed anche esterna. La stessa cosa egli amava e apprezzava nei fratelli, ché anzi era pronto a rimproverarli quando li vedeva tristi e di malumore.
 
           Diceva: « Se il servo di Dio si applica ad acquistare e mantenere, sia nel cuore che nell'espressione, la letizia che proviene da un'anima pura e si ottiene con la devozione della preghiera, i demoni non gli possono far danno, e direbbero:--Dal momento che questo servo di Dio è felice nella tribolazione come nella prosperità, noi non troviamo adito per entrare in lui e nuocergli--. Ma i demoni esultano allorché possono estinguere o impedire in un modo o nell'altro la devozione e la gioia che provengono da un'orazione pura e da altre azioni virtuose.
 
            Poiché, se il diavolo possiede qualcosa di suo nel servo di Dio, quando non sia attento e svelto nel distruggerla e sradicarla al più presto, con il potere attinto dalla preghiera, dal pentimento, dalla confessione e dalla riparazione, il demonio in breve tempo saprà trasformare un capello in una trave, a forza di ispessirlo.
 
           E per questo, miei fratelli, siccome dalla innocenza del cuore e dalla purezza di una incessante orazione, sgorga la letizia spirituale, sono queste due virtù che bisogna soprattutto acquistare e conservare, affinché la gioia, che con ardente desiderio amo vedere e sentire in me e in voi, possiate averla nell'intimo e nell'espressione, per edificare il prossimo e sconfiggere l'avversario. A questi, infatti, e ai suoi seguaci si conviene la tristezza; a noi di godere ed essere felici sempre nel Signore ».
 
 
 
96.
 
COME RIMPROVERO' UN FRATE DALL' ARIA TRISTE
 
 
 
1794    Diceva Francesco: « So che i demoni mi odiano per i benefici concessimi da Dio, so ancora e constato che, non potendo danneggiarmi direttamente, mi insidiano e si accaniscono a nuocermi per mezzo dei miei compagni. Se poi non riescono a farmi del male né per mezzo mio, né per mezzo dei miei fratelli, allora si ritirano scornati. Infatti, se a volte mi avvenisse di trovarmi tentato o accasciato vedendo la gioia del mio compagno, subito riesco a riavermi dalla tentazione e dalla depressione, a causa della letizia che ammiro in lui, e così anche in me rifiorisce la letizia intima ed esteriore ».
 
           Rimproverava con vigore quanti mostravano di fuori la loro tristezza. Una volta che uno dei compagni aveva un'espressione tetra, lo redarguì: « Perché mostri fuori il dolore e la tristezza delle tue colpe? Tieni questa mestizia fra te e Dio, e pregalo che, nella sua misericordia, ti perdoni e renda alla tua anima la gioia della sua grazia, che hai perduto per causa del peccato. Ma davanti a me e agli altri, mostrati sempre lieto; poiché al servo di Dio non si addice di mostrare malinconia o un aspetto afflitto dinanzi al suo fratello o ad altri ».
 
 
1795    Non si deve però supporre o immaginare che il nostro Padre, amante di ogni perfezione ed equilibrio, intendesse che la letizia si palesi con risa o parole oziose, poiché in tal modo non si esterna la letizia spirituale, ma piuttosto la vanità e la fatuità. Nel servo di Dio egli detestava le risa e le ciarle: non solo non voleva che ridesse, ma neppure che offrisse agli altri la minima occasione a frivolezze. In una delle sue Ammonizioni, Francesco definì chiaramente quale doveva essere la gioia del servo di Dio, con queste parole: « Beato quel religioso che non trova felicità e piacere se non nelle parole sante e nelle opere del Signore, e se ne serve per eccitare gli uomini all'amore di Dio, in gaudio e letizia. Ma guai a quel religioso che si diletta in conversazioni oziose e vuote, e con queste muove la gente a sciocche risa ».
 
           E attraverso la gioia del viso si manifestano il fervore, I'impegno, la disposizione della mente e del corpo a fare volentieri ogni cosa buona; da simile fervore e disposizione, gli altri talvolta sono incitati al bene più che dalla stessa azione buona. E se l'azione per quanto buona non appare fatta volentieri e con slancio, provava piuttosto fastidio che incitamento al bene.
 
           Non voleva quindi leggere sui volti quella tristezza che sovente riflette indifferenza, cattiva disposizione dello spirito, pigrizia del corpo a ogni buona opera. Amava invece caldamente in se stesso e negli altri la gravità e compostezza nell'aspetto e in tutte le membra del corpo e nei sensi, e induceva gli altri a ciò con la parola e con l'esempio, per quanto poteva.
 
           Conosceva per esperienza come tale equilibrio e maturità sono simili a un muro, a uno scudo fortissimo, contro le frecce del diavolo; e che l'anima, non protetta da questo muro e da questo scudo, è come un soldato disarmato in mezzo a nemici forti e ben armati, accanitamente vogliosi di ucciderlo.
 
 
 
97.
 
COME INSEGNAVA Al FRATI A SODDISFARE LE NECESSITA'
 
DEL CORPO IN FUNZIONE DELLA PREGHIERA
 
 
1796    Francesco era convinto che il corpo è creato per l'ani- ma, e gli atti corporali vanno considerati in funzione di quelli spirituali. Per cui diceva: « Il servo di Dio nel mangiare, nel bere, nel dormire e nel soddisfare le altre necessità corporali, deve provvedere con discrezione al suo fisico, in maniera che fratello corpo non abbia a protesta re: " Non posso stare in piedi, né perseverare nell'orazione, né essere lieto nelle tribolazioni dello spirito, né fare al cun'altra opera buona, perché non soddisfi le mie necessità! ".
 
           Ma se il servo di Dio soddisfa convenientemente il suo corpo, e fratello corpo volesse poi fare il negligente e il pigro e il dormiglione nella preghiera, nelle veglie e nel bene operare, allora deve castigarlo come un giumento cattivo e fiaccone, che vuol mangiare ma non lavorare né portare il carico. Se però, a causa della miseria e povertà, fratello corpo sano o malato non potesse avere l'indispensabile, pur chiedendolo con umiltà e dignità al fratello o al superiore per amor di Dio e non gli fosse concesso: sopporti pazientemente la privazione per amor di Dio, il quale pure sopportò, e cercò e non trovò chi lo confortasse.
 
           Tali tristezze sopportate con pazienza, il Signore gliele terrà in conto di martirio. E poiché seppe fare quello che era suo dovere, cioè chiedere umilmente il necessario~ il Signore non gli imputerà ciò a peccato, anche se per l'indigenza il corpo cadesse in grave malattia ».
 
 
 
PARTE OTTAVA
 
 
DI ALCUNE TENTAZIONI
 
CHE IL SIGNORE PERMISE EGLI SUBISSE
 
 
98.
 
COME IL DEMONIO ENTRO' NEL GUANCIALE
 
CHE IL SANTO TENEVA SOTTO LA TESTA
 
 
 
1797   Trovandosi Francesco a pregare nell'eremitorio di Greccio, nell'ultima celletta dopo la cella maggiore, una notte, nel primo sonno, chiamò il suo compagno che riposava là presso. Il compagno si levò e si accostò all'entrata della cella dov'era Francesco. Il Santo gli disse: « Fratello, questa notte non ho potuto dormire, né stare in piedi a pregare, poiché mi tremano molto la testa e le ginocchia; mi sembra di aver mangiato pane di loglio ».
 
           Al compagno che gli rivolgeva parole di conforto, Francesco rispose: « Sono sicuro che il diavolo stia in questo guanciale che ho sotto il capo ». Egli non aveva mai voluto giacere su materassi di piume né avere un cuscino di piume, dopo che ebbe lasciato il mondo; però, contro il suo volere, i frati lo avevano allora costretto a tenere quel guanciale molle, a motivo del suo male di occhi.
 
 
           Il Santo gettò il cuscino al compagno, che lo prese con la mano destra e se lo pose sull'omero sinistro; ma appena oltrepassata la soglia della celletta, immediatamente perdette la parola, né poteva sbarazzarsi del cuscino e nemmeno muovere le braccia, e se ne stava immobile, non riuscendo ad allontanarsi da quel luogo, come fosse privo di sentimento. Per qualche tempo rimase in quello stato finché, per grazia di Dio, Francesco lo chiamò; e tosto il compagno tornò in sé, lasciando cadere il cuscino dietro le spalle.
 
