Testimonianze successive alla morte - Ordine Francescano Secolare - fraternità di Monza

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L’ Ordine Francescano Secolare è costituito da cristiani che per una vocazione specifica, mediante una Professione Solenne, si impegnano a vivere il Vangelo alla maniera di San Francesco, nel proprio stato secolare, osservando una Regola specifica approvata dalla Chiesa.
SEZIONE TERZA
CRONACHE E ALTRE TESTIMONIANZE

II.
TESTIMONIANZE SUCCESSIVE
ALLA MORTE E CANONIZZAZIONE
DI SAN FRANCESCO
1.
EPISODI PARTICOLARI
A) ODDONE DI CHERITON
2247  Un giorno fu sottoposta a frate Francesco la questione: chi avrebbe provveduto al sostentamento dei suoi frati, visto che accettava indifferentemente tutti quelli che si presentavano. Rispose con questa parabola: Un re amò una donna nel bosco e la rese incinta. Essa diede alla luce un figlio e per un po' di tempo lo nutrì per conto suo; poi lo portò alla reggia perché da qui in avanti provvedesse il re al suo sostentamento. Appena fu recato al re l'annuncio della venuta di quella donna, disse: « Tanti uomini perfidi e inutili mangiano alla mensa regia, è ben giusto che mio figlio possa prendere il suo nutrimento tra loro ». E frate Francesco diede questa interpretazione: « Io sono la donna che il Signore ha reso feconda con la sua parola, ed ho generato questi figli spirituali. Se dunque il Signore provvede a tante persone ingiuste, non c'è da stupirsi che egli provvederà al sostentamento particolarmente per i propri figli ».
B ) LUCA DI TUY
2248  Come si trova nella sua sacra leggenda e come rendono devota testimonianza molti religiosi, chierici, laici e secolari che meritarono di toccare con le loro mani e ammirarono con i loro occhi non più di cinque anni fa, nelle mani e nei piedi del beato Francesco, nel soldato di Cristo apparvero quattro segni di chiodi, a dimostrazione della perfetta vittoria nella lotta contro il mondo e della imitazione del suo Re Gesù Cristo mediante il segno dei quattro chiodi della passione del Signore. Invero si trova scritto nella leggenda di lui che dopo la visione beatificante del Serafino crocifisso, «cominciarono ad apparire nelle mani e nei piedi di lui i segni dei chiodi ».
C) PASSIONE DI SAN VERECONDO
2249    1. (6).  Tra le cose più recenti (così il cronista, dopo aver conclusa la narrazione del martirio di san Verecondo), il beato Francesco poverello parecchie volte domandava ospitalità al monastero di San Verecondo. L'abate e i monaci l'accoglievano con grande delicatezza e devozione. Qui avvenne il miracolo della scrofa rea d'aver divorato un agnellino.  
2250    2. Proprio nei dintorni di questo monastero il beato Francesco aveva radunato il Capitolo dei primi trecento frati. In quell'occasione, l'abate e i monaci li avevano generosamente provveduti di tutto il necessario, secondo le loro possibilità: pane di orzo, di frumento, di surco e di miglio con larghezza, acqua limpida per bere e vino di mele diluito con acqua per i più deboli, fave e legumi in abbondanza. Così ci ha tramandato il vecchio sacerdote Andrea, che era stato presente.  
2251    3. (7). (Negli ultimi anni della sua vita) il beato Francesco, che era consumato e indebolito nel corpo, a causa delle incredibili penitenze, veglie, orazioni e digiuni, massimamente dopo che era stato insignito delle stimmate del Salvatore, non potendo più camminare a piedi, viaggiava sul dorso di un asinello. Una sera sul tardi, era quasi notte, egli passava, in compagnia di un fratello, per la strada di San Verecondo, cavalcando l'asinello, le spalle malamente coperte d'un rozzo mantello. I contadini, appena lo videro, cominciarono a chiamarlo dicendo:« Frate Francesco, resta con noi e non voler andar oltre, perché da queste parti imperversano lupi famelici e divorerebbero il tuo asinello, coprendo di ferite anche voi ». E il beato Francesco replicò così: « Non ho mai fatto nulla di male al lupo, io, perché ardisca divorare il nostro fratello asino. State bene, figli miei, e vivete nel timore di Dio! ». E così frate Francesco prosegui il suo cammino senza imbattersi in sventura di sorta. Questo ci ha riferito uno dei contadini che era stato presente al fatto.  
D) TOMMASO DA SPALATO
2252   Mi trovavo, in quell'anno (1222), allo Studio di Bologna ed ho potuto ascoltare, nella festa dell'Assunzione della beata Madre di Dio, il sermone che san Francesco tenne sulla piazza antistante il palazzo comunale, ove era confluita, si può dire, quasi tutta la città.  
          Questo era il tema prescelto: « Gli angeli, gli uomini i demoni ». Parlò con tanta chiarezza e proprietà di queste tre specie di creature razionali, che molte persone dotte, che l'ascoltavano, furono piene di ammirazione per quel discorso di un uomo illetterato. E tuttavia, non aveva stile di uno che predicasse, ma di conversazione. In realtà, tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta  di nuovi patti di pace.  
          Portava un abito dimesso; la persona era spregevole, la faccia senza bellezza. Eppure, Dio conferì alle sue parole tale efficacia, che molte famiglie signorili, tra le quali il furore irriducibile di inveterate inimicizie era divampato fino allo spargimento di tanto sangue, erano piegate a consigli di pace.  
          Grandissime poi erano la riverenza e la devozione della folla, al punto che uomini e donne si gettavano alla rinfusa su di lui con bramosia di toccare almeno le frange del suo vestito o di impadronirsi di un brandello dei suoi panni.
E ) STEFANO DI BORBONE
2253    1. ... Ho udito raccontare questo episodio. Mentre il beato Francesco attraversava la Lombardia, un giorno entrò nella chiesa di un villaggio per pregare. Ma un certo uomo, patarino o manicheo, cui era ben nota la fama di santità che riscuoteva tra il popolo, si avvicinò a lui, con l'intenzione di trascinare il popolo nella sua setta per mezzo di lui, e distorcerlo così dalla vera fede e screditare la dignità sacerdotale. Il parroco del luogo, infatti, era diventato occasione di scandalo perché viveva con una concubina. Chiese, dunque, al Santo: « Di', si deve credere alle parole e prestare credibilità alla vita di uno che vive in concubinaggio ed ha le mani immonde avendo avuto rapporto con una meretrice? ».  Il Santo capì la malizia di quell'eretico e, portandosi da quel sacerdote, sotto gli occhi dei parrocchiani, si inginocchiò davanti a lui e proclamò: « Io non so se le mani di costui sono quali le descrive quest'uomo; ma se anche lo fossero, io so e credo che ciò non può indebolire la forza e l'efficacia dei divini sacramenti. E attraverso queste mani che Dio riversa benefici e doni sul suo popolo. Perciò io le bacio queste mani, per riverenza ai sacramenti che amministrano e per la santità di Colui che ha conferito ad esse tale potere ». E, pronunciando queste parole, si inginocchiava davanti a quel sacerdote e baciava le mani di lui.
