Vita seconda di Tommaso da Celano - parte2 - Ordine Francescano Secolare - fraternità di Monza

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L’ Ordine Francescano Secolare è costituito da cristiani che per una vocazione specifica, mediante una Professione Solenne, si impegnano a vivere il Vangelo alla maniera di San Francesco, nel proprio stato secolare, osservando una Regola specifica approvata dalla Chiesa.
Le Fonti Francescane
VITA SECONDA
DI SAN FRANCESCO D'ASSISI

di Tommaso da Celano


CAPITOLO L
 
 
UNA VISIONE RELATIVA ALLA POVERTÀ

 
 
 
 
669      82. Piace qui riportare una visione del Santo, degna di essere ricordata.
 
           Una notte, terminata finalmente una lunga preghiera, si assopì a poco a poco e si addormentò.
 
           Quell'anima santa viene introdotta nel santuario di Dio, e vede in sogno, tra l'altro, una donna di questo aspetto: la testa sembrava d'oro, il petto e le braccia d'argento, il ventre di cristallo e le gambe di ferro. Era alta di statura, di complessione snella e armoniosa. Ma la donna, nonostante fosse di bella presenza, indossava uno squallido mantello.
 
           Al mattino, alzatosi, il Padre espose la visione a frate Pacifico, uomo santo, senza spiegarne il significato. Molti l'hanno interpretato a loro piacimento. Ma non credo che sia fuori luogo tenere l'interpretazione suggerita dallo Spirito Santo al predetto Pacifico, durante il racconto stesso.
 
           «Questa donna di bella presenza--spiegò--è l'anima bella di san Francesco. La testa d'oro significa la contemplazione e la conoscenza delle verità eterne; il petto e le braccia d'argento sono le parole del Signore che meditava nel suo cuore e concretizzava nelle opere. Il cristallo rigido e trasparente indica rispettivamente la sua sobrietà e castità; il ferro la sua tenace perseveranza. Infine il povero mantello significa lo spregevole e minuscolo corpo, che riveste la sua anima preziosa ».
 
           Tuttavia molti altri, che hanno lo spirito di Dio, per questa donna intendono la povertà, in quanto sposa del Padre  «Questa--affermano--l'ha resa d'oro il premio della gloria, d'argento la divulgazione della fama, cristallina la professione di vivere senza denaro in perfetta  coerenza dentro e fuori, di ferro la perseveranza finale. Ma a questa nobile donna hanno intessuto uno straccio di mantello gli uomini con la loro mentalità carnale ».
 
           Altri, in numero maggiore, applicano questa visione all'Ordine, seguendo la successione dei periodi secondo l'uso di Daniele.
 
           Ma che si riferisca al Padre è evidente soprattutto dal fatto che non volle assolutamente interpretarla, per non peccare di vanagloria. Mentre se andasse riferita all'Ordine, non l'avrebbe passata sotto silenzio.
 
 
 
 
LA COMPASSIONE DI SAN FRANCESCO VERSO I POVERI
 
 
 
CAPITOLO LI
 
 
PROVA COMPASSIONE PER I POVERI
 
E INVIDIA PER I PIÙ POVERI Dl LUI
 
 
 
 
670      83. Chi potrebbe esprimere la compassione di questo uomo verso i poveri? Era certamente di cuore buono per natura, ma lo divenne doppiamente per la carità che gli venne data dall'alto. Perciò l'animo di Francesco si struggeva davanti ai poveri, e quando non poteva porgere la mano, donava almeno il suo affetto.
 
           Qualunque fosse il bisogno e qualsivoglia necessità vedeva in altri, rivolgendo l'animo con rapida riflessione, li riferiva a Cristo. Così in tutti i poveri riconosceva il Figlio della Madonna povera e portava nudo nel cuore Colui, che lei aveva portato nudo tra le braccia.
 
           Anzi, mentre aveva allontanato da sé ogni invidia, non poté rimaner privo della sola invidia della povertà. Se vedeva qualcuno più povero di lui, ne provava subito un sentimento di gelosia, e cimentandosi in una gara di povertà, temeva di essere superato a suo confronto.
 
 
671      84. Una volta, mentre andava predicando, incontrò sulla strada un povero. Osservando la sua nudità, si rivolse addolorato al compagno: «La miseria di questo uomo ci fa grande vergogna e rimprovera sommamente la nostra povertà ».
 
           « Perché, fratello? » chiese il compagno.
 
           E il Santo con accento triste: «Ho scelto per mia ricchezza e mia donna la povertà; ma ecco che rifulge maggiormente in costui. Non sai tu che si è sparsa per tutto il mondo la fama che noi siamo i più poveri per amore di Cristo? Ma questo povero ci convince che le cose non stanno così».
 