           Rientrando da Francesco, gli raccontò quello che gli era accaduto. Il Santo gli disse: « Di sera, mentre recitavo la Compieta, sentii venire il diavolo nella cella. Vedo che questo diavolo è molto astuto, poiché, non potendo nuocere alla mia anima, ha voluto impedire ciò che era necessario al corpo, così che io non possa dormire né stare in piedi a pregare: tutto allo scopo di turbare la devozione e la letizia del mio cuore, affinché io mormori contro la mia malattia ».
 
 
 
99.
 
DELLA GRAVISSIMA TENTAZIONE CHE SOFFRI'
 
PER OLTRE DUE ANNI
 
 
 
1798    Mentre dimorava nel luogo di Santa Maria, gli fu mandata una gravissima tentazione dello spirito, a profitto della sua anima. E di ciò era tanto afflitto nella mente e nel corpo, che molte volte si sottraeva alla compagnia dei fratelli, poiché non era in grado di mostrarsi loro lieto come soleva .
 
           Si mortificava, astenendosi dal cibo, dalla bevanda e dal parlare; pregava ardentemente e versava lacrime abbondanti, affinché il Signore si degnasse di mandargli un rimedio efficace in così grave tribolazione. Essendo vissuto in tale angoscia per oltre due anni, un giorno, mentre pregava nella chiesa di Santa Maria, accadde che gli venne detta in spirito quella parola del Vangelo: Se tu avessi fede quanto un granello di senapa e ordinassi a quel monte di trasportarsi in un altro luogo, avverrebbe così.
 
           Subito Francesco rispose: « Signore, qual è questo monte? ». Gli fu detto: « Quel monte è la tua tentazione ». E Francesco: « Allora, Signore, sia fatto a me come hai detto! ». E immediatamente ne fu liberato, così che parve non aver mai patito tentazione alcuna.
 
           Similmente sul sacro monte della Verna, allorché ricevette nel suo corpo le stimmate del Signore, ebbe a soffrire tentazioni e tribolazioni dai demoni, in modo che non poteva mostrare la sua abituale letizia. E confidava al suo compagno: « Se sapessero i frati quante e che gravi tribolazioni e afflizioni mi danno i demoni, non ci sarebbe alcuno di loro che non si muoverebbe a compassione e pietà di me ».
 
 
 
100.
 
DELLA TENTAZIONE INFLITTAGLI PER MEZZO DEI TOPI
 
E DELLA QUALE IL SIGNORE LO CONSOLO',
 
DANDOGLI LA CERTEZZA DEL SUO REGNO
 
 
 
1799  Due anni prima della sua morte, mentre si trovava presso San Damiano in una celletta fatta di stuoie, era talmente tormentato dal male d'occhi, che per oltre cinquanta giorni non poté vedere la luce del giorno e neppure quella del fuoco. E avvenne, per consenso divino, che, ad accrescere la sua sofferenza e il suo merito, venissero dei topi cosi numerosi in quella cella, notte e giorno scorrazzandogli sopra e d'intorno, da non lasciarlo pregare né riposare. Quando mangiava, salivano addirittura sulla sua mensa e lo molestavano sozzamente. Tanto lui che i suoi compagni capirono che si trattava di una evidente tentazione diabolica.
 
           Vedendosi Francesco tormentato da tante afflizioni, una notte, mosso a pietà di se stesso, diceva: « Signore, vieni in mio aiuto, guarda alle mie infermità, affinché io sappia sopportare pazientemente! ».
 
           E subito gli fu detto in spirito: « Dimmi, fratello: se qualcuno, per queste tue tribolazioni e infermità, ti desse un tesoro così grande e  prezioso, che tutta la terra fosse un nulla al suo confronto, non ne saresti felice? ». Francesco rispose: « Signore, un simile tesoro sarebbe davvero grande e prezioso, meraviglioso e desiderabile ». E sentì nuovamente quella voce: « Dunque, fratello, sii lieto e felice nelle tue malattie e tribolazioni, e d'ora in poi vivi nella sicurezza, come tu fossi già in possesso del mio regno ».
 
           La mattina, levatosi, interrogò i compagni: « Se l'imperatore donasse a un suo servo un regno intero, non dovrebbe quel servo esserne molto felice? Se gli cedesse addirittura tutto l'impero, non dovrebbe sentirsi ancor più felice? ». Soggiunse: «Ebbene, io devo godere molto per le mie infermità e tribolazioni, trarne conforto nel Signore e rendere sempre grazie a Dio Padre e al suo unico Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, e allo Spirito Santo, per la grazia così grande a me concessa: che cioè si sia degnato di dare la certezza del suo regno a me, indegno servo suo, ancora vivente e rivestito di carne. Voglio perciò, a lode di Lui, a nostra consolazione e edificazione del prossimo, comporre un nuovo Cantico delle creature del Signore, di cui ci serviamo ogni giorno e senza delle quali non possiamo vivere, e nelle quali il genere umano molto offende il suo Creatore. Noi siamo continuamente ingrati di così grandi favori e benefici, non lodando come dovremmo il Signore, creatore e datore di tutti i beni ».
 
           Sedette e si mise a riflettere per qualche tempo, e poi disse:
 
           « Altissimo, onnipotente, bono Signore » ecc. e compose anche la melodia di questo cantico, e insegnò poi ai compagni a recitarlo e a cantarlo.
 
           Era il suo spirito allora così ridondante di consolazione e di dolcezza, che voleva mandare a chiamare frate Pacifico, il quale al secolo era detto « re dei versi» e fu maestro di canto assai attraente. Voleva affiancargli alcuni frati che assieme a lui andassero per il mondo predicando e cantando le Lodi del Signore. Diceva essere questa la sua volontà: che il frate del gruppo che meglio sapeva predicare, facesse prima un discorso al popolo, e dopo la predica tutti cantassero insieme le lodi del Signore, come giullari di Dio.
 
           Finito il cantico delle lodi, voleva che il predicatore dicesse al popolo: « Noi siamo giullari di Dio, e perciò desideriamo essere remunerati da voi in questa maniera: che viviate nella vera penitenza ». Francesco soggiunse: « Che cosa sono infatti i servi di Dio, se non i suoi giullari, che devono sollevare il cuore degli uomini e condurlo alla gioia spirituale? ». Diceva questo con particolare riguardo ai frati minori, i quali sono dati al popolo di Dio per la sua salvezza.
 
 
 
PARTE NONA
 
 
DELLO SPIRITO DI PROFEZIA
 
 
 
101.
 
COME PREDISSE CHE SI FAREBBE LA PACE
 
TRA IL VESCOVO E IL PODESTA' DI ASSISI,
 
IN VIRTÙ' DELLE LODI DELLE CREATURE
 
CHE AVEVA COMPOSTO E FECE CANTARE
 
DAI SUOI COMPAGNI DAVANTI A LORO
 
 
 
1800   Dopo che il beato Francesco ebbe composto le Lodi delle creature, che chiamò Cantico di frate sole, avvenne che tra il vescovo e il podestà di Assisi scoppiasse una grande discordia, al punto che il vescovo scomunicò il podestà e questi fece proclamare dai banditori che nessuno vendesse nulla al vescovo e nulla da lui comprasse o facesse con lui contratto alcuno.
 
           Francesco era gravemente malato. Venuto a sapere di questa rottura, fu mosso a pietà per loro, massime perché nessuno si interponeva per fare la pace. Disse quindi ai suoi compagni: « E gran vergogna per noi. servi di Dio, che il vescovo e il podestà nutrano tanto odio l'uno per l'altro, e nessuno si prenda cura di ristabilire la pace tra loro ».
 
           Così, aggiunse una nuova strofa alle Lodi in quella circostanza, cioè:
 
           Laudato si, mi Signore
 
           per quelli ke perdonano per lo tuo amore
 
           et sostengo infirmitate et tribulatione.
 
           Beati quelli kel sosterranno in pace,
 
           ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
 
 
           Poi chiamò uno dei compagni e gli disse: « Vai dal podestà, e digli da parte mia, che lui con i notabili della città e quanti gli riesce di radunare, venga all'episcopio>>. E mentre quel frate si avviava, disse agli altri due compagni: « Andate alla presenza del vescovo e del podestà e alle persone che sono con loro, e cantate il Cantico di frate sole. Confido nel Signore che il canto toccherà loro il cuore, ed essi torneranno all'affetto e all'amicizia di una volta ».
 