          Gli eretici e i loro simpatizzanti, che assistevano alla scena, furono pieni di confusione.  
2254    2. Ho sentito narrare questo episodio. Il beato Francesco arrivò, un giorno, in un paese della Lombardia dove era noto per la fama della sua santità. Ma un certo eretico, che aveva notato la semplicità di quell'uomo, si propose di trarne partito per dimostrare la verità della sua setta e aumentarne il credito tra i simpatizzanti, che erano accorsi sul luogo. Appena scorse il parroco del paese che si dirigeva verso di lui, così apostrofò il Santo: « O tu, buon uomo, che ne pensi di costui, che ha la cura di questa parrocchia e tiene con sé una concubina e tutti sappiamo macchiato di molti peccati? Può essere mondo quanto egli tratta e amministra con le sue mani? ».
          Al Santo non sfuggì la malizia dell'eretico e, di rimando chiese: « E del sacerdote del paese che voi dite queste cose? ».
          E poiché essi rispondevano che sì, appunto, Francesco si gettò in ginocchio nella polvere e, baciando le mani di lui, proseguì: « Queste mani hanno toccato il mio Signore, né comunque siano, hanno potuto rendere immondo Lui ne diminuire la forza di Lui. Per onore del Signore, onora il suo ministro. Per se stesso egli può essere cattivo, per me è buono ». E così gli eretici rimasero confutati.
2255    3. Ho sentito raccontare da un nostro fratello sacerdote questo episodio. Un giorno si erano radunati alcuni grandi prelati e, saputo che san Francesco predicava agli uccelli e agli uomini, pur essendo uomo semplice e illetterato a detta di tutti, lo fecero convocare, dicendo che volevano sentirlo predicare, lui che usurpava l'ufficio della predicazione; e gli fissarono un giorno nel quale avrebbe dovuto predicare alla loro presenza.
          Allora un grande vescovo, che era suo amico, temendo la confusione di quell'uomo di Dio, lo fece venire segretamente a casa sua e gli consegnò le parole di un sermone ben lavorato e tutto a modo. Giunto il giorno fissato, Francesco Sl presentò davanti ai prelati e tentò di dire le parole preparate e che aveva rimuginato a lungo, ma non gli riuscì neppure di cominciare. Incerto sul da farsi, collocò tutta la sua fiducia nel Signore, e aprì a caso il suo salterio. Gli occhi si fermarono su quel detto: « Confusio faciei meae cooperuit me », il mio volto è coperto di vergogna. E, voltando questo tema nel suo volgare, parlò a lungo dell'orgoglio e dei cattivi esempi dei prelati, causa principale della vergogna che ricopriva la Chiesa. Disse che loro erano il volto della Chiesa e proprio sulla loro faccia doveva risplendere tutta la bellezza di lei, perché dice sant'Agostino: « Una faccia per essere veramente bella deve essere regolare nelle proporzioni, ornata convenientemente e di un colore grazioso ». Ora invece quella faccia era coperta di confusione a causa dei loro cattivi esempi. Ma quanto più una parte del corpo è eminente, visibile, bella e degna, tanto più arreca vergogna una macchia su di essa, ecc.
          Queste ed altre cose ancora disse sull'argomento. La predica non mancò di suscitare una salutare confusione ed anche profonda edificazione.
2.
ORIGINI E DIFFUSIONE DELL'ORDINE
A)  GIACOMO DA VITRY:
SERMONI AI FRATI MINORI
          Non sono prive di interesse storico-spirituale le note ed esortazioni che Giacomo da Vitry rivolse ai frati nei due « sermoni » che pronunciò davanti a loro, quando era ormai vescovo e cardinale di Frascati, tra il 1228 e il 1240, anno della sua morte.  
          Leggendo tra le immagini bibliche e naturalistiche che, secondo il costume della predicazione dottrinale del tempo costituiscono il tessuto del sermone, possiamo ricavare un quadro completo e limpido della vita dell'Ordine minoritico dei primi decenni dopo la morte di san Francesco.  
a) Sermone I  
2256  Il tema è desunto dai Proverbi: « Quattro cose sono  tanto piccole sulla terra, eppure si ammirano fra le più sagge: le formiche, gli iraci, le cavallette, la tarantola ». Commentando il passo con notevole ampiezza, Giacomo ha modo di manifestare la sua immutata stima per la vita dei frati minori, ma anche sottolinea pericoli e difetti di tale vita, se condotta senza impegno.  
2257    1. Poiché le dignità e le ricchezze e lo splendore delle vesti sogliono ingenerare superbia, come, all'opposto, il disprezzo, la povertà e la viltà delle vesti generano umiltà, quanto meno voi assumete contegni mondani, tanto più umili e minori apparirete. Infatti voi non possedete nulla di questo mondo, se non la tonaca e la corda, e non vedo proprio come potreste avere di meno. E perciò, sebbene ci siano molti uomini ritenuti piccoli in questo mondo, voi siete i più piccoli (minores); sebbene ci siano molti sapienti, voi siete più sapienti dei sapienti, dal momento che coloro che imitano Cristo più da vicino, sono giudicati i più sapienti...; quelli cioè che si rendono più simili alla divina sapienza nelle fatiche e nel disprezzo, nell'umiltà e nella povertà e si fanno più esplicitamente conformi a Cristo. Questi si spogliano della maestà fino ad assumere la forma di servo, delle ricchezze fino ad abbracciare la povertà, della tranquillità fino a godere delle privazioni e delle fatiche, della vita fino a preferire la morte.  
          Perciò l'umiltà e la sapienza dei santi viene paragonata a quattro piccoli animali, che sono più saggi dei sapienti del mondo: le formiche, gli iraci, le cavallette e la tarantola.  
2258    2. Attraverso questi quattro animaletti vengono indicati quattro tipi diversi di frati che vivono in un convento regolare.
          Tra voi, infatti, ci sono dei frati semplici e laici, quelli che collaborano con le proprie mani alle opere di altri fratelli, oppure raccolgono per tutti le elemosine dei fedeli. Questi si possono paragonare alla formica, che è piccolo come insetto, ma lavora assai a racimolare e a prepararsi il cibo. Altri sono deboli e infermi, e non sono in grado di lavorare né portare i pesi degli altri né di fare grandi penitenze. Ma questi non devono diffidare della misericordia divina: quanto meno hanno di proprio, tanto recuperano dalle fatiche degli altri. Questo appunto è la Comunione dei Santi, e massimamente di coloro che servono il Signore in un'unica famiglia, perché i loro meriti sono comuni a tutti; allo stesso modo si danno parti eguali a coloro che marciano nelle prime file per la battaglia e a coloro che sono gravati dalla fatica del trasporto e della custodia della salmeria. Se dunque l'irace, piccolo e senza forze, non può applicarsi al digiuno, alle veglie e alle penitenze, non disperi e non si abbatta, ma collochi la sua dimora nella pietra e riposi nella misericordia di Cristo, che sulla croce ha patito per noi ed ha supplito per tutte le nostre debolezze.  