           O invidia, quale non si è mai vista! O emulazione, che i figli dovrebbero emulare! Questa non è l'invidia che si affligge dei beni altrui o che si rabbuia ai raggi del sole. Non è quella che si contrappone alla pietà e si torce per il livore. O forse tu pensi che la povertà evangelica non abbia nulla che susciti invidia? Essa ha Cristo, e per mezzo di lui ha il tutto in tutte le cose. Perché allora  sei così avido di rendite, o ecclesiastico dei nostri giorni? Domani riconoscerai che Francesco è stato ricco, quando nella tua mano troverai le rendite dei tormenti.
 
 
 
 
 
CAPITOLO LII
 
 
CORREGGE UN FRATE CHE SPARLA Dl UN POVERO
 
 
 
 
672      85. Un altro giorno della sua predicazione, un poveretto, per di più infermo era al luogo dov'era Francesco. Questi sentendo compassione per la duplice disgrazia, cioè miseria e malattia, cominciò a parlare col compagno della povertà.
 
           Era già passato, nei riguardi del sofferente, dalla commiserazione all'affetto del cuore, quando il compagno lo interruppe: «Sì, fratello, è povero, ma forse in tutta la provincia non c'è nessuno più ricco di desideri».
 
           Il Santo lo rimproverò lì su due piedi e ingiunse al compagno che stava confessandogli la sua colpa: «Su, presto: togliti la tonaca, inginocchiati ai piedi del povero e accusa apertamente la tua colpa. E non soltanto gli chiederai perdono, ma in più insisterai che preghi per te!».
 
           Il frate obbedì e quando ritornò, dopo aver compiuto la sua penitenza, il Santo gli disse: «Quando vedi un povero, fratello, ti è messo innanzi lo specchio del Signore e della sua Madre povera. Allo stesso modo nei malati devi  considerare quali infermità si è addossato per noi! ».
 
           Veramente, Francesco portava sempre sul cuore quel mazzetto di mirra, sempre fissava il volto del suo Cristo, sempre rimaneva a contatto dell'Uomo dei dolori, che conosce tutte le sofferenze!
 
 
 
 
CAPITOLO LIII
 
 
REGALA
 
IL MANTELLO AD UNA VECCHIERELLA
 
PRESSO CELANO
 
 
 
 
673      86. Un inverno a Celano Francesco portava addosso. avvolto come un mantello, un panno che gli aveva prestato un amico dei frati, di Tivoli.
 
           Mentre alloggiava nel palazzo del vescovo dei Marsi, s'imbatté in una vecchierella, che chiedeva l'elemosina. Slacciò subito il pezzo di stoffa dal collo e, quantunque appartenesse ad altri, lo donò alla povera vecchierella, dicendo: «Va', fatti un vestito, ché ne hai veramente bisogno». La vecchietta, piena di stupore,--non so se per timore o per la grande gioia--prende dalle sue mani il panno e si allontana il più velocemente che può, lo taglia subito con le forbici per evitare, che ritardando, abbia a doverlo restituire. Ma, visto che il pezzo di stoffa, una volta tagliato, non basta a confezionare un vestito, fatta coraggiosa dalla benevolenza sperimentata poco prima, ritorna dal Santo e gli espone come la stoffa è insufficiente. Questi allora si rivolge al compagno, che ne ha indosso altrettanto, e gli dice: «Senti, fratello, quello che dice questa vecchierella? Sopportiamo il freddo per amore di Dio e dona a questa poveretta il tuo panno perché possa terminare il suo vestito». Come l'aveva dato lui, lo donò anche il compagno ed ambedue rimasero spogli, per rivestire la vecchietta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO LIV
 
 
DONA IL MANTELLO AD UN ALTRO POVERO
 
 
 
 
674      87. In altra circostanza, mentre ritornava da Siena, si imbatté in un povero. Il Santo disse al compagno: «Fratello, dobbiamo  restituire il mantello a questo poveretto, perché è suo. Noi l'abbiamo avuto in prestito sino a quando non ci capitasse di incontrare uno più povero».
 
           Il compagno, che aveva in mente il bisogno del Padre caritatevole, opponeva forte resistenza perché non provvedesse all'altro trascurando se stesso.
 
           «Io non voglio essere ladro--rispose il Santo--e ci sarebbe imputato a furto, se non lo dessimo ad uno più bisognoso». L'altro cedette, ed egli donò il mantello.
 
 
 
 
CAPITOLO LV
 
 
ALTRO FATTO SIMILE
 
 
 
 
675      88. Un fatto simile accadde alle Celle di Cortona. Francesco aveva indosso un mantello nuovo, che i frati avevano procurato proprio per lui, quando giunse un povero, che piangeva la morte della moglie e la famiglia lasciata nella miseria.
 
           «Ti dò questo mantello per amore di Dio--gli disse il Santo--a condizione che non lo ceda a nessuno, se non te lo pagherà profumatamente ».
 
           Corsero immediatamente i frati per prendersi il mantello e impedire che fosse dato via. Ma il povero, reso ardito dallo sguardo del Santo, si mise a difenderlo con mani ed unghie come suo. Alla fine, i frati riscattarono il mantello ed il povero se ne andò con il prezzo ricevuto.
 