           Infatti, quando tutti si furono riuniti nella corte del chiostro in vescovado, quei due frati si levarono, e uno di loro disse: « Il beato Francesco ha composto, durante la sua malattia, le Lodi al Signore per le sue creature, per lodare il Signore stesso e per edificazione del prossimo. Vi prega di ascoltarlo con gran devozione ». Così cominciarono a cantare. Il podestà subito si alzò, e a mani giunte, con ardente devozione e molte lacrime stette ad ascoltare quelle parole come Vangelo del Signore: poiché nutriva gran fede e devozione per Francesco.
 
           Finite che furono le Lodi del Signore, il podestà disse alla presenza di tutti: « Vi dico in tutta sincerità, che non solo perdono a messer vescovo, che io voglio e debbo tenere per mio signore; ma perdonerei anche chi mi avesse ucciso il fratello o il figlio! ». Così dicendo, si gettò ai piedi del vescovo e gli disse: « Ecco, sono pronto a soddisfarvi in ogni cosa, come a voi piacerà, per amore del Signore nostro Gesù Cristo e del suo servo frate Francesco ».
 
           A sua volta il vescovo, gli prese le mani, lo rialzò e gli disse: «Per il mio incarico, dovrei essere umile; poiché invece sono per  natura portato all'ira, cerca di perdonarmi ». E così con molto affetto e trasporto si abbracciarono e baciarono.
 
           I frati furono meravigliati e felici, vedendo compiersi alla lettera quello che Francesco aveva predetto sulla riconciliazione dei due. Tutti i presenti tennero quella pacificazione per grandissimo miracolo, attribuendo interamente ai meriti di Francesco, se così prontamente il Signore aveva visitati i due, facendoli tornare, da tanta discordia e scandalo, in tanta amicizia, scordando ogni ingiuria.
 
           E noi, che siamo vissuti con il beato Francesco, possiamo testimoniare che, quando diceva di qualcosa che è o sarà così, avveniva sempre alla lettera in quella maniera. Noi abbiamo visto così numerosi e grandi fatti, che sarebbe lungo scriverli e raccontarli.
 
 
 
102.
 
COME PREVIDE LA SORTE DI UN FRATE,
 
CHE NON VOLEVA CONFESSARSI, COL PRETESTO
 
Dl OSSERVARE IL SILENZIO
 
 
 
1801  Ci fu un frate, esteriormente di vita onesta e santa, che giorno e notte si faceva vedere sollecito nell'orazione, e osservava un silenzio così ininterrotto che, quando andava a confessarsi dal sacerdote, lo faceva solo con segni, non con parole. Si mostrava inoltre così devoto e fervente nelI'amore di Dio, che sedendo con gli altri fratelli, pur tacendo, si allietava mirabilmente nell'aspetto e nel cuore ascoltando parole buone, e così induceva spesso a devozione gli altri frati.
 
           Senonché, quando ormai da più anni perseverava in questo suo modo di vivere, accadde che il beato Francesco si recasse nel luogo dove quello dimorava. Quando intese dai frati la sua condotta, disse loro: « Sappiate in verità che questa è una tentazione diabolica, perché non vuole confessarsi ».
 
           Frattanto il ministro generale venne colà a visitare Francesco, e cominciò a lodare quel frate alla presenza del Santo. Ma Francesco gli disse: « Credimi, fratello, che costui è guidato e ingannato dallo spirito maligno ». Il ministro generale replicò: « Mi pare strano e quasi incredibile che sia questa la situazione di un uomo che mostra tanti segni e opere di santità ».
 
           Francesco ribatté: « Mettilo alla prova, dicendogli che si confessi due volte o almeno una per settimana. Se non ti darà ascolto, sappi che è vero quello che ti ho detto ».
 
           Disse dunque il ministro generale a quel frate: « Frate, voglio assolutamente che tu ti confessi due volte o almeno una per settimana ».
 
            Ma colui si pose il dito sulla bocca, crollando il capo e mostrando con gesti che mai avrebbe fatto ciò, per amore del silenzio. Il ministro, non volendo esacerbarlo, lo lasciò andare. Ma dopo non molti giorni quel frate uscì dall'Ordine di propria volontà, ritornò nel mondo e riprese l'abito secolare.
 
 
           Mentre un giorno due compagni di Francesco passavano per una strada, lo incontrarono che camminava da solo, come un poverissimo viandante. E presi da compassione gli dissero: « O misero, dov'è la tua onesta e santa vita? Tu che non volevi parlare e mostrarti ai tuoi fratelli, vai ora ramingo per il mondo come un uomo che non conosce Dio ». Quello allora cominciò a parlare, giurando spesso sulla sua fede, come sogliono i secolari. Gli dissero i frati: « O misero perché giuri sulla tua fede come i secolari, tu che ti astenevi non solo dalle parole oziose, ma da tutte? ».
 
           Così lo lasciarono. E quello poco dopo venne a morte. E noi ci meravigliammo molto, vedendo avverarsi così alla lettera quanto Francesco aveva predetto di lui, in un tempo in cui quel misero era stimato santo dai fratelli.
 
 
 
103.
 
DI UNO CHE PIANGEVA DAVANTI A FRANCESCO
 
PER ESSERE ACCOLTO NELL' ORDINE
 
 
 
1802   Ai tempi in cui nessuno veniva accolto nell'Ordine senza il permesso di Francesco, il figlio d'un nobiluomo di Lucca venne con molti altri, intenzionati a entrare nell'Ordine, da Francesco, che era allora malato nel palazzo del vescovo di Assisi.
 
           Presentatisi quelli a Francesco, il giovane si inchinò davanti a lui e cominciò a piangere forte, supplicandolo di accoglierlo. Francesco fissandolo, disse: « O misero uomo carnale, perché mentisci allo Spirito Santo e a me? Tu piangi, ma carnalmente, non spiritualmente! ».
 
           Ebbe appena dette queste parole, che subito vennero i parenti di lui a cavallo, per prenderlo e condurlo fuori del palazzo. E lui udendo i fremiti dei cavalli, si affacciò a una finestra, scorse i suoi parenti e subito discese da loro e, come Francesco aveva previsto, ritornò con essi nel mondo.
 
 
 
104.
 
DELLA VIGNA DI UN SACERDOTE, CHE ERA STATA
 
SPOGLIATA DELLE UVE A CAUSA DI FRANCESCO
 
 
 
1803    Presso la chiesa di San Fabiano, nei pressi di Rieti, Francesco abitava con un povero sacerdote, a motivo del suo male di occhi. In quella città si trovava allora papa Onorio con tutta la sua corte. Molti cardinali e altri grandi prelati venivano quasi ogni giorno a visitare Francesco, per la devozione che li stringeva a lui.
 
           Possedeva quella chiesa una modesta vigna, vicino alla casa in cui Francesco abitava. La casa aveva una porta da cui entravano nella vigna quasi tutti i visitatori, sia perché il luogo era molto ameno, sia perché l'uva era matura. E così tutta la vigna era stata come devastata e spogliata delI'uva. Il prete ne rimase indignato e si lagnò: « Sebbene sia una vigna piccola, tuttavia ci facevo tanto vino, quanto bastava al mio bisogno. Ed ecco che quest'anno ho perduto la vendemmia ».
 
           Francesco lo venne a sapere e, chiamato il sacerdote, gli disse: «Non voglio, messere, che ti avvilisca per il danno. Non possiamo ora farci nulla. Ma abbi fiducia nel Signore il quale, per riguardo a me, può rifarti interamente del danno. Dimmi: quante some di vino avesti, I'anno più favorevole? ». Rispose il sacerdote: « Dieci some, padre ». Concluse Francesco: « Non ti contristare, adesso, né dire ad alcuno parole ingiuriose per questo, ma abbi fiducia in Dio e nelle mie parole, e se avrai meno di venti some di vino, te le farò riempire io ».
 
           Il sacerdote allora si chetò e stette zitto. Al tempo della vendemmia, per favore divino, ottenne da quella vigna venti some di vino, e non meno. Molto ne stupì il sacerdote e tutti quelli che vennero a sapere la cosa, dicendo che se la vigna fosse stata gremita di uve, sarebbe stato impossibile che rendesse venti some di vino.
 
           Noi, che siamo vissuti con lui, offriamo testimonianza che in questo fatto e in tutte le altre cose predette da lui, sempre si compì alla lettera la sua parola.
 
 
 
105.
 
DEI CAVALIERI DI PERUGIA CHE IMPEDIVANO
 
LA SUA PREDICAZIONE
 
 
 
1804   Un giorno che san Francesco predicava nella piazza di Perugia a una grande folla ivi convenuta, ecco dei cavalieri perugini irrompere e correre a cavallo per la piazza giocando con le armi, sì da impedire la predica. E non la smettevano, nonostante le proteste della gente.
 