          Altri poi sono validi alla fatica e si impegnano nella meditazione, nella lettura e nella preghiera e con le penne della ragione e dell'intelletto si elevano alle cose celesti. Questi sono assomigliati alle locuste, a motivo del salto della contemplazione e del volo della vita sublime. Altri infine escono per darsi alla predicazione e attivamente si impegnano nell'opera della salvezza delle anime. Questi, sebbene si possano appoggiare sulle mani, alla maniera della tarantola, tuttavia penetrano nella casa del Re celeste, perché trattengono sempre il loro cuore in pensieri di cielo e si aspettano come premio alla loro fatica la vita eterna (pp. 115-116).  
2259  Con precisione descrive la vita francescana come fusione di contemplazione e attività apostolica, e insiste nel sottolineare che cosa deve essere, movendo un fermo rimprovero a coloro che si dimostrano restii ad applicarsi all'opera della salvezza delle anime, anche quando la volontà dei superiori ve li sollecita, preferendo l'ozio; ma non risparmia coloro che si immettono con presunzione nella predicazione senza essere preparati e senza l'autorizzazione dei superiori; il rilievo viene allargato a tutto un modo di presenza nel mondo:
2260    3. Poiché sta scritto: Come oseranno predicare se non sono mandati?, non deve il frate attribuirsi da sé questo ufficio, ma attendere l'autorizzazione del superiore... Non siano dunque frettolosi di uscire, né escano se non sono mandati dall'obbedienza. Qualche volta, purtroppo, e non senza grave scandalo di molti, son piene di certi religiosi le piazze delle città, i porti sul mare, i palazzi dei principi, le case dei prelati, e non per motivo di necessità, ma per curiosità o per la brama di buoni pranzi... (p. 117).  
E più oltre un altro rilievo negativo anche se espresso in forma generale:  
2261    4. Non chiamerei poveri coloro che, mentre potrebbero vivere con la fatica delle loro mani, vanno invece a mendicare. Questi vanno catalogati non tra i poveri ma tra i ladri. Se questi domandano un pane dagli altri, non potrebbero sentirsi rispondere: «Dateci le vostre capacità sì che lavoriate per noi? » (p. 119) .  
          L'ultimo rilievo è sulla necessità di applicarsi allo studio, pur senza perdere lo spirito di semplicità:  
2262 5. Alcuni, miserabili e insensati, alla ricerca d'una scusa per la propria pigrizia, sostengono che non ci si deve applicare allo studio, ma è più sicuro che i frati rimangano nella umiltà della loro semplicità, poiché la scienza gonfia e la molta cultura rende stolti. A questi rispondiamo che anche altre virtù occasionalmente possono spingere alla superbia; infatti senza l'amore non giovano, anzi spesso fermano il cammino. Poi, se hanno in spregio imparare e riempirsi delle parole della Scrittura, come potranno poi nominarle?  
          ... Se dunque un fraticello semplice non brilla per acutezza di ingegno, supplisca con l'ardore dello studio alla mancanza di ingegno. Non arrossisca di mendicare il pane della parola di Dio dovunque può e di mandare a memoria ogni giorno almeno una buona parola. Abbiamo visto molti, che erano di ingegno tardo, fare assai più progressi di altri che, presuntuosi delle loro forze e della loro intelligenza, non volevano dipendere in nulla dagli altri... (p. 121).  
          Conclude il discorso con una allegoria in cui è esaltata la vita in povertà quale egli l'aveva potuta costatare nei frati che aveva conosciuto:
2263  6. Si legge di un re che disse ad un suo cavaliere: « Usciamo questa notte per le vie della città e vediamo quello che avviene ». Giunti ad un certo luogo, videro da un foro una luce che veniva da una stanza sotterranea. E in essa ecco, seduto, un uomo povero e coperto di vesti sordide e lacere con accanto sua moglie poverissima; questa ballava vicino al marito, cantava e lo esaltava con grandi lodi. Allora il re fu pieno di meraviglia, poiché costoro, ch'erano circondati da tanto squallore, non avevano vesti decenti e neppure una casa, facevano una vita allegra, sicura e quasi ricca. E disse al cavaliere: « E' una cosa veramente meravigliosa che a me e a te non è mai piaciuta tanto la nostra vita, che è circondata da tanti piaceri e carica di gloria, come a costoro sembra deliziosa una vita così miserabile e la trovano dolce e soave mentre è così dura e amara ». E il cavaliere gli rispose molto sapientemente: « Tanto più ritengono misera e stolta la nostra vita gli amatori della vera vita e dell'eterna gloria. Nel confronto con le ricchezze celesti essi giudicano come spazzatura i nostri palazzi, le vesti e le ricchezze terrene, e la nostra gloria la stimano come vento e un nulla rispetto alla inenarrabile bellezza e gloria dei santi, che è nei cieli. Infatti come sembrò a noi che questi fossero dei pazzi, così e ancor di più, noi che in questo mondo erriamo e racchiudiamo tutto il nostro sogno in questa falsa gloria, siamo degni di pianto agli occhi di coloro che hanno gustato la dolcezza dei beni eterni » (pp. 121-122) .  
b) Sermone II  
2264  Il tema, desunto da Geremia è più scopertamente scelto come raffigurazione della vita dei frati ai quali parla: « Non berremo vino, perché Jonadab, figlio di Recab, padre nostro, ci dette questo ordine: Non berrete mai vino né voi né i vostri figli; non fabbricherete case, non seminerete, non pianterete vigne e non avrete possessi, ma per tutto il tempo della vostra vita abiterete sotto le tende, per vivere a lungo nel paese in cui siete come stranieri ».  
          Giacomo da Vitry, passando all'interpretazione spirituale del fatto, identifica Francesco con Jonadab, e i suoi figli con i Recabiti, a motivo e se permangono nell'obbedienza alle direttive di lui. Il passo è importante anche per la notizia delle stimmate.  
2265    1. Questa promessa, in senso spirituale, è diretta a coloro che obbediscono ai comandamenti di Dio e dei loro padri spirituali. Ora il padre del nostro spirito è stato Francesco, che veramente può essere chiamato col nome di Jonadab, figlio di Recab. Jonadab, infatti, significa:« spontaneità di Dio », e Recab: « quadriga » o anche «ascesa ». E Francesco spontaneamente ha dato in sovrabbondanza molte cose che non era obbligato a dare sulla base dei precetti della legge di Dio. Egli, con la quadriga dei quattro Vangeli e delle quattro virtù cardinali, ascese instancabile di virtù in virtù, e tanto luminosamente seguì Cristo crocifisso, che alla sua morte apparvero nelle sue mani, nei suoi piedi e nel costato i segni delle ferite di Cristo. E perciò i figli di lui sono tanto cresciuti di numero nel mondo intero, che in essi si è avverata spiritualmente la parola del Signore per bocca di Geremia: La stirpe di Jonadab, figlio di Recab avrà sempre chi sta davanti a me, per tutti i tempi.  