 
 
 
CAPITOLO LVI
 
 
REGALA IL MANTELLO AD UNO
 
PERCHÉ NON ABBIA PIÙ' IN ODIO IL SUO PADRONE
 
 
 
 
676      89. Una volta il Santo incontrò un povero a Colle, nella campagna di Perugia. L'aveva già conosciuto quando era ancora nel mondo, e gli disse: «Fratello, come stai?». Ma quello, con l'animo pieno di livore, si mise a scagliare maledizioni contro il suo padrone, che gli aveva tolti i suoi averi: «Sto proprio male, grazie al mio padrone: che il Signore Onnipotente lo maledica! ».
 
           Francesco sentì pietà più per la sua anima che per il suo corpo, perché mostrava di covare un odio mortale e gli disse: « Fratello, perdona per amore di Dio al tuo padrone: salverai la tua anima e può darsi che ti restituisca il maltolto. Altrimenti hai perduto i tuoi beni e perderai anche l'anima»
 
           «Non gli posso assolutamente perdonare, -- rispose l'altro -- se prima lui non mi restituisce quanto mi ha preso».
 
           Francesco aveva indosso un mantello. « Ecco,--gli propose--, ti dò questo mantello e ti prego di perdonare al tuo padrone, per amore del Signore Dio ». Raddolcito e mosso da quella bontà, prese il dono e perdonò i torti del padrone.
 
CAPITOLO LVII
 
 
REGALA AD UN POVERO UN LEMBO DELLA SUA VESTE
 
 
 
 
677      90. Un giorno un povero gli chiese l'elemosina ed egli,  non avendo niente per le mani, scucì un lembo della tonaca e lo regalò al povero.
 
           Altre volte, allo stesso fine, si tolse perfino i calzoni. Tanta era la tenera compassione che provava per i poveri e tanto l'affetto che lo spingeva a seguire le orme di Cristo povero.
 
 
 
CAPITOLO LVIII
 
 
FA DARE ALLA MADRE DI DUE FRATI, PERCHÉ POVERA,
 
LA PRIMA COPIA DEL NUOVO TESTAMENTO
 
CHE EBBE L' ORDINE
 
 
 
 
678      91. Un'altra volta venne dal Santo la madre di due frati, a chiedere fiduciosamente l'elemosina. Provandone vivo dolore, il Padre si rivolse al suo vicario, frate Pietro di Cattanio: «Possiamo dare qualcosa in elemosina a nostra madre?». Perché chiamava madre sua e di tutti i frati la madre di qualsiasi religioso. Gli rispose frate Pietro: «In casa non c'è niente da poterle dare». «Abbiamo solo--aggiunse --un Nuovo Testamento, che ci serve per le letture a mattutino, essendo noi senza breviario».
 
           Gli rispose Francesco: « Dà alla nostra madre il Nuovo Testamento: lo venda secondo la sua necessità, perché è proprio lui che ci insegna ad aiutare i poveri. Ritengo per certo che sarà più gradito al Signore l'atto di carità che la lettura ».
 
           Così fu regalato il libro alla donna e fu alienato per questa santa carità il primo Testamento che ebbe l'Ordine.
 
 
 
 
CAPITOLO LIX
 
 
DONA IL MANTELLO AD UNA POVERA DONNA
 
MALATA D' OCCHI
 
 
 
 
679      92. Mentre san Francesco si trovava nel vescovado di Rieti per curarsi gli occhi, una povera donna di Machilone  venne dal medico, perché anche lei aveva una malattia simile a quella del Santo. Questi, parlando familiarmente al suo guardiano, cominciò a poco a poco a persuaderlo all'incirca così:«Frate guardiano, dobbiamo restituire ciò che è di altri ».
 
           «Certo, padre, se abbiamo qualcosa che non sia nostro ».
 
           «Restituiamo--continuò--questo mantello, che abbiamo ricevuto in prestito da quella poveretta, perché non ha nulla in borsa per le sue spese».
 
           « Ma -- obbiettò il guardiano -- questo mantello è mio e non lo ho avuto in prestito da nessuno. usalo finché vorrai, e quando non lo vuoi più usare, rendilo a me ». E in realtà il guardiano l'aveva comprato poco prima, perché era necessario a san Francesco.
 
           «Frate guardiano, -- continuò il Santo -- tu mi sei sempre stato cortese: ti prego, mostra ora la tua cortesia ».
 
           «Ebbene padre, --concluse il guardiano--fa come vuoi, come ti suggerisce lo Spirito».
 
           Francesco chiamò allora un secolare molto affezionato e gli disse: «Prendi questo mantello e dodici pani, va' da quella donna poverella e dille così: Il povero, al quale hai imprestato il mantello, ti ringrazia, ma ora riprendi ciò che  è tuo ».
 
           Quello andò e riferì come gli era stato ordinato. La donna pensò che si volesse deriderla e gli rispose arrossendo: «Lasciami in pace col tuo mantello! Non capisco di che cosa parli ».                                
 