           Allora Francesco si rivolse a loro e disse con accento ispirato: «Statemi a sentire e cercate di comprendere quello che il Signore vi annunzia per mezzo di me, suo povero servo! E non state a dire:--Quello è un assisano! ». (Disse così perché tra perugini e assisani c'era e c'è un antico rancore). E continuò: « Il Signore vi ha reso più potenti di tutti i vostri vicini, e per questo dovete a più forte ragione riconoscere il vostro Creatore, umiliandovi davanti a Lui, non solo, ma facendovi affabili con i vicini. Ma il vostro  cuore è salito in superbia, e voi vi divertite a devastare le terre dei vicini e molti ne uccidete. E perciò vi dico che, se non ritornerete subito a Dio, rendendo soddisfazione a quelli che avete offesi, il Signore, che non lascia nulla di impunito, a vostra più cocente vendetta e punizione e vergogna, vi farà sorgere gli uni contro gli altri. Scoppierà una sommossa e una guerra civile, in modo che sopporterete tante tribolazioni, quante i vostri vicini non potrebbero infliggervi ».
 
           Il beato Francesco non taceva mai i vizi del popolo, quando predicava, ma tutti rimproverava pubblicamente e coraggiosamente. Il Signore gli aveva concesso però tanta grazia, che tutti quelli che lo vedevano e udivano, di qualunque stato e condizione fossero, lo temevano e veneravano molto rimanendo sempre edificati dalle sue parole, e si convertivano al Signore, pentendosi nella loro coscienza.
 
           Di lì a pochi giorni Dio permise che scoppiasse in Perugia una contesa fra i nobili e il popolo, e il popolo finì col cacciare i nobili dalla città. I cavalieri, appoggiati dalla Chiesa che li aiutava, devastarono i campi, le vigne, gli alberi, facendo al popolo tutto il male che potevano. A sua volta, il popolo devastò tutti i beni dei nobili. Così, secondo la parola di san Francesco, popolo e cavalieri furono puniti.
 
 
 
106.
 
COME PREVIDE LA TENTAZIONE INTIMA DI UN FRATE
 
 
 
1805    Un frate di grande spiritualità e amico del beato Francesco ebbe a soffrire per molti giorni gravissime suggestioni diaboliche, così da esser tratto quasi al profondo della disperazione. Ed era tormentato ogni giorno in tal modo, da vergognarsi di confessarsi così spesso, e si affliggeva per questo con molte astinenze, veglie, lacrime e flagellazioni.
 
           E avvenne che, per divina disposizione, il Santo si recò in quel luogo. Un giorno che quel frate camminava con Francesco, questi conobbe per opera dello Spirito Santo la tribolazione e tentazione dell'amico; e scostandosi un momento dall'altro frate che lo accompagnava, si unì a quel tribolato e gli disse: « Fratello carissimo, voglio che d'ora in poi tu tralasci di confessare quelle tentazioni diaboliche, e non temere che abbiano a nuocere all'anima tua, ma con mia licenza recita sette Pater noster ogni volta che sarai assalito >>.
 
           Quel frate fu molto rasserenato dalle parole che il Santo gli aveva detto, e cioè che non era tenuto a confessare le tentazioni, poiché era di questo che più si affliggeva. E molto si meravigliò, vedendo che Francesco conosceva quello che era noto ai soli sacerdoti cui si era confessato.
 
           Egli fu immediatamente libero da quella tribolazione. D'allora in poi, per la grazia di Dio e i meriti di Francesco, egli visse in grandissima pace e tranquillità. Il Santo sperava proprio questo, e lo dispensò di conseguenza dalla confessione con tutta sicurezza.
 
 
 
107.
 
DELLE PREDIZIONI CHE FECE INTORNO A FRATE BERNARDO,
 
E COME TUTTE SI REALIZZARONO COME AVEVA DETTO
 
 
 
1806   Essendogli stata preparata, mentre era vicino a morte, una vivanda delicata, il Santo si ricordò di Bernardo, che era stato il suo primo fratello, e disse ai compagni: « Questo cibo è buono per frate Bernardo ». E subito lo mandò a chiamare.
 
           Quando fu arrivato, si mise a sedere presso il letto ove il Santo giaceva, e gli disse: « Padre, ti prego che tu mi benedica e mi mostri il tuo amore, poiché se mi mostrerai il tuo affetto paterno, credo che Dio stesso e tutti i fratelli mi ameranno di più ».
 
           Francesco non riusciva a vederlo, perché da parecchi giorni aveva perduto la vista, ma stese la mano destra e la pose sul capo di Egidio, che fu il terzo frate, credendo di metterla sul capo di Bernardo che gli sedeva accanto. Ma se ne accorse subito, ad opera dello Spirito Santo, e disse: « Questo non è il capo del mio fratello Bernardo! ».
 
           Allora questi gli si fece più dappresso, e Francesco ponendogli la mano sul capo, lo benedisse rivolgendosi a uno dei compagni: « Scrivi quello che ti dirò. Il primo fratello che il Signore mi ha dato è Bernardo. Fu lui che cominciò a osservare perfettamente il Vangelo, distribuendo ai poveri tutti i suoi averi. Per questo e per gli altri suoi molti meriti, sono obbligato a prediligerlo tra gli altri frati di tutto l'Ordine. Voglio quindi e ordino, in quanto posso, che chiunque sarà ministro generale lo ami e lo onori come me stesso. Anche i ministri e tutti i fratelli dell'Ordine lo trattino nel modo che tratterebbero me ».
 
           Da queste parole Bernardo e gli altri furono grandemente consolati. E in altra occasione, considerando Francesco la perfezione di Bernardo, alla presenza di alcuni frati, fece su di lui questa profezia: « Vi dico che a Bernardo sono stati inviati alcuni fra i grandi e astutissimi demoni, che lo sottopongano a molte tribolazioni e tentazioni, per esercitarlo nella virtù. Ma il Signore misericordioso, quando egli si appresserà alla fine, allontanerà da lui ogni tribolazione e tentazione, e infonderà nel suo spirito e nel suo corpo tanta pace e consolazione, che tutti i frati che vedranno ciò, ne stupiranno e lo terranno in conto di grande miracolo. E in quella pace e consolazione di corpo e d'anima, egli migrerà al  Signore ».
 
           Queste predizioni, non senza meraviglia dei frati che le avevano udite da Francesco, si avverarono alla lettera in Bernardo. Poiché nella malattia che lo portò a morte, Bernardo era immerso in tanta pace e conforto di spirito, che non voleva restare steso a letto, e se vi si adagiava, restava quasi seduto, affinché la fumosità, anche levissima salendogli alla testa, non potesse, con il sonno o altre immagini, turbare la meditazione di Dio.
 
           Se talvolta gli succedeva questo, Bernardo si levava immediatamente e si scoteva dicendo: « Cosa è stato? a cosa sto pensando? ». E neppure voleva prendere i medicinali, e a chi glieli offriva, diceva: « Non mi disturbare! ». E per morire più liberamente e serenamente, affidò la cura del suo corpo nelle mani di un fratello medico, dicendogli: « Non voglio avere pensieri di mangiare o bere, ma li affido a te. Se tu me ne darai, li prenderò; se no, non chiederò ».
 
           Da quando cominciò quella malattia, volle sempre avere vicino a sé, fino alla morte, un sacerdote; e quando gli veniva in mente qualcosa che gli pesasse sulla coscienza, subito la confessava.
 
           Dopo morto, diventò bianco, la sua carne si fece morbida, e sembrava quasi che egli ridesse. Per cui era più bello che da vivo; e tutti provavano più gioia a contemplarlo morto che non vivo, poiché sembrava veramente un santo sorridente.
 
 
 
108.
 
COME, VICINO ALLA MORTE, MANDO' A DIRE A CHIARA
 
CHE LO AVREBBE VEDUTO;
 
E CIO' SI COMPI' DOPO LA SUA MORTE
 
 
 
1807   Nella settimana in cui il beato Francesco morì, Chiara, prima pianticella delle Sorelle Povere di San Damiano in Assisi, discepola meravigliosa di Francesco nell'osservare la perfezione evangelica, temeva di morire prima di lui, poiché erano allora ambedue malati gravemente. Piangeva amaramente, e non poteva consolarsi, pensando che non avrebbe potuto vedere, prima della sua morte, Francesco, unico padre suo dopo Dio, suo consolatore e maestro, che per primo l'aveva stabilita nella grazia di Dio.
 