          L'oratore prosegue spiegando i singoli precetti in senso spirituale e morale, poi ritorna su di essi per farne una applicazione letterale:  
2266    2. I Recabiti osservavano quei precetti secondo il loro senso letterale, e così anche voi, che siete i discendenti del vostro padre Recab, cioè del beato Francesco. E realmente voi non costruite case, sebbene altri le edifichino per uso vostro, ed in esse abitate come ospiti e custodi e non le possedete, ma sono proprietà della Chiesa, nel nome della quale vengono costruite. Egualmente non seminate, non piantate vigne... Quando dunque attraverserete il fiume delle cose temporali e combatterete nudi contro colui che è nudo, confidate nel Signore che potrete superare il nemico, purché stiate in guardia con cautela; egli infatti più spesso cerca di combattere interiormente con vizi spirituali quelli nei quali non trova da ingaggiare battaglia esteriormente. Dunque il mondo è crocifisso per voi e voi al mondo, a tal punto che ormai il nemico non trova più nulla delle cose mondane sulle quali tentarvi, perché avete rinunciato a tutto... (p. 153)   
          Passa ad esaminare alcuni di questi vizi spirituali, sottolineando alcuni pericoli e abusi frequenti nella vita religiosa, mettendone in guardia specialmente i predicatori: presunzione, invidia, mormorazione pubblica contro i prelati, imprudenza nel rivelare colpe altrui, frequenza non necessaria delle donne, per finire con questa raccomandazione:  
2267    3. Poiché siete collocati in uno stato di vita più elevato, dal momento che voi seguite l'esempio degli apostoli: non portate bastone, né bisaccia, né borsa, né denaro nella cintura, né pane nella sporta, né due tonache, né calzari ai piedi,-tanto più vergognosa e miserabile sarebbe la vostra caduta.  
          Sull'esempio del vostro padre Recab, cioè del beato Francesco, come veri Recabiti, dimenticate il passato e stendete le mani sempre in avanti perché, combattendo da forti, conseguirete il premio della corona eterna (p. 158).  
B) CESARIO DA HEISTERBACH
 
2268  Quando arrivarono a Colonia i frati del nuovo Ordine dei Predicatori e i frati che si chiamano Minori, alcuni del clero, mal sopportando la loro presenza, si recarono dall'arcivescovo esponendogli le loro obiezioni e accuse. Ma egli rispose: « Fino a quando le cose vanno bene, lasciateli stare ». I priori e i pievani però insistevano dicendo: « Abbiamo timore che questi siano proprio coloro dei quali lo Spirito Santo profetò per bocca di santa Ildegarda che sarebbero stati motivo di amarezza per il clero e di pericolo per il popolo». Allora rispose con questa sentenza, che è degna di memoria: « Se è stato divinamente profetato, bisogna che si compia ». E così tutti furono ridotti al silenzio.
C) ALBERICO DI TROIS FONTAINES
2269    1. In questo tempo ha avuto inizio un altro Ordine religioso nella Toscana presso Assisi, ad opera di un certo uomo religioso di nome Francesco. Questi religiosi si chiamano frati minori, a motivo dell'umiltà e viltà delle vesti. Hanno infatti una propria Regola e approvata da papa Innocenzo III; la compose san Francesco con l'aiuto di uomini religiosi e periti. Quanto al modo di leggere e di salmeggiare, egli scelse la forma della Chiesa romana. Hanno un superiore, che chiamano ministro generale.  
2270    2. In Toscana, presso Assisi, che è città vicina a Perugia, si è celebrata la canonizzazione di san Francesco confessore, padre dei frati minori.  Qualcuno dei membri di questo Ordine, nella sua predicazione pubblica a Parigi ha sostenuto delle tesi eretiche, e perciò fu preso e imprigionato.
D) DALLA « VITA DI PAPA GREGORIO IX »
2271    1. Nel periodo in cui era vescovo di Ostia, Ugolino istituì e portò a compimento i nuovi Ordini dei Fratelli della Penitenza e delle Suore Recluse. Ma anche l'Ordine dei minori, quando moveva incerto i suoi primi passi, egli guidò, elaborando per loro una nuova Regola, dando così forma a quel movimento ancora informe, e designando il beato Francesco come ministro e capo.  
          2. Sotto la direzione di lui questi frati minori crebbero talmente di numero che, col favore della divina potenza non c'è paese al mondo, per quanto piccolo, che sia privo della loro venerabile presenza (consortio).  
2272  Invero, oltre alle cose, meritevoli di grande ammirazione, che egli concesse per venire incontro, con paterna liberalità, alle necessità dei frati, per le predette Signore (recluse) fece costruire un monastero a Roma, il monastero di san Cosma, e (altri) in Lombardia e in Toscana, sostenendo l'onere di innumerevoli spese con sovvenzioni personali, e provvedendo alle necessità dei singoli. Quelle poi che accogliendo la divina ispirazione tramite l'impegno della sua predicazione, avevano abbandonato i parenti e la casa, non piegate neppure dalle lacrime dei propri figli, e avevano commutato la superbia del mondo e le ricchezze temporali con i rigori dell'estrema povertà, e il tessuto di veste preziosa con le spine pungenti di aspra lana, una volta salito al soglio pontificio, le raccoglieva come figlie, le venerava come madri, e sovveniva alla loro indigenza con più larghi aiuti...  
          3. ... In quel tempo, il beato Francesco dalla città di Assisi risplendeva quasi stella nuova nel firmamento della Chiesa per chiarità di miracoli. Il santissimo papa Gregorio ordinò una diligente indagine su di essi e, vista la relazione veridica dei testimoni, li approvò. Poi, ascoltando il consiglio dei fratelli cardinali, si recò ad Assisi (da Perugia ove era). Era il giorno 4 ottobre del secondo anno del pontificato di lui.  
          Rivestito di paramenti preziosi e contornato dai venerabili cardinali e dai prelati dei diversi gradi, in mezzo ad una moltitudine confluita da tutte le parti del mondo, tra lo sventolio delle palme e le luci dei ceri, egli svolse un profondo discorso, su questo tema: « Come la stella del mattino tra le nubi, e come il sole splendente nei suoi giorni, così egli risplendette nella casa del Signore ». Quindi si diede lettura pubblica dei miracoli. Finalmente il beatissimo Pontefice, in un profluvio di lacrime, decretò che il beato Francesco, che era stato in vita servitore del Crocifisso e del Crocifisso aveva portato nel cuore e nel corpo i segni delle stimmate fosse inscritto nell'albo dei Santi. Tre giorni dopo fece ritorno a Perugia.