           L'altro insistette e gli lasciò tutto nelle mani. E la donna convinta che non c'era inganno, per timore che le venisse tolta una fortuna così impensata, si alzò nottetempo e, senza pensare alla cura degli occhi, se ne ritornò a casa col mantello.
 
 
 
 
CAPITOLO LX
 
 
GLI APPAIONO TRE DONNE LUNGO LA  STRADA
 
E SCOMPAIONO DOPO AVERLO SALUTATO
 
IN UN MODO NUOVO
 
 
 
680      93. Riferirò in breve un fatto mirabile, di interpretazione dubbia, ma quanto a verità certissimo.
 
           Francesco, il povero di Cristo, mentre da Rieti era diretto a Siena per la cura degli occhi stava attraversando la pianura presso Rocca Campiglia, in compagnia di un medico affezionato all'Ordine.
 
           Ed ecco apparire lungo la strada al passaggio del Santo tre povere donne. Erano tanto simili di statura, di età, di aspetto, che le avresti dette tre copie modellate su un unico stampo. Quando Francesco fu vicino, esse, chinando il capo con riverenza gli rivolsero questo singolare saluto: « Ben venga, signora povertà ». Il Santo si riempì subito di gaudio indicibile, perché non c'era per lui saluto più gradito di quello che esse gli avevano rivolto.
 
           Pensando dapprima che le donne fossero realmente povere, si rivolse al medico che l'accompagnava: «Ti prego, per amore di Dio, fa' in modo che possa dare qualcosa a quelle poverette». Quello prontissimo trasse fuori la borsa e, balzato di sella, diede a ciascuna alcune monete.
 
           Proseguirono quindi un poco per la strada intrapresa, quando tutto ad un tratto volgendo attorno lo sguardo, frate e medico, non videro ombra di donne in tutta la pianura. Altamente stupiti aggiunsero anche questo fatto alle meraviglie del Signore, perché evidentemente non potevano essere donne, quelle che erano volate via più rapide degli uccelli.
 
 
 
 
L'AMORE DI SAN FRANCESCO ALLA PREGHIERA
 
 
 
CAPITOLO LXI
 
 
IL TEMPO, IL LUOGO ED IL FERVORE
 
DELLA SUA PREGHIERA
 
 
 
 
681      94. Francesco, uomo di Dio, sentendosi pellegrino nel corpo lontano dal Signore, cercava di raggiungere con lo spirito il cielo e, fatto ormai concittadino degli Angeli, ne era separato unicamente dalla parete della carne. L'anima era tutta assetata del suo Cristo e a Lui si offriva interamente nel corpo e nello spirito.
 
           Delle meraviglie della sua preghiera diremo solo qualche tratto, per quanto abbiamo visto con i nostri occhi ed è possibile esporre ad orecchio umano, perché siano d'esempio ai posteri.
 
           Trascorreva tutto il suo tempo in santo raccoglimento, per imprimere nel cuore la sapienza; temeva di tornare indietro se non progrediva sempre. E se a volte urgevano visite di secolari o altre faccende, le troncava più che terminarle, per rifugiarsi di nuovo nella contemplazione. Perché a lui, che si cibava della dolcezza celeste, riusciva insipido il mondo, e le delizie divine lo avevano reso di gusto difficile per i cibi grossolani degli uomini.
 
           Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo spirito, ma con le singole membra, al suo Dio. E se all'improvviso si sentiva visitato dal Signore,  per non rimanere senza cella, se ne faceva una piccola col mantello. E se a volte era privo di questo, ricopriva il volto con la manica, per non svelare la manna nascosta.
 
           Sempre frapponeva fra sé e gli astanti qualcosa, perché non si accorgessero del contatto dello sposo: così poteva  pregare non visto anche se stipato tra mille, come nel cantuccio di una nave. Infine, se non gli era possibile niente di tutto questo, faceva un tempio del suo petto.
 
           Assorto in Dio e dimentico di se stesso, non gemeva né tossiva, era senza affanno il suo respiro e scompariva ogni altro segno esteriore.
 
 
682     95. Questo il suo comportamento in casa. Quando invece pregava nelle selve e in luoghi solitari, riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime, si batteva con la mano il petto; e lì, quasi approfittando di un luogo più intimo e riservato, dialogava spesso ad alta voce col suo Signore: rendeva conto al Giudice, supplicava il Padre, parlava all'Amico, scherzava amabilmente con lo Sposo. E in realtà, per offrire a Dio in molteplice olocausto tutte le fibre del cuore, considerava sotto diversi aspetti Colui che è sommamente Uno. Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando all'interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo. In tale modo dirigeva tutta la mente e l'affetto a quell'unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente.
 
           Ma di quanta dolcezza sarà stato inondato, abituato come era a questi trasporti? Soltanto lui lo sa, io non posso che ammirarlo. Solo chi ne ha esperienza, lo può sapere; ma è negato a chi non l'esperimenta. Quando il suo spirito era nel pieno del fervore, egli con tutto l'esteriore e con tutta l'anima completamente in deliquio si ritrovava già nella perfettissima patria del regno dei cieli.
 