           Chiara, per mezzo di un frate, espresse la sua ansia a Francesco; e il Santo, all'udire ciò, poiché la amava di particolare paterno affetto, sentì compassione di lei. Ma considerando che non poteva essere esaudito il desiderio di lei, cioè di vederlo, Francesco, per consolarla insieme con le sorelle tutte, inviò a Chiara in scritto la sua benedizione, assolvendola da qualunque mancanza, se ne avesse commesso, contro le sue ammonizioni e contro i comandi e i consigli del Figlio di Dio. E affinché ella lasciasse ogni dolore e accoramento, disse al frate inviatogli da lei: « Va', e di' a sorella Chiara che deponga il dispiacere e la tristezza di non potermi vedere ora; sappia però in verità che, prima della sua morte, tanto lei che le sue sorelle mi rivedranno e ne avranno grande consolazione ».
 
 
1808   Quando, non molto tempo dopo, nella notte Francesco morì; al mattino venne tutto il clero e popolo della città di Assisi, e portarono con sé dal luogo dove era morto, il corpo santo di lui, cantando inni e laudi, e recando ognuno rami di alberi. Per volontà del Signore, la salma fu fatta sostare a San Damiano, e così ebbe  compimento la parola che il Signore aveva detto per bocca di Francesco, a conforto delle sue figlie e ancelle.
 
           E tolta la grata di ferro attraverso la quale le sorelle solevano comunicarsi e udire la parola di Dio, i frati levarono dalla lettiga funebre il corpo del Santo e lo tennero tra le braccia lungamente presso quella finestra, finché Chiara e le sue sorelle si furono consolate, sebbene fossero tutte piene e disfatte di dolore e lacrime, vedendosi private dei conforti e delle esortazioni di un tale Padre.
 
 
 
109.
 
COME PREDISSE CHE IL SUO CORPO SAREBBE ONORATO
 
DOPO LA MORTE
 
 
 
1809  Un giorno, mentre giaceva malato nell'episcopio di Assisi, un frate di viva spiritualità gli disse, sorridendo e a modo di scherzo: « A quanto venderesti al Signore tutti i tuoi sacchi? Molte stoffe preziose e drappi di seta saranno posti sopra questo tuo piccolo corpo che ora è avvolto nel sacco ». E infatti, il Santo in quel momento aveva un copricapo coperto di sacco, e di sacco era vestito.
 
           San Francesco, o meglio lo Spirito Santo in lui, rispose e furono parole di gran fervore e gioia: « Tu dici il vero, poiché sarà proprio così, per lode e grazia del mio Dio! ».
 
 
 
PARTE DECIMA
 
 
COME LA DIVINA PROVVIDENZA LO AIUTO'
 
NELLE NECESSITA' ESTERIORI
 
 
 
110.
 
COME IL SIGNORE PROVVIDE AI FRATI CHE SEDEVANO
 
A POVERA MENSA CON IL MEDICO
 
 
 
1810   Francesco dimorava nell'eremo di Fonte Colombo, presso Rieti, ed essendo malato di occhi, un medico venne un giorno a visitarlo .
 
           L'oculista si trattenne un certo tempo e, al momento che stava per andarsene, Francesco si rivolse a uno dei compagni: « Andate e date da mangiare bene al medico ». Gli rispose: « Padre, ci dispiace dirtelo: ma siamo adesso tanto poveri, che ci vergognamo di invitarlo a mangiare ». Rispose il Santo ai compagni: « O uomini di poca fede, non me lo fate ripetere! ». Intervenne il medico: « Fratello, per il fatto che sono poveri frati, più volentieri ci tengo a mangiare con loro ». Quel medico era molto ricco, e, sebbene fosse stato varie volte invitato da Francesco e dai compagni, non aveva mai voluto mangiare  con loro.
 
           I frati andarono a preparare la mensa e, vergognandosi, vi posero un po' di pane e vino e dei legumi che avevano preparato per sé. Sedutisi alla mensa poverella, avevano appena cominciato a mangiare, che sentirono bussare alla porta del luogo. Uno dei frati si alzò e andò ad aprire: c'era una donna con un canestro pieno di bel pane e pesce, un pasticcio di gamberi, miele e uva, che la signora di un castello distante da quel luogo quasi sette miglia, mandava in dono a Francesco.
 
           Vedendo questo, i frati e il medico rimasero attoniti, e si rallegrarono considerando la santità di Francesco, tutto attribuendo ai meriti di lui. Disse il medico: « Cari fratelli né voi, come pur dovreste, né noi conosciamo la santità di quest'uomo».
 
 
 
 
111.
 
DEL PESCE CHE DESIDERAVA DURANTE LA SUA MALATTIA
 
 
1811   In altra occasione, quando era gravemente infermo nel palazzo vescovile di Assisi, i frati lo pregavano di mangiare. Francesco rispose: « Non ho voglia di mangiare; se però avessi di quel pesce che si chiama squalo, forse lo mangerei ».
 
           Ebbe appena espresso questo desiderio, che si fece avanti un tale con un canestro dove erano, ben cucinati, tre grandi squali, e pasticci di gamberi, che il Santo mangiava volentieri. Glieli inviava frate Gerardo, ministro a Rieti.
 
           I frati ammirarono la divina Provvidenza, lodando il Signore che aveva provveduto al suo servo un alimento che, essendo inverno, non era possibile trovare in Assisi.
 
 
112.
 
DEL CIBO E DEL PANNO CHE, PRESSO A MORIRE,
 
EGLI DESIDERAVA
 
 
1812   Stava il Santo, infermo dell'ultima malattia che lo portò a morte, nel luogo di Santa Maria degli Angeli. Un giorno chiamò i suoi compagni e disse loro: « Voi sapete come Donna Jacopa de Settesoli è vivamente devota a me e al nostro Ordine. Credo perciò ch'ella considererà grande favore e consolazione se la informiamo del mio stato. Domandatele specialmente che mi faccia avere del panno monacale color cenere e, insieme, mi mandi anche di quel dolce che a Roma preparò per me più volte». I romani chiamano quel dolce: mostaccioli, ed è fatto di mandorle, zucchero e altri ingredienti.
 
           Quella nobildonna era molto religiosa, una delle vedove più nobili e ricche di Roma. Per i meriti e la predicazione di Francesco, aveva ricevuto dal Signore la grazia di emulare, nelle lacrime e nel fervore, nell'amore e nell'appassionata dedizione a Cristo, Maria Maddalena.
 
           Scrissero dunque una lettera come aveva detto il Santo; e un frate andava cercando un compagno che recapitasse alla nobildonna la lettera, quando fu picchiato alla porta del luogo. Un frate aprì, ed ecco, lì in persona, Donna Jacopa, venuta con gran fretta a visitare  Francesco.
 
           Un frate la riconobbe e si recò immediatamente da Francesco, annunziandogli con grande gioia che Donna Jacopa era venuta da Roma con suo figlio e molto seguito a fargli visita. Soggiunse: « Cosa facciamo, padre? Possiamo lasciarla entrare da te? ». Disse questo, perché per volontà di Francesco era stato deciso che in quel luogo, per preservarne il decoro e il raccoglimento, non vi entrasse alcuna donna. Ma il Santo disse: « Tale regola non va osservata per questa nobildonna, che una grande fede e devozione ha fatto accorrere qui da tanto lontano ».
 
           Così Donna Jacopa entrò dal beato Francesco, scoppiando in lacrime davanti a lui. E, cosa mirabile, portava con sé il panno mortuario, color cenere, per fare una tonaca, e le altre cose contenute nella lettera, come se l'avesse ricevuta in antecedenza.
 
           La signora disse ai frati: « Fratelli miei, mentre pregavo ebbi questa ispirazione:--Va' a visitare il tuo padre Francesco; affrettati, non indugiare; ché, tardando, non lo troveresti più vivo. E portagli il tale panno per la tonaca e tali altre cose, per fargli quel dolce. Inoltre, porta con te gran quantità di cera per farne delle candele, e anche dell'incenso ---». Questo, tranne che l'incenso, era annotato nella lettera che si stava per recapitarle.
 
           E così avvenne che Colui, il quale ispirò ai re Magi di andare con doni a onorare il Figlio suo nel giorno della sua nascita, ispirò anche a quella nobile e santa signora di recarsi con doni a onorare il suo dilettissimo servo nei giorni della sua morte, o meglio della sua vera nascita.
 
           Preparò quella signora il cibo che il Santo desiderava mangiare, ma egli ne mangiò ben poco, perché sempre più gli mancavano le forze e si avvicinava alla morte.
 