E) ANNALI DI SANTA GIUSTINA
2274  Circa questi tempi la divina provvidenza ha fatto sorgere dal tesoro della sua misericordia due grandi luminari, cioè l'Ordine dei Predicatori e dei Frati minori. Dio li stabilì nel firmamento della Chiesa, ed essi, per mezzo della loro dottrina, luminosa e a portata di tutti, e dello splendore della loro vita santa, hanno meravigliosamente illuminato tutto il mondo che era avvolto nelle tenebre dell'errore.
2275  Fondatori (praeceptores) di questi Ordini furono due uomini di provata bontà e adorni dello splendore di molteplici e salde virtù, e cioè Domenico e Francesco. Questi a guisa delle due trombe di Mosè, con il suono potente e terribile della loro predicazione, hanno svegliato il mondo addormentato nei vizi e nei peccati perché corresse alla battaglia contro il triplice nemico. La loro voce risuonò per tutta la terra e la loro veneranda religione  in breve tempo si è dilatata sino ai confini del mondo. Perciò, in considerazione sia della loro vita santissima comprovata con molti miracoli, sia della loro celeste dottrina con la quale hanno irrigato i cuori degli uomini, meritatamente sono annoverati nel numero dei santi dalla Chiesa trionfante e da quella militante.
F) CRONACHE NORMANNE
2276  Venne in questo tempo, dalle parti di Lombardia (cioè Italia) l'Ordine dei frati minori, di cui fu fondatore un certo cittadino di Assisi, chiamato Francesco. Nella Regola da lui composta prescrive che « i frati non si approprino né casa né luogo né alcuna cosa, ma come pellegrini e forestieri, vivendo in povertà ed umiltà vadano per il mondo intero. Tale Regola fu confermata dal predetto papa Onorio. Nello stesso tempo si diffuse nelle altre nazioni anche un altro Ordine di Giacobiti, fondato da un certo Domenico delle parti della Spagna; questi più tardi scelsero per sé il nome di Predicatori.
2277   Questi due Ordini sono accolti con grande gioia dalla Chiesa e dal popolo per la novità della loro forma di vita, e hanno incominciato a predicare ovunque il nome di Cristo. Attratti dalla insolita novità molti giovani nobili e studiosi sono entrati in questi Ordini, tanto che in poco tempo hanno riempito la terra. Si può dire che non c'è quasi città o borgo famoso nelle terre cristiane in cui non ci sia un loro convento, avendo così scelto di vivere la loro vita religiosa in mezzo agli uomini ».
3.
BREVI BIOGRAFIE DI SAN FRANCESCO
A) RUGGERO DI WENDOVER E MATTEO PARIS
2278    1. (Anno 1207). In questi giorni sono comparsi dei predicatori, che portano il nome di Minori, i quali, facendosi luce immediatamente col favore di papa Innocenzo. hanno riempito la terra.
2279  Essi abitano nelle città e nelle campagne in gruppetti di dieci o di sette, non posseggono nulla, vivendo del Vangelo, in una povertà eccessiva nel vitto e nel vestito. Vanno per il mondo a piedi nudi e sono per tutti un grandissimo esempio di umiltà. Nelle domeniche e nei giorni festivi, escono dalle loro piccole abitazioni e vanno a predicare la parola di vita nelle chiese parrocchiali, mangiando e bevendo quello che viene loro posto davanti da coloro presso i quali esercitano il ministero della predicazione.  
          Essi si rivelano tanto profondi nella contemplazione delle cose celesti, quanto staccati dalle cose terrene e dai piaceri mondani. Non conservano presso di sé alimenti di sorta per il domani, perché la povertà di spirito, che coltivano nel cuore, si manifesti a tutti concretamente in ogni azione come nell'abito.  
2. Intorno alla morte del frate che fu il fondatore dell'Ordine dei minori.  
2280  Di questi giorni (siamo nel 1227), numerosi miracoli accendono luce sulla santità di un frate dell'Ordine dei minori, di nome Francesco, che ne è stato il fondatore.
2281  Racconterò qui la sua vita, secondo  quanto si dice di lui. Illustre per nobiltà di natali, Francesco fu ben più illustre per la bontà dei costumi. Appena uscito dalla fanciullezza, vissuta nella semplicità, incominciò a riflettere a lungo sulle lusinghe del mondo e la caducità delle cose umane, e sulla nullità di esse che così presto svaniscono. Questo aveva appreso attraverso lo studio delle lettere e delle discipline teologiche, a cui si era applicato dalla tenera età, fino a raggiungere un possesso così perfetto da tenere in nessun conto le cose terrene, volubili e di breve durata, e da bramare ansiosamente con tutte le forze il regno dei cieli.
2282    3. Per potere più liberamente mandare ad effetto quanto aveva concepito nel cuore, rifiutò l'eredità paterna, che non era di piccola entità, e tutti gli allettamenti del mondo, si rivestì di una tonaca con cappuccio e di cilicio depose le calzature e si applicò a macerare il corpo con veglie e digiuni. E, per vivere in povertà volontaria, fece un patto con se stesso di non possedere mai nulla come proprio; neppure il cibo indispensabile al corpo, se non gli era procurato in elemosina dai fedeli a titolo di carità. E se, per caso, avanzava qualcosa a quella sua ben scarsa refezione, subito lo distribuiva ai poveri, nulla trattenendo per il domani.
          Era solito dormire vestito, su di una stuoia di giunco, che gli serviva da materasso, aggiustandosi un pezzo di panno sotto il capo come guanciale, felice di essere coperto con le sole vesti che portava di giorno, tonaca e cilicio.
2283    4. Così vestito, andava per le strade a piedi nudi per propagare il Vangelo, e abbracciando la vita apostolica esercitava l'ufficio della predicazione, nei giorni domenicali e festivi, nelle chiese parrocchiali e negli altri luoghi di incontro dei fedeli. La sua parola si imprimeva tanto più profondamente nel cuore degli ascoltatori, perché lo vedevano staccato da ogni desiderio carnale e dalle crapule della voracità.
2284    5. Per poter poi portare a completezza il suo salutare proposito, l'uomo di Dio Francesco raccolse insieme le norme ( evangeliche) già accennate, con l'aggiunta di poche altre -all'osservanza di esse i frati di quella religione sono fedelissimi anche oggi-, le trascrisse in un fascicoletto, si recò a Roma, si presentò a Innocenzo III, che sedeva in concistoro, chiedendo che la Sede apostolica approvasse la sua petizione.
6. In quale modo il Papa approvò con suo privilegio l'Ordine di san Francesco.
2285  Il Papa, dopo aver considerato attentamente da un lato quel frate in abito strano, dal volto disprezzabile, barba lunga, capelli incolti, sopracciglia nere e pendenti, e dall'altro quella petizione che egli presentava, così ardua e impossibile secondo il giudizio comune, lo disprezzò nel cuor suo e gli disse: « Vai, fratello, cercati dei porci, a cui saresti da paragonare più che agli uomini. Allora, ravvoltolati con loro nel fango e, consacrato loro predicatore, consegna ad essi la Regola che hai preparato ».