           Il Padre era solito non trascurare negligentemente alcuna visita dello Spirito: quando gli si presentava, l'accoglieva e fruiva della dolcezza che gli era stata data, fino a quando il Signore lo permetteva. Così, se avvertiva gradatamente alcuni tocchi della grazia mentre era stretto da impegni o in viaggio, gustava quella dolcissima manna a varie e frequenti riprese. Anche per via si fermava, lasciando che i compagni andassero avanti, per godere della nuova visita dello Spirito e non ricevere invano la grazia.
 
 
 
 
CAPITOLO LXII
 
 
CELEBRAZIONE DEVOTA DELLE ORE CANONICHE
 
 
 
 
683      96. Recitava le ore canoniche con riverenza pari alla devozione. E quantunque fosse malato d'occhi, di stomaco, di milza e di fegato, non voleva appoggiarsi durante la salmeggiatura a muro o parete, ma assolveva l'obbligo delle ore sempre in piedi e senza cappuccio, senza guardare attorno e senza interruzioni.
 
           Quando camminava a piedi, si fermava sempre per recitare le ore; se era a cavallo, scendeva a terra.
 
           Un giorno ritornava da Roma sotto una pioggia incessante: discese dal cavallo per dire l'Ufficio e fermatosi ritto in piedi per lungo tempo, si bagnò tutto.
 
           Ripeteva: « Se il corpo mangia tranquillo il suo cibo, destinato ad essere con lui pasto di vermi, con quanta pace e tranquillità l'anima deve prendere il suo cibo, che è il suo Dio! ».
 
 
 
 
CAPITOLO LXIII
 
 
NELLA PREGHIERA ALLONTANA LE DISTRAZIONI
 
 
 
684      97. Credeva di peccare gravemente, se mentre pregava era turbato da vani fantasmi. Quando ciò capitava, ricorreva alla confessione per accusarsene subito. L'aveva resa così abituale questa premura, che molto raramente era tormentato da questo genere di mosche.
 
           Durante una quaresima, aveva fatto un piccolo vaso, per utilizzare i ritagli di tempo e non perderne neppure uno. Ma un giorno, mentre recitava devotamente Terza, gli capitò di fermare per caso gli occhi su quel vaso, e si accorse che l'uomo interiore era stato ostacolato nel fervore. Afflitto perché la voce del cuore diretta all'orecchio divino aveva subìto una interruzione, finita Terza, disse ai frati presenti: « Ah, lavoro inutile che ha avuto  tanto potere di me da deviare a sé il mio spirito! Lo sacrificherò al Signore, perché ha impedito il sacrificio diretto a lui ».
 
           Detto ciò, afferrò il vaso e lo gettò nel fuoco, dicendo: « Vergogniamoci di lasciarci distrarre da fantasie inutili quando nel tempo della preghiera parliamo col Gran Re ».
 
 
 
CAPITOLO LXIV
 
 
UN' ESTASI
 
 
 
 
685      98. Spesso rimaneva assorto preso da tanta dolcezza di contemplazione, che rapito fuori di sé, non faceva capire a nessuno ciò che esperimentava di sovrumano. Tuttavia anche da un solo fatto, che una volta avvenne in pubblico, possiamo dedurre con quale frequenza dovesse essere profondamente immerso nella dolcezza celeste.
 
           Un giorno doveva attraversare sul dorso di un asino Borgo San Sepolcro, e poiché aveva fissato di riposare in un lebbrosario, molti vennero a sapere del passaggio dell'uomo di Dio. Accorrono da ogni parte, uomini e donne, desiderosi di vederlo e di toccarlo con la devozione consueta. E che dire? Lo toccano e lo scuotono, gli tagliano pezzi dell'abito per conservarli. Ma Francesco sembra insensibile a tutto e niente avverte, come un morto, di ciò che avviene. Lo conducono finalmente al luogo fissato, e dopo aver lasciato alle spalle Borgo da un pezzo, come se provenisse da altro luogo, quel contemplatore delle cose celesti chiese preoccupato quando sarebbero giunti a Borgo.
 
 
 
 
CAPITOLO LXV
 
 
SUO CONTEGNO DOPO LA PREGHIERA
 
 
 
 
686      99. Quando ritornava dalle sue preghiere personali, durante le quali si trasformava quasi in un altro uomo, cercava di conformarsi quanto più poteva agli altri, per il timore che, se appariva col volto raggiante, il venticello dell'ammirazione non gli togliesse il merito guadagnato. Anzi spesso ripeteva ai suoi intimi: «Quando il servo di Dio nella preghiera è visitato dal Signore con qualche nuova consolazione, deve prima di terminare, alzare gli occhi al cielo e dire al Signore a mani giunte:--Tu, o Signore, hai mandato dal cielo questa dolce consolazione a me indegno peccatore: io te la restituisco, affinché tu me la metta in serbo, perché io sono un ladro del tuo tesoro--». E ancora: « Signore, toglimi il tuo bene in questo mondo, e conservamelo per il futuro».
 