           Fece fare anche molte candele che, dopo la morte del Santo, ardessero intorno alla sua salma; e con il panno, i frati confezionarono la tonaca con la quale venne sepolto. Francesco stesso ordinò ai frati di cucirgli del sacco sulla veste che portava, in segno ed esempio di umiltà e di sovrana povertà. E in quella settimana in cui era venuta Donna Jacopa, il nostro santissimo padre migrò al Signore.
 
 
PARTE UNDICESIMA
 
 
DEL SUO AMORE ALLE CREATURE
 
E DELLE CREATURE PER LUI
 
 
113.
 
DELL' AMORE STRAORDINARIO CHE EBBE
 
PER GLI UCCELLI CHIAMATI
 
ALLODOLE CAPPELLACCE,
 
PERCHÉ RAFFIGURANO IL BUON RELIGIOSO
 
 
813     Tutto assorbito nell'amore di Dio, Francesco  scorgeva perfettamente la bontà di Dio non solo nell'anima già splendente di ogni perfezione di virtù, ma anche in ogni creatura. E per questo si volgeva con singolare caldo affetto alle creature, particolarmente a quelle in cui vedeva la traccia di una qualità di Dio o di qualcosa che aveva attinenza con la vita religiosa.
 
           Fra tutti gli uccelli prediligeva il piccolo volatile chiamato allodola, comunemente detta « allodola cappellaccia ». Diceva di lei: « La sorella allodola ha il cappuccio come i religiosi, ed è umile uccello, che va volentieri in cerca di qualche granellino, e se ne trova anche tra i rifiuti, lo tira fuori e lo mangia. Volando, loda il Signore soavemente, simile ai buoni religiosi che, staccati dalle cose del mondo, vivono sempre rivolti al cielo, e la cui volontà non brama che la lode di Dio. Il vestito dell'allodola, il suo piumaggio cioè, ha il colore della terra: così offre ai religiosi l'esempio di non avere vesti eleganti e di belle tinte, ma di modesto prezzo e colore somigliante alla terra, che è l'elemento più umile ».
 
           E siccome ammirava nelle allodole queste caratteristiche, era felice di vederle. Piacque perciò al Signore che questi uccelletti mostrassero al Santo un segno di affetto nell'ora della sua morte. La sera del sabato, dopo il tramonto che precedette la notte in cui Francesco migrò al Signore, una moltitudine di allodole venne sopra il tetto della casa in cui giaceva, e volando adagio a ruota, facevano come un cerchio intorno al tetto e, cantando dolcemente, parevano lodare il Signore.
 
 
 
114.
 
COME VOLEVA PERSUADERE L' IMPERATORE
 
A EMANARE UN EDITTO DECRETANTE CHE,
 
NEL NATALE DEL SIGNORE,
 
GLI UOMINI PROVVEDESSERO GENEROSAMENTE
 
AGLI UCCELLI, AL BUE E ALL' ASINO, E AI POVERI
 
 
 
1814   Noi che siamo vissuti con Francesco e abbiamo scritto questi ricordi, siamo testimoni di averlo sentito dire molte volte: « Se potessi parlare con l'imperatore, lo supplicherei e convincerei a fare, per amore di Dio e di me, una legge speciale: che nessun uomo catturi o uccida le sorelle allodole o faccia loro alcun male. E inoltre che tutti i podestà delle città e i signori dei castelli e villaggi siano obbligati ogni anno, nel giorno di Natale, a comandare alla gente di gettare frumento e altri cereali per le strade, fuori delle città e dei castelli, affinché le sorelle allodole e gli altri uccelli abbiano da mangiare in un giorno tanto solenne. E per reverenza verso il Figlio di Dio, che quella notte la vergine Maria depose in una greppia tra il bue e l'asino, chiunque abbia bue e asino sia obbligato a fornire loro generosamente delle buone biade. Così pure, che quel giorno tutti i poveri abbiano in dono dai ricchi copiose ottime vivande».
 
           Francesco aveva maggior reverenza per il Natale che per le altre festività. Diceva: « Dopo che il Signore nacque per noi, cominciò la nostra salvezza ». Voleva perciò che quel giorno ogni cristiano esultasse nel Signore e per amore di lui, che ci donò se stesso, tutti provvedessero largamente non solo ai poveri, ma anche agli animali e agli uccelli.
 
 
 
115.
 
DEL SUO AMORE AL FUOCO, E COME IL FUOCO GLI OBBEDI'
 
QUANDO EBBE A SUBIRE UN CAUTERIO
 
 
 
1815   Costretto per obbedienza dal cardinale di Ostia e da frate Elia, ministro generale, a recarsi all'eremitaggio di Fonte Colombo, presso Rieti, per curarsi dal male di occhi, un giorno il medico venne a vederlo. E notando lo stato del male, disse a Francesco che voleva fargli un cauterio da sopra la mascella fino al sopracciglio dell'occhio più malato. Ma Francesco non voleva si cominciasse il trattamento prima dell'arrivo di Elia, il quale aveva detto di voler essere presente all'intervento; il Santo provava disagio e gli pesava di avere tanta preoccupazione per la salute, perciò voleva che il ministro generale ne avesse iniziativa e responsabilità.
 
           Lo aspettarono, dunque, ma Elia non veniva, a causa dei molti impegni che lo trattenevano; così Francesco permise alla fine al medico di fare quello che voleva. Il ferro fu messo ad arroventare nel fuoco, e il Santo, per rafforzare l'animo contro la paura, parlò al fuoco: « Fratello mio fuoco, nobile e utile fra le altre creature, sii gentile con me in questa ora, poiché sempre ti ho amato e ti amerò, per amore di Colui che ti ha creato. Prego il Creatore che ci ha fatto, affinché temperi il tuo ardore, in modo che lo possa sopportare ». E finita la orazione, tracciò sul fuoco il segno della croce.
 
           Noi che in quel momento eravamo con Francesco, fuggimmo tutti per pietà e compassione verso di lui, e solo rimase il medico. Terminata la cauterizzazione, tornammo dal Santo, che ci disse: « Uomini paurosi e di poca fede, perché scappaste? Vi dico in verità che non ho sentito nessun dolore per la bruciatura. Anzi, se la cauterizzazione non è ben riuscita, la si rifaccia più forte ».
 
           Il medico, trasecolato, disse: « Fratelli miei vi confesso che temevo non potesse soffrire un intervento simile, debole e malato com'è, quando non ce la farebbe forse nemmeno l'uomo più vigoroso. Non ha fatto il minimo movimento né mostrato il più piccolo segno di dolore ».
 
           Fu necessario cauterizzare tutte le vene, dall'orecchio al sopracciglio, ma non giovò a nulla. Un altro medico gli perforò entrambe le orecchie con un ferro incandescente. ancora senza risultato.
 
           Non meravigliamoci se il fuoco e le altre creature talvolta gli obbedivano e lo veneravano. Noi, che siamo vissuti con lui, abbiamo visto spessissimo quanto amava le creature, quanto godeva di esse; il suo spirito era preso da tanta tenerezza e compassione, che non voleva fossero trattate duramente. Parlava loro con una gioia che lo  pervadeva nel cuore e negli atti, come si trattasse di esseri dotati di ragione; e sovente, in questi casi, era rapito in Dio.
 
 
 
116.
 
COME NON VOLLE SPEGNERE NÉ PERMETTERE FOSSE
 
SPENTO IL FUOCO CHE GLI BRUCIAVA LE BRACHE
 
 
 
1816  Fra tutte le creature inferiori all'uomo e non dotate di sentimento, Francesco aveva una simpatia particolare per il fuoco, di cui ammirava la bellezza e l'utilità. E per questo non volle mai impedire la sua azione.
 
           Una volta che sedeva presso al fuoco, questo, senza che egli se ne accorgesse, si appiccò ai suoi panni di lino, le brache, all'altezza del ginocchio. Pur sentendo il bruciore del fuoco, non voleva però spegnerlo. Il compagno, vedendo che i panni del Santo bruciavano, corse verso di lui con l'intenzione di estinguere il fuoco, ma Francesco glielo proibì: « No, fratello carissimo, non fare male al fuoco! ». E non ci fu modo di indurlo a spegnerlo.
 
           Allora quel compagno si precipitò dal frate guardiano del Santo, lo condusse da Francesco e immediatamente estinse il fuoco, contro il volere di lui. Da allora, per urgente che fosse la necessità, il Santo non volle mai spegnere il fuoco, nemmeno una lampada o una candela, tanto era l'affetto che nutriva per questa creatura.
 