          Francesco non frappose indugio, ma subito, a capo chino se ne uscì. Faticò non poco a trovare dei porci; ma, quando finalmente si imbattè in un branco di essi, si ravvoltolò con loro nel fango fino a tanto che ne fu tutto imbrattato, il corpo e il vestito, dai piedi alla testa. E così ridotto, tornò nel concistoro e rivolto al Papa, disse: « Signore, ho fatto come mi hai comandato; ora, ti prego, esaudisci la mia richiesta ».
2286   Il Papa, davanti a questo fatto, fu ripieno di ammirazione. Si dolse di aver disprezzato quell'uomo; ritornato in sé, gli comandò che andasse a lavarsi e poi ritornasse da lui. Francesco corse a lavarsi dal fango e prestamente ritornò alla sua presenza. Allora il Papa, preso da commozione verso di lui, approvò la sua petizione, concesse a lui e ai suoi seguaci l'ufficio della predicazione, mediante privilegio della Chiesa romana e, dopo averlo benedetto, lo licenziò.
2287  Il servo di Dio, Francesco, costruito un oratorio nell'Urbe per potersi applicare alla contemplazione, incominciò, da forte lottatore, la sua battaglia contro gli spiriti maligni e i vizi carnali.
7. Qual era la predicazione di lui e della ammirabile sua morte.
2288  Da quel giorno Francesco si applicò ad annunciare la parola di Dio con grande devozione per tutte le contrade d'Italia e nelle altre nazioni, e particolarmente a Roma.
           Ma il popolo romano, che è nemico di tutto ciò che è bene, lo coprì di disprezzo, a tal punto che non solo non voleva ascoltarlo, ma disertava anche le sue prediche. E per molti giorni continuò a schernire la predicazione di lui. Allora Francesco li rimproverò per la durezza dei loro cuori, dicendo: « Mi compiango assai per la vostra miseria, perché non soltanto coprite di disprezzo me, servo del Signore, ma in me fate vergogna a quel Redentore di cui vi annuncio la buona novella. Ed ora, allontanandomi da Roma, chiamo a testimone lui, che è testimone fedele in cielo, sulla desolazione delle vostre anime e, a vostra confusione, me ne andrò ad annunciare Cristo agli animali bruti e agli uccelli dell'aria; essi ascolteranno queste parole di salvezza e obbediranno a Dio con tutto il cuore ».  
2289     8. Pronunciate queste parole, si avviò alla periferia della città. Vide uno stormo di corvi intenti a raspolare tra i rifiuti, e attorno e nell'aria, una moltitudine di avvoltoi, gazze e altri uccelli d'ogni genere. Si rivolse a loro e così li invitò: « Vi comando, nel nome di Gesù Cristo, il quale fu crocifisso dai Giudei e del quale i miserabili cittadini di Roma hanno ora disprezzato la predicazione: venite vicini a me e ascoltate la parola di Dio, nel nome di Colui che vi ha creati e che vi ha salvati dal diluvio nell'arca di Noè ». Immediatamente, al suono della voce di lui, tutta quell'immensa frotta di uccelli gli si accostò e si dispose in cerchio tutto attorno. E stettero ad ascoltare le parole dell'uomo di Dio, nel più grande silenzio e sospendendo ogni cinguettio, per lo spazio di mezza giornata, senza mai muoversi, gli occhi intenti verso il predicatore.  
          Non tardò molto che i cittadini romani, e tutti coloro che andavano o venivano dalla città, notarono e si incuriosirono di un fatto così meraviglioso. Intanto, per tre giorni si ripetè quel convegno dell'uomo di Dio con gli uccelli. Finalmente il clero e il popolo romano accorsero in gran folla e introdussero in città l'uomo di Dio  con grande venerazione. E Francesco, con l'olio della sua predicazione e implorazione, sciolse e piegò al meglio il cuore di quegli uomini, fino ad ora ostinati e induriti e senza frutto di bene.
2290 9. Da allora la fama del nome di Francesco incominciò a diffondersi per tutte le regioni d'Italia, e molti nobili, sedotti dall'esempio di lui, abbandonando il mondo con i suoi vizi e piaceri, vennero a porsi alla sua scuola.  
2291    10. E per questo che in poco tempo, questo Ordine di frati predicatori, che sono chiamati Minori, è cresciuto assai di numero nel mondo intero. Essi dimorano nelle città e nei borghi, in gruppi di dieci o di sette; ma nei giorni festivi si recano a predicare la parola di Dio nelle chiese parrocchiali, e seminano piantagioni di virtù tra le folle della campagna, riportando a Dio abbondanti frutti. E non soltanto tra i cristiani hanno sparso il seme della parola di Dio e la rugiada della dottrina celeste; essi si sono recati anche nelle nazioni dei pagani e dei Saraceni, ed hanno reso testimonianza alla verità, molti tra loro raccogliendo anche la gloria del martirio.
11. Qual fu il concorso dei popoli alla sua morte.  
2292  L'amico di Dio, Francesco, per molti anni si prodigò, assieme ai suoi frati, nell'annuncio del Vangelo della pace nella città di Roma e nelle regioni vicine, riportando a Dio, da commerciante molto avveduto qual era, il talento ricevuto ridondante di cospicui interessi. Ma venne l'ora per lui di tornare da questo mondo a Cristo, per ricevere, come mercede delle sue fatiche, la corona della gloria che Dio ha promesso a coloro che lo amano.  
2293    12. Ora, quindici giorni prima della sua morte, apparvero nel corpo di lui delle ferite nelle mani e nei piedi, sgorganti sangue in continuità, quali si erano osservate nel Salvatore del mondo appeso al legno quando i Giudei lo ebbero crocifisso. Ed anche si vedeva il suo fianco destro aperto e grondante sangue, per una ferita che lasciava scorgere distintamente le parti più intime e nascoste del petto. Non meraviglia, perciò, che ci fosse grande concorso di popolo per ammirare un prodigio così insolito. Anche molti cardinali venivano da lui e insistevano per conoscere qual fosse il significato di questa visione.  
          Rispose Francesco: « Questa visione che è apparsa in me, è stata manifestata a voi, ai quali ho predicato il mistero della Croce, perché crediate in Lui, che per salvare il mondo portò sulla croce queste medesime ferite che ora vedete, ed anche perché conosciate che io sono il servo di colui che vi ho annunciato crocifisso, morto e risorto. Ma perché sia tenuta lontana ogni ambiguità e possiate perseverare nella costanza della fede fino alla fine, queste ferite che ora vedete aperte e sanguinanti nella mia carne, appena sarò morto, appariranno così sane e richiuse, che sembreranno simili perfettamente al resto della mia carne ».  
          13. E di lì a poco tempo, senza alcuna sofferenza del corpo e senza strazio della carne, sciolto dal corpo, il suo spirito ritornò al Creatore. In lui morto non rimase nessun segno delle predette stimmate nel costato, nelle mani o nei piedi.  