           E continuava: « Così deve comportarsi, in modo che, quando esce dalla preghiera, si mostri agli altri così poverello e peccatore, come se non avesse conseguito nessuna nuova grazia ». E spiegava: «Per una mercede di poco valore capita di perdere un bene inestimabile e di provocare facilmente il nostro benefattore a non ridarlo più».
 
           Infine, era suo costume alzarsi a pregare così di nascosto e silenziosamente, che nessuno dei compagni poteva accorgersi che si alzava o pregava. Quando invece alla sera si metteva a letto, faceva rumore e quasi strepito, per far sentire a tutti che andava a coricarsi.
 
 
 
 
CAPITOLO LXVI
 
 
UN VESCOVO LO SORPRENDE IN PREGHIERA
 
E DIVENTA MUTO
 
 
 
 
687      100. Il vescovo di Assisi andò un giorno, com'era  sua consuetudine, per una visita amichevole da Francesco, che stava  pregando nel luogo della Porziuncola.
 
           Appena entrato, si dirige con poco riguardo, senza essere stato invitato, alla cella del Santo e, spinta la porticina, fa per entrare, quando, nello sporgere il capo, lo vede in preghiera: all'istante è scosso da tremore e mentre le membra si irrigidiscono perde anche la parola. Subito, per volontà di Dio, è respinto violentemente fuori e, sempre all'indietro, è trascinato lontano.
 
           A mio parere, o il vescovo era indegno di assistere a quel segreto misterioso, o Francesco meritava di godere più a lungo della grazia, che già pregustava. Pieno di stupore, il vescovo ritornò dai frati e, confessata la sua colpa con un cenno di parola, riacquistò la favella.
 
 
 
 
CAPITOLO LXVII
 
 
COME UN ABATE SPERIMENTÒ L' EFFICACIA
 
DELLA SUA PREGHIERA
 
 
 
 
688      101. L'abate del monastero di San Giustino, nella diocesi di Perugia, incontrò un giorno Francesco e, sceso velocemente da cavallo, si intrattenne brevemente con lui a parlare della salvezza della sua anima. Quando alla fine si allontanò, gli chiese umilmente di pregare per lui. «Pregherò, signore, volentieri», rispose Francesco.
 
           L'abate si era allontanato di poco, quando il Santo, rivolto al compagno, gli disse: «Aspetta un poco, perché voglio soddisfare il debito di ciò che ho promesso». Aveva infatti questa abitudine, di non gettare dietro le spalle la preghiera richiesta ma di adempiere quanto prima una tale promessa. Mentre il Santo supplicava il Signore, subito l'abate provò nello spirito un calore insolito ed una dolcezza sconosciuta fino a quel momento e, rapito fuori dai sensi, gli sembrò proprio di venire meno. Si fermò un istante, poi ritornato in se stesso, constatò la potenza della preghiera di san Francesco.
 
           Per questo provò un amore sempre più grande per l'Ordine e riferì a molti il fatto come un miracolo.
 
           Questi sono i piccoli doni che devono farsi tra loro i servi di Dio, tale lo scambio vicendevole che si addice loro riguardo al dare e al ricevere. Quel santo amore, che a volte è chiamato spirituale, è contento del frutto dell'orazione; la carità tiene poco conto dei poveri doni terreni. Credo sia proprio dell'amore santo aiutare ed essere aiutati nella lotta spirituale, raccomandare ed essere raccomandati davanti al  tribunale di Cristo.
 
           Ma a quale grado di preghiera pensi che dovesse salire chi ha potuto in tale modo innalzare un altro con i suoi meriti?
 
 
 
 
COMPRENSIONE DEL SANTO NELLA SACRA SCRITTURA
 
E POTENZA DELLE SUE PAROLE
 
 
 
CAPITOLO LXVIII
 
 
SUA SCIENZA E MEMORIA
 
 
 
 
689      102. Quantunque questo uomo beato non avesse ricevuta nessuna formazione di cultura umana, tuttavia, istruito dalla sapienza che discende da Dio e, irradiato dai fulgori della luce eterna, aveva una comprensione altissima delle Scritture. La sua intelligenza, pura da ogni macchia, penetrava le oscurità dei misteri, e ciò che rimane inaccessibile alla scienza dei maestri era aperto all'affetto dell'amante.
 
           Ogni tanto leggeva nei Libri Sacri, e scolpiva indelebilmente nel cuore ciò che anche una volta sola aveva immesso nell'animo. «Per lui, la memoria teneva il posto dei libri», perché il suo orecchio, anche in una volta sola, afferrava con sicurezza ciò che l'affetto andava  meditando con devozione. Affermava che questo metodo di apprendere e di leggere è il solo fruttuoso, non quello di consultare migliaia e migliaia di trattati. Riteneva vero filosofo colui che non antepone nulla al desiderio della vita eterna. Affermava ancora che perviene facilmente dalla scienza umana alla scienza di Dio, colui che, leggendo la Scrittura, la scruta più con l'umiltà che con la presunzione. Spesso scioglieva con una sola frase questioni dubbie e senza profusioni di parole dimostrava grande intelligenza e profonda penetrazione.
 