           Non voleva neppure che un fratello gettasse del fuoco o un tizzone fumante da un luogo a un altro, come suol farsi, ma voleva lo si ponesse delicatamente per terra, per reverenza a Colui di cui il fuoco è creatura.
 
 
 
117.
 
COME NON VOLLE PIU' PORTARE UNA PELLE,
 
CHE NON AVEVA LASCIATA BRUCIARE
 
 
 
1817   Un giorno, mentre il Santo faceva una quaresima su] monte della Verna, il suo compagno accese il fuoco nella celletta dove il Santo prendeva i pasti. Poi andò nell'altra celletta, dove Francesco pregava, portando con sé il messale per leggergli il Vangelo del giorno. Era infatti abitudine del Santo di ascoltare, prima della refezione, il Vangelo del giorno, quelle volte che non aveva partecipato alla Messa.
 
           Quando giunse per prendere il cibo nella celletta in cui stava acceso il fuoco, ecco già la fiamma salire fino al tetto e incendiarlo. Il compagno cominciò a spegnere il fuoco, come poteva, ma da solo non ci riusciva. Francesco, che non voleva aiutarlo, prese una pelle che alla notte teneva su di sé e andò nella selva.
 
           I frati del luogo, che dimoravano lontani da quella celletta, come si avvidero che bruciava, accorsero tosto ed estinsero le fiamme. Più tardi tornò Francesco per mangiare. Finito il pasto, si rivolse al compagno: « Non voglio più coprirmi d'ora innanzi con questa pelle, poiché per la mia avarizia non ho lasciato che fratello fuoco la divorasse ».
 
 
 
118.
 
DEL SUO SINGOLARE AMORE PER L' ACQUA, LE PIETRE,
 
GLI ALBERI E I FIORI
 
 
 
1818    Dopo il fuoco, il suo amore andava specialmente all'acqua, simbolo della santa penitenza e tribolazione, che purificano le sporcizie dell'anima; e perché il primo bagno delI'anima si fa per mezzo dell'acqua battesimale.
 
           Quando si lavava le mani, sceglieva un posto dove l'acqua scorrente non venisse pesticciata dai piedi E quando camminava sulle pietre, avanzava con gran delicatezza e rispetto, per amore di Colui che è chiamato Pietra. E nel recitare quel versetto del salmo: Tu mi elevi sulla pietra, diceva con gran reverenza e devozione queste parole: Mi hai collocato più giù che i piedi della pietra.
 
           Al frate che tagliava la legna e la preparava per il fuoco, raccomandava di non abbattere mai tutto l'albero, ma tagliasse gli alberi in modo che ne rimanesse sempre una parte intatta, e ciò per amore di Colui che volle operare la nostra salvezza sul legno della croce.
 
           Anche al frate che lavorava l'orto diceva di non coltivare tutto il terreno per le erbe commestibili, ma ne lasciasse qualche parte libera di produrre erbe verdeggianti che alla loro stagione producessero i fratelli fiori; e ciò per amore di Colui che è chiamato fiore del campo e giglio delle valli.
 
           Diceva ancora che il frate ortolano dovrebbe sempre fare un bel giardinetto in una parte dell'orto, dove seminare e mettere ogni tipo di erbe odorose e le piante che producono bei fiori, affinché invitino, nella stagione loro, gli uomini che le vedono alla lode di Dio. Infatti ogni creatura dice: « Dio mi ha creata per te, o uomo! ».
 
           Noi che siamo vissuti con lui, lo vedevamo rallegrarsi interiormente ed esteriormente di quasi tutte le creature, così che, toccandole o mirandole, il suo spirito sembrava essere in cielo, non in terra. E per le grandi gioie che aveva ricevuto e riceveva dalle creature, egli compose, poco prima della sua morte, alcune Lodi del Signore per le sue creature, per incitare alla lode di Dio i cuori di coloro che le udissero, e cosi il Signore fosse lodato dagli uomini nelle sue creature.
 
 
 
119.
 
COME LODAVA IL SOLE E IL FUOCO SU TUTTE
 
LE ALTRE CREATURE
 
 
 
1819   Al di sopra di tutte le creature non dotate di ragione, Francesco amava particolarmente il sole e il fuoco. Diceva: « Al mattino, quando sorge il sole, ogni uomo dovrebbe lodare Dio che ha creato il sole per nostra utilità, poiché è per suo mezzo che i nostri occhi sono illuminati durante il giorno; la sera, quando scende la notte, ogni uomo dovrebbe lodare Dio per fratello fuoco, a mezzo del quale i nostri occhi sono illuminati nella notte. Tutti siamo come dei ciechi, ed è mediante questi due nostri fratelli che il Signore dà luce ai nostri occhi. Dobbiamo lodare il Signore specialmente per queste creature e per le altre, di cui usiamo ogni giorno >>. Francesco fece sempre così, fino al giorno della sua morte.
 
           Quando la malattia si faceva più grave, egli cominciava a cantare le Lodi di Dio per le sue creature, cantico composto da lui . Faceva cantare anche i suoi compagni, affinché, assorti nella lode del Signore, dimenticassero l'acerbità dei dolori e della malattia di lui.
 
           Giudicava e diceva che il sole è il più bello di tutte le creature e più rassomiglia al Signore, tanto che nella Scrittura il Signore stesso è chiamato Sole di giustizia. Perciò, nel dare un titolo alle Lodi da lui composte sulle creature di Dio, quando il Signore gli ebbe dato la certezza di possedere il suo regno, le chiamò Cantico di frate sole.
 
 
 
120.
 
QUESTA E' LA LODE CHE COMPOSE QUANDO IL SIGNORE
 
LO FECE CERTO DEL SUO REGNO
 
 
 
1820  Altissimo, onnipotente, bon Signore,
 
tue so le laude, la gloria e l'onore e onne benedizione.
 
           A te solo, Altissimo, se confano
 
e nullo omo è digno te mentovare.
 
           Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature,
 
spezialmente messer lo frate Sole,
 
lo quale è iorno, e allumini noi per lui.
 
           Ed ello è bello e radiante cun grande splendore:
 
de te, Altissimo, porta significazione.
 
           Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle:
 
in cielo l'hai formate clarite e preziose e belle.
 
           Laudato si, mi Signore, per frate Vento,
 
e per Aere e Nubilo e Sereno e onne tempo
 
per lo quale a le tue creature dai sostentamento.
 
           Laudato si, mi Signore, per sor Aqua,
 
la quale è molto utile e umile e preziosa e casta.
 
           Laudato si, mi Signore, per frate Foco,
 
per lo quale enn'allumini la nocte:
 
ed ello è bello e iocundo e robustoso e forte.
 
           Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre Terra,
 
la quale ne sostenta e governa,
 
e produce diversi fructi con coloriti
 
flori ed erba.
 
           Laudato si, mi Signore, per quelli che
 
perdonano per lo tuo amore
 
e sostengo infirmitate e tribulazione.
 
 
           Beati quelli che 'I sosterranno in pace,
 
ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
 
           [Laudato si, mi Signore, per sora nostra
 
           Morte corporale,
 
da la quale nullo omo vivente po' scampare.
 
           Guai a quelli che morrano ne le peccata
 
           mortali !
 
Beati quelli che trovarà ne le tue sanctissime
 
voluntati,
 
ca la morte seconda no li farrà male].
 
           Laudate e benedicite mi Signore, e rengraziate
 
e serviteli cun grande umilitate.
 
 
PARTE DODICESIMA
 
 
DELLA SUA FINE E DELLA GIOIA CHE MOSTRO'
 
QUANDO FU CERTO DI ESSERE VICINO ALLA MORTE
 
 
 
121.
 
COME RISPOSE A FRATE ELIA
 
CHE GLI RIMPROVERAVA TANTA GIOIA
 
 
 
1821   Mentre giaceva malato nel palazzo vescovile di Assisi e la mano del Signore appariva più che mai pesante su di lui, il popolo di Assisi, temendo che, se moriva di notte, i frati sottraessero la sua salma per portarla in qualche altra città, decise che ogni notte fosse piantonato tutto intorno ai muri del palazzo.
 
           Il padre santo, allo scopo di confortare il suo spirito, per non abbattersi a causa della veemenza dei dolori che lo tormentavano senza posa, spesso, lungo la giornata, pregava i compagni di cantare le Lodi del Signore; e anche la notte faceva questo, per edificare e confortare quegli uomini che, fuori del palazzo, vegliavano per lui.
 