2294   Deposto infine nel suo «oratorio », il romano Pontefice lo iscrisse nel catalogo dei santi, e stabilì il giorno della celebrazione solenne della sua morte (deposizione).  
2295    14. (Anno 1234). Predicatori e Minori, che avevano scelto la povertà volontaria e l'umiltà, si sono alzati a tanta nobiltà, per non dire arroganza, che adoperano ogni industria per essere accettati nei monasteri, nelle città, nelle processioni solenni, con stendardi, ceri accesi e paramenti festivi...  
2296    15. ... I Predicatori e i Minori poi, all'inizio conducendo una vita povera e santissima, si applicavano con impegno alla predicazione, alle confessioni, ai divini uffici nelle chiese, agli studi, abbracciando la povertà volontaria per Dio, dopo aver abbandonato molti beni, non riservandosi nulla quanto agli alimenti per il domani.
2297  Ma pochi anni dopo si rinfrancavano con sollecitudine, costruendo edifici troppo fastosi. Inoltre il Papa fece di loro, sebbene contro la loro volontà, i suoi gabellieri ed esattori di denaro in forme diverse.
16. Dell'Ordine dei minori e della loro primitiva povertà e umiltà santa.
2298   In questi tempi quei frati che si chiamano Minori, o dell'Ordine dei minori, col favore di papa Innocenzo, son venuti improvvisamente alla ribalta. Abitano nelle città e nelle borgate, non posseggono nulla, vivono del Vangelo, dimostrano nel vitto e nel vestito profondissima umiltà. Camminano a piedi nudi, con cintura di corda, tonache di color grigio lunghe fino alle caviglie e rappezzate, con un cappuccio rustico e ispido.
2299  Nelle domeniche e nei giorni festivi, escono dalle loro piccole abitazioni e vanno a predicare nelle chiese parrocchiali e in altri luoghi ove possono raccogliere il popolo, e mangiano e bevono quello che trovano presso di loro, non riservandosi nulla per il giorno seguente, per ossequio al Signore che disse: « Non vogliate essere solleciti, ecc.», portando sempre con sé a tracolla delle sporte contenenti i loro libri, cioè la piccola biblioteca.
2300  Poi si costruirono delle scuole, quindi le case e i chiostri. Ultimamente hanno fabbricato chiese e laboratori spaziosi e alti, con fondi non trascurabili amministrati da potenti del mondo.
2301  Hanno anche sollecitato dal Sommo Pontefice privilegi e indulgenze per edificare piccole chiese nelle città ed in esse celebrare la Messa e ascoltare le confessioni, perché molta gente, rifiutando di confessarsi ai propri sacerdoti, in molti casi, si trovava in grave pericolo.
2302  Da ultimo hanno eretto delle scuole proprie dentro i confini dei loro conventi. ivi, insegnando, disputando e predicando al popolo, hanno riportato non poco frutto nei granai di Cristo, perché molta era la messe ma gli operai erano pochi...
B) RICHERIO DI SENS
2303 1. Invero Ildegarda... ha scritto e predetto riguardo agli Ordini che sarebbero sorti più tardi dei Predicatori e dei frati minori, i quali hanno cominciato la loro vita nel nostro tempo. Disse apertamente: Sorgeranno dei frati con grandi tonsure, in abito religioso di foggia inconsueta, che all inizio saranno accolti dal popolo come si accoglie Dio; non vorranno possedere nulla di proprio, e vivranno con le sole elemosine dei fedeli, e neppure queste elemosine conserveranno per il domani; ma, contenti di questa povertà, andranno per città, paesi e regioni predicando, e perciò saranno, in questo inizio, molto cari al loro Dio e agli uomini. Ma presto, intiepidendosi nel loro proposito, saranno reputati più vili degli altri uomini. Questo si dice che aveva predetto Ildegarda dei Predicatori e dei frati minori (c. 15).  
2304  E veramente un certo Domenico, delle parti della Toscana, al tempo di papa Innocenzo III, incominciò l'Ordine dei Predicatori, come, ancora nello stesso tempo, un certo Francesco, di cui diremo dopo, incominciò l'Ordine dei frati minori (c. 16).
2305      2 . ... Francesco che più sopra abbiamo detto essere il primo dell'Ordine dei frati minori, nato ad Assisi, città della valle Spoletana, era figlio di un uomo ricco che lo mandava frequentemente in Francia per ragioni di commercio. Si dice che proprio da Francia venga il suo nome di Francesco. Giovane di buona indole e saggio, coltivava, come gli altri mercanti, l'ambizione delle cose terrene; però sovveniva con abbondanza alle chiese e ai poveri con i frutti della sua mercatura. Un anno gli capitò di tornare nella sua città, ove il padre l'accolse amorevolmente e rimasero insieme qualche tempo. Ma un giorno, che il padre era occupato in una certa festa  solenne, Francesco, giovane veramente degno di lode, si ritrasse in una camera e si spogliò delle sue vesti; poi, indossata una certa tonaca di panno vile, in cui era stato ricavato un cappuccio, e cingendo i fianchi con una corda nodosa, così, senza calzari e tonsurato, si fece incontro al padre e lo salutò per l'ultima volta, dicendogli che egli voleva servire a Dio piuttosto che al mammona.  
2306    3. Mentre camminava per quelle contrade, si unirono a lui e al suo Ordine molti fratelli. Quindi si recarono da papa Gregorio, che li autorizzò a predicare. E così si sparsero nelle diverse regioni.  
2307    4. Si dice che Francesco, in viaggio con i compagni per città e borgate, giungesse in una città per predicarvi la parola di Dio. Ma appena ebbe cominciato il discorso, i cittadini del luogo, osservandolo in quella strana foggia di vestito, lo scacciarono dalla città, come un pazzo. Allora Francesco, uscito verso la campagna e stando sulla strada pubblica, osservò in un campo una gran quantità di uccelli di diverse specie, intenti a beccare. Si rivolse a loro e li chiamò vicini a sé, come se parlasse ad uomini; e subito, al suo richiamo, si radunò attorno a lui tal moltitudine d'uccelli d'ogni specie, che si diceva di non averne mai visti tanti da quelle parti.  
          Francesco ammoniva gli uccelli perché almeno loro, che erano creature senza ragione, si guardassero dal trascurare l'ascolto della parola di Dio, dal momento che gli uomini, dotati di intelligenza e di discernimento l'avevano a noia. Gli uccelli, levando i colli, volgevano verso di lui le testoline e il viso, come se lo capissero. Francesco li esortava a glorificare e a lodare Iddio, che li aveva creati e li nutriva, con i loro trilli e le loro voci. E così continuò a lungo a discutere con loro della parola di Dio, come avesse davanti creature ragionevoli.  