 
 
 
CAPITOLO LXIX
 
 
PREGATO DA UN FRATE PREDICATORE
 
ESPONE UN DETTO PROFETICO
 
 
 
 
690      103. Mentre dimorava presso Siena, vi capitò un frate dell'Ordine dei predicatori, uomo spirituale e dottore in sacra teologia. Venne dunque a far visita al beato Francesco e si trattennero a lungo insieme, lui e il Santo in dolcissima conversazione sulle parole del Signore. Poi il maestro lo interrogò su quel detto di Ezechiele: Se non manifesterai all'empio la sua empietà, domanderò conto a te della sua anima. Gli disse: «Io stesso, buon padre, conosco molti ai quali non sempre manifesto la loro empietà, pur sapendo che sono in peccato mortale. Forse che sarà chiesto conto a me delle loro anime?».
 
           E poiché Francesco si diceva ignorante e perciò degno più di essere da lui istruito, che di rispondere sopra una sentenza della Scrittura, il dottore aggiunse umilmente: «Fratello, anche se ho sentito alcuni dotti esporre questo passo, tuttavia volentieri gradirei a questo riguardo il tuo parere».
 
           «Se la frase va presa in senso generico,--rispose Francesco --io la intendo così: Il servo di Dio deve avere in se stesso tale ardore di santità di vita, da rimproverare tutti gli empi con la luce dell'esempio e l'eloquenza della sua condotta. Così, ripeto, lo splendore della sua vita ed il buon odore della sua fama, renderanno manifesta a tutti la loro iniquità ».
 
           Il dottore rimase molto edificato, per questa interpretazione, e mentre se ne partiva, disse ai compagni di Francesco: «Fratelli miei, la teologia di questo uomo, sorretta dalla purezza e dalla contemplazione, vola come aquila. La nostra scienza invece striscia terra terra ».
 
 
 
 
CAPITOLO LXX
 
 
DILUCIDAZIONI DATE ALLE DOMANDE DI UN CARDINALE
 
 
 
 
691      104. Un'altra volta, trovandosi a Roma in casa di un cardinale, fu interrogato su alcuni passi oscuri, ed espose con tanta chiarezza quei concetti profondi, da far pensare che fosse sempre vissuto in mezzo alle Scritture. Perciò il signor cardinale gli disse: «Io non ti interrogo come letterato, ma come uomo che ha lo spirito di Dio. E per questo accetto volentieri il senso della tua risposta, perché so che proviene da Dio solo».
 
 
 
CAPITOLO LXXI
 
 
ESORTATO ALLA LETTURA DELLA SCRITTURA,
 
ESPONE AD UN FRATE QUALE SIA LA  SUA SCIENZA
 
 
 
 
692      105. Francesco era infermo e pieno di dolori da ogni parte. Vedendolo così, un giorno gli disse un suo compagno: «Padre, tu hai sempre trovato un rifugio nelle Scritture; sempre ti hanno offerto un rimedio ai tuoi dolori. Ti prego anche ora fatti leggere qualche cosa dai profeti: forse il tuo spirito esulterà nel Signore ». Rispose il  Santo: «E bene leggere le testimonianze della Scrittura, ed è bene cercare in esse il Signore nostro Dio. Ma, per quanto mi riguarda, mi sono già preso tanto dalle Scritture, da essere più che sufficiente alla mia meditazione e riflessione. Non ho bisogno di più, figlio: conosco Cristo povero e Crocifisso ».
 
 
 
 
CAPITOLO LXXII
 
 
FRATE PACIFICO VEDE ALCUNE SPADE SPLENDENTI
 
SULLA PERSONA DEL SANTO
 
 
 
 
693      106. Vi era nella Marca d'Ancona un secolare, che dimentico di sé e del tutto all'oscuro di Dio, si era completamente prostituito alla vanità. Era chiamato «il Re dei versi», perché era il più rinomato dei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzoni mondane. In breve, la gloria del mondo lo aveva talmente reso famoso, che era stato incoronato dall'Imperatore nel modo più sfarzoso.      
 
           Mentre camminava così avvolto nelle tenebre e si tirava addosso il castigo avvinto nei lacci della vanità,  la pietà divina, mossa a compassione, pensò di richiamare ii misero, perché non perisse, lui che giaceva prostrato a terra. Per disposizione della Provvidenza divina, si incontrarono, lui e Francesco, presso un certo monastero di povere recluse.
 
           Il Padre vi si era recato per far visita alle figlie con i suoi compagni, mentre l'altro era venuto a casa di una sua parente con molti amici.
 
           La mano di Dio si posò su di lui, e vide proprio con i suoi occhi corporei Francesco segnato in forma di croce da due spade, messe a traverso, molto splendenti: l'una si stendeva dalla testa ai piedi, I'altra, trasversale, da una mano all'altra, all'altezza del petto. Personalmente non conosceva il beato Francesco; ma dopo un così notevole prodigio, subito lo riconobbe. Pieno di stupore, all'istante cominciò a proporsi una vita migliore, pur rinviandone l'adempimento al futuro. Ma il Padre, quando iniziò a predicare davanti a tutti, rivolse contro di lui la spada della parola di Dio. Poi, in disparte, lo ammonì con dolcezza intorno alla vanità e al disprezzo del mondo, e infine lo colpì al cuore minacciandogli il giudizio divino.
 
           L'altro, senza frapporre indugi, rispose: «Che bisogno c'è di aggiungere altro? Veniamo ai fatti. Toglimi dagli uomini, e rendimi al grande Imperatore!».
 
           Il giorno seguente, il Santo lo vestì dell'abito e lo chiamò frate Pacifico, per averlo ricondotto alla pace del Signore. E tanto più numerosi furono quelli che rimasero edificati dalla sua conversione, quanto maggiore era stata la turba dei compagni di vanità.
 
           Godendo della compagnia del Padre, frate Pacifico cominciò ad esperimentare dolcezze, che non aveva ancora provate. Infatti poté un'altra volta vedere ciò che rimaneva nascosto agli altri: poco dopo, scorse sulla fronte di Francesco un grande segno di Thau, che ornato di cerchietti multicolori, presentava la bellezza del pavone.
 
 
 
 
CAPITOLO LXXIII
 
 
L' EFFICACIA DEI SUOI DISCORSI
 
E TESTIMONIANZA Dl UN MEDICO
 
 
 
 
694      107. Il predicatore del Vangelo Francesco, quando predicava a persone incolte, usava espressioni semplici e materiali, ben sapendo che vi è più necessità di virtù che di parole. Tuttavia tra persone spirituali e più colte cavava dal cuore parole profonde, che davano vita. Con poco spiegava ciò che era inesprimibile, e unendovi movimenti e gesti di fuoco, trascinava tutti alle altezze celesti.
 
           Non si serviva del congegno delle distinzioni,  perché non dava ordine a discorsi, che non ideava da se stesso.  Alla sua parola dava voce di potenza Cristo, vera potenza e sapienza.
 
           Un medico, persona colta ed eloquente, disse una volta: «Mentre ritengo parola per parola le prediche degli altri, solo mi sfugge ciò che Francesco dice nella sua esuberanza. E, se cerco di ricordare alcune parole, non mi sembrano più quelle che prima hanno stillato le sue labbra ».
 
 
 
CAPITOLO LXXIV
 
 
CON LA POTENZA DELLA SUA PAROLA,
 
PER MEZZO Dl FRATE SILVESTRO SCACCIA I DEMONI
 
 
 
 
695      108. Le sue parole conservavano tutta la loro efficacia non solo se pronunciate direttamente, ma anche se trasmesse per mezzo di altri non ritornavano senza frutto.
 
           Arrivò un giorno ad Arezzo, mentre tutta la città era scossa dalla guerra civile e minacciava prossima la sua rovina. Il servo di Dio venne ospitato nel borgo fuori città, e  vide sopra di essa demoni esultanti, che rinfocolavano i cittadini a distruggersi fra di loro. Chiamò frate Silvestro, uomo di Dio e di ragguardevole semplicità, e gli comandò: «Va' alla porta della città, e da parte di Dio Onnipotente comanda ai demoni che quanto prima escano dalla città».
 
           Il frate pio e semplice si affrettò ad obbedire, e dopo essersi rivolto a Dio con inno di lode, grida davanti alla porta a gran voce: «Da parte di Dio e per ordine del nostro padre Francesco, andate lontano di qui, voi tutti demoni!». La città poco dopo ritrovò la pace e i cittadini rispettarono i vicendevoli diritti civili con grande tranquillità.
 
           Più tardi parlando loro, Francesco all'inizio della predicazione disse: « Parlo a voi come a persone un tempo soggiogate e schiave dei demoni. Però so che siete stati liberati per le preghiere di un povero ».
 
 
 
 
CAPITOLO LXXV
 
 
LA CONVERSIONE DEL MEDESIMO FRATE SILVESTRO.
 
UNA SUA VISIONE
 
 
 
 
696 109. Credo che non sia fuori luogo aggiungere qui la conversione del predetto Silvestro, come sia stato mosso dallo Spirito ad entrare nell'Ordine.
 
           Silvestro era un sacerdote secolare della città di Assisi, e da lui un tempo l'uomo di Dio aveva comprato pietre per riparare una chiesa. Quando vide, in quei giorni, frate Bernardo, che dopo il Santo fu la prima pianticella dell'Ordine, lasciare completamente