           Ma frate Elia, vedendo come Francesco si consolava nel Signore ed era felice nonostante le sofferenze, gli disse: « Carissimo padre, sono molto confortato e edificato della gioia che tu provi e mostri ai tuoi compagni. Certamente gli uomini di questa città ti venerano come un santo ma, convinti che tu sei vicino a morte per la tua malattia incurabile, nel sentire che qui si cantano giorno e notte le Lodi, potrebbero osservare: --Come può essere tanto felice, dal momento che sta morendo? Dovrebbe piuttosto pensare alla morte--».
 
           Rispose Francesco: « Ricordi la visione che avesti a Foligno? Mi dicevi che ti era stato rivelato che non sarei sopravvissuto più di due anni. Prima di questa visione, per grazia di Dio che ispira ogni  cosa buona al cuore e la pone sulle labbra dei suoi credenti, io pensavo di frequente, giorno e notte, alla mia fine. Ma da quando tu avesti quella visione, mi sono ancor più preoccupato di riflettere ogni giorno sul giorno della morte ».
 
           Poi seguitò con gran fervore di spirito: « Fratello, lasciami godere nel Signore e cantare le sue lodi in mezzo alle mie sofferenze, poiché, per dono dello Spirito Santo, io sono così unito al mio Signore che, per sua misericordia, ho ben motivo di allietarmi nell'Altissimo! ».
 
 
122.
 
COME INDUSSE IL MEDICO A DIRGLI
 
QUANTO GLI RESTAVA DA VIVERE
 
 
 
1822   In quei giorni un medico di Arezzo, a nome Bongiovanni, molto amico di Francesco, venne a visitarlo nel palazzo vescovile di Assisi. Il Santo lo interrogò: « Che ti sembra, Benvegnate, della mia idropisia? ».
 
           Non voleva chiamarlo col suo nome, perché non dava a nessuno l'appellativo di « buono » per rispetto verso il Signore, che disse: Nessuno è buono, eccetto Dio solo. Allo stesso modo, non dava a nessuno il titolo di « padre » o di « maestro », nemmeno nelle lettere, per riguardo verso il Signore, che disse: Nessuno chiamate vostro padre su questa terra, e non fatevi chiamare maestri.
 
           Il medico rispose: « Fratello, con l'aiuto del Signore starai meglio ». Francesco insistette: « Dimmi la verità. Qual è il tuo parere? Non aver paura di dirmelo, poiché con la grazia di Dio non sono un pusillanime che teme la morte, per dono dello Spirito Santo, sono così unito al mio Signore, da essere ugualmente felice sia di vivere che di morire ».
 
           Allora Bongiovanni parlò senza reticenze: « Padre, secondo la nostra scienza la tua malattia è evidentemente incurabile. Penso che per la fine di settembre o ai primi di ottobre tu morrai ».
 
           Allora Francesco, steso sul letto, levò le mani verso il Signore con grande fervore e riverenza, e, pieno di gioia d'anima e di corpo, esclamò: « Sii la benvenuta, sorella mia Morte! ».
 
 
 
123.
 
COME, APPENA EBBE SENTITO CHE LA MORTE
 
ERA IMMINENTE, SI FECE CANTARE LE LODI
 
DA LUI COMPOSTE
 
 
 
1823   In quella circostanza, un fratello gli disse: « Padre, la tua vita e il tuo comportamento sono stati, e sono, luce e modello non soltanto per i tuoi fratelli, ma per la Chiesa tutta; lo stesso sarà  della tua morte, che, motivo di tristezza e dolore per i tuoi fratelli e per gli altri, per te invece sarà consolazione e gioia infinita: passerai infatti da grande fatica a grandissimo riposo, da molte pene e tentazioni alla pace eterna, dalla povertà che hai sempre amato e perfettamente vissuto alle vere infinite ricchezze, e da questa morte temporale alla vita eterna, dove vedrai il Signore tuo Dio faccia a faccia, dopo averlo amato quaggiù con ardente desiderio ».
 
           E aggiunse in tutta sincerità: « Padre, sappi in verità che se il Signore non ti invia un rimedio dal cielo, la tua malattia è incurabile; come hanno detto i medici, ti resta poco da vivere. Dico questo per confortare il tuo spirito, affinché tu sia felice intimamente e visibilmente nel Signore; in maniera che i tuoi fratelli e l'altra gente che ti vengono a visitare, ti trovino sempre lieto nel Signore, e questa impressione rimanga incancellabile, dopo la tua morte, sia per quelli che sono presenti che per quanti ne sentiranno parlare, proprio come furono e saranno edificati dalla tua vita e condotta».
 
           Allora Francesco, sebbene soffrisse più del solito per i suoi mali, sembrò trasfigurato a quelle parole da una nuova gioia, udendo ripetere che la morte sua sorella era vicina. Con gran fervore di spirito, lodò il Signore e disse: « Se dunque piace al Signore che io debba presto morire chiamatemi frate Angelo e frate Leone perché mi cantino di sorella morte! ».
 
           Quando i due gli furono dinanzi, affranti dalla pena e dal cordoglio, cantarono lacrimando il Cantico di frate sole e delle altre creature del Signore, che il Santo stesso aveva composto. Egli aggiunse allora alcuni versi sopra la morte sua sorella, prima dell'ultima strofa, dicendo:
 
           Laudato si, mi Signore, per sora nostra
 
           Morte corporale,
 
da la quale nullo omo vivente po' scampare.
 
           Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali!
 
           Beati quelli che trovarà ne le tue sanctissime
 
voluntati,
 
ca la morte seconda no li farrà male.
 
 
 
124.
 
COME BENEDISSE LA CITTA' Dl ASSISI
 
MENTRE LO TRASPORTAVANO A SANTA MARIA A MORIRE
 
 
 
1824  Mentre ancora dimorava nel palazzo vescovile, il Padre santo era stato avvertito, sia dallo Spirito Santo sia dai medici, che la sua morte era imminente. Sentendosi sempre più aggravare e venir meno le forze del corpo, ii fece portare in lettiga a Santa Maria della Porziuncola per finire la vita del corpo nel luogo dove aveva cominciato a sperimentare la luce e la vita dell'anima.
 
           Quando arrivarono all'ospedale che sorge a mezza strada tra Assisi e Santa Maria, disse ai portatori di mettere a terra la lettiga. Ormai avendo perso quasi del tutto la vista a causa della lunga e grave malattia d'occhi, si fece voltare con la faccia verso Assisi. E, sollevandosi un poco, benedisse la città, dicendo: « Signore, credo che anticamente questa città fu soggiorno di uomini iniqui.  Adesso vedo che, nella tua immensa misericordia, nel momento scelto da te, tu le hai mostrato la tua speciale sovrabbondante pietà, e unicamente per tua bontà l'hai scelta ad essere luogo e soggiorno di quelli che ti conoscono nella verità, rendono gloria al tuo santo nome e mandano a tutto il popolo cristiano un profumo di buona fama, di vita santa, di verissima dottrina, di perfezione evangelica. Ti prego dunque, o Signore Gesù Cristo, padre delle misericordie, di non voler guardare alla nostra ingratitudine, ma di ricordarti sempre della immensa compassione che le hai dimostrato, affinché sia sempre il luogo e il soggiorno di quelli che ti conoscono veramente e che glorificano il tuo nome benedetto e glorioso nei secoli dei secoli. Amen ».
 
           Dette queste parole, fu portato a Santa Maria. Ed ivi, compiendosi i quarant'anni della sua vita, e i vent'anni della sua perfetta penitenza, I'anno del Signore 1226, ai 4 di ottobre, migrò verso il Signore Gesù Cristo, che aveva amato con ardente desiderio e vivissimo affetto, con tutto il cuore, tutto lo spirito, tutta l'anima e tutte le sue forze, seguendolo in ogni perfezione, correndo con fervore sui passi di Lui e giungendo finalmente e gloriosamente a Lui, che vive e regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.
 
1825       Qui finisce lo Specchio di perfezione
 
 
dello stato di frate minore, (cioè del beato Francesco),
 
nel quale sono perfettamente riflesse le perfezioni
 
della sua vocazione e professione.
 
Ogni lode e gloria a Dio Padre e al Figlio e
 
allo Spirito Santo. Alleluia! Alleluia! Alleluia!
 
Onore e grazie siano rese alla gloriosa vergine
 
Maria. Alleluia! Alleluia!
 
Magnificenza ed esaltazione al suo beatissimo
 
servo Francesco. Alleluia!
 
 
 
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