          I passanti notarono quell'uomo stranamente vestito, che predicava agli uccelli come se fossero uomini, e ne diffusero la notizia in città. Allora tutti i cittadini, accorrendo, furono pieni di ammirazione davanti a quel prodigio, e lo supplicavano che avesse pietà della città che lo aveva cacciato fuori. Francesco benedisse gli uccelli e diede loro licenza di partire. Poi, volgendosi al popolo, li rimproverò, perché loro, che erano creature intelligenti e ragionevoli non si erano curati d'ascoltare la parola di Dio, mentre gli uccelli, che sono senza ragione l'accoglievano con grande letizia. Dopo aver parlato a lungo a quella gente, finito il discorso, li benedisse e se ne partì da quel luogo.
2308    5. Si narra che abbia passato il mare e si sia recato a Babilonia, ottenendo dal re di quella città il permesso di predicare. Pertanto, avendo il beato Francesco notato che aveva trovato grazia presso quel re e la sua gente, lasciò tra loro solo un piccolo gruppo dei suoi e se ne tornò ad Assisi, con l'intenzione di mandarvi un numero più consistente di predicatori. Ma poiché il corso della vita dell'uomo non è tanto nelle mani di chi fatica e corre, ma piuttosto nelle mani di Dio che li governa, non so per qual motivo, non poté tornare a Babilonia. Dopo aver disseminato per ogni dove gran numero dei suoi frati e di essersi reso famoso con i miracoli, gravato da infermità, tornò ad Assisi. Qui si addormentò  nel Signore con la morte dei giusti, e qui fu sepolto.  
2309    6. ..Invero la loro vita religiosa si è conservata, fino ai nostri tempi, meglio e più santamente di quella dei Predicatori. E per questo che molte persone, uomini e donne, bramose di imitarli, hanno abbracciato la loro forma di vita. Chierici nobili e letteratissimi, disprezzando le loro cariche, dignità, ricchezze e il benessere che potevano avere tra i loro parenti, per amore di Dio si sono uniti a loro. Le donne poi, alcune vergini, altre sposate o vedove, altre vissute prima malamente, nobili e meno nobili, sottomettendosi alla loro direzione e accettandone la forma di vita, si sono costruite delle piccole abitazioni. Ma ahimè! molti, di ambo i sessi, che già avevano posto mano all'aratro di Dio per loro salvezza, hanno miserevolmente volto indietro lo sguardo ritornando al lusso e ai piaceri, come cani al loro vomito, tradendo se stessi. Penso però che sia meglio non parlare di essi.
C) FILIPPO MOUSKET
2310  Or ecco un altro avanza, e vien da Roma, san Francesco. A Perugia giace il suo corpo santo. Il quale non ha mani né piedi sani alla sua morte, ma così forati, come Dio li ebbe ai chiodi conficcati. Egli lo pregò, Dio così ascoltò, e il corpo santo molto ne gioì. Morì e fa grandi miracoli, poiché egli fu paziente e sofferente. Egli fu umile, Dio l'esaltò. E lo stesso incominciò l'Ordine di questi frati minori, che abbandonano terre e onori.  
D) CRONACA RITMICA AUSTRIACA
2311  Dopo questo anno settimo sorgono i Giacobiti, che portano cappe color nero e spargono la parola di vita. Predicano Cristo, sotto Gregorio nono, i frati della corda (cordelite), che vanno per il mondo a piedi nudi come veri Israeliti. Tutti sono vinti dalla compassione e attraverso questi servi del Signore sono provocati a vera pietà. Cresce la sapienza e son messi in fuga gli errori. Per influsso di questi due Ordini, anche le Beghine prendono il velo. Questi abitano soltanto nelle città e vivono del Vangelo, conquistando le anime. Anche agli uomini senza speranza viene recata la buona novella.  
E) CRONACA DI DANIMARCA
2312  In quello stesso anno, san Francesco, compiuti ormai vent'anni dal tempo della sua perfettissima adesione a Cristo, sciolto dai vincoli della carne mortale, se ne tornò felicemente a Dio, il 4 ottobre, di domenica.
2313  Era nato ad Assisi. Nell'anno tredicesimo della sua conversione, si era recato nelle parti della Siria. Appena giunto, si affretta a portarsi dal Sultano: viene colpito con flagelli, coperto di ingiurie, ma riesce a predicare Cristo; tuttavia viene ricondotto dagli infedeli tra i cristiani. Dotato di semplicità colombina, esorta le creature tutte alla lode del Creatore: predica agli uccelli ed essi l'ascoltano, si lasciano toccare dalla sua mano, né ripartono prima d'essere licenziati da lui.
2314  Due anni prima della morte, ebbe una visione dal cielo: vide sopra di sé il Crocifisso, che impresse nelle sue carni con tale evidenza i segni della sua crocifissione, che appariva lui stesso come crocifisso. Le sue mani, i piedi e il costato sono sigillati col segno della croce, che risplende in lui.
2315  Si legge che questo servo di Dio abbia guarito due lebbrosi, uno dei quali era anche paralitico e fu sanato da ambedue le malattie. Molte altre infermità senza numero guarì con la potenza di Cristo. Perciò così si canta di lui in una prosa rimata: « Salve decus pauperum, ecc. », salve splendore dei poveri.
F) GUALTIERO DI GISBURN
2316  Colui che diede inizio all'Ordine dei frati minori, nella città di Assisi dove egli nacque, fu il beato Francesco. Ascoltando un giorno le parole che il Signore disse ai suoi discepoli, quando li inviò nel mondo a predicare, subito si alzò per mettere in pratica con tutte le forze quanto aveva ascoltato: si scioglie i calzari dai piedi, indossa una vile tonaca e per cintura prende una corda, e fonda la religione dei frati minori nei dintorni di Assisi, presso Santa Maria della Porziuncola, nell'anno 1206, decimoquarto del pontificato di Innocenzo III, che approvò questo Ordine.
2317    Ebbe una piccola casa per i frati alla Riccardina presso Bologna, donata dal signor Accursio Magno, autore della nuova Glossa sui cinque volumi di tutto il diritto civile.
2318 Molti nobili e meno nobili, chierici e laici, rinunciando ai fasti della gloria mondana, seguirono il beato Francesco, aderendo ai suoi passi. Il padre santo insegnò loro come attuare la perfezione evangelica e a vivere nella povertà e nella via della santa  semplicità. Scrisse inoltre la sua Regola evangelica per sé e per i suoi frati presenti e futuri, che papa Innocenzo III confermò.
2319   Avvicinandosi il termine della sua vita, e ormai consumato dalla lunga malattia, si fece deporre sulla nuda terra, convocò i suoi frati e, ponendo le sue mani sul capo d'ognuno, li benedisse, poi distribuì a ciascuno una particella di pane, a similitudine dell'ultima Cena del Signore. E invitava tutte le creature, come era sempre stato suo costume, a lodare Iddio. Poi tutto lieto corse incontro a Dio, chiamandolo nella sua celletta con quelle parole: « Ben venga mia sorella morte! ». Giunta l'ora estrema, s'addormentò nel Signore. Era il 4 ottobre dell'anno 1226.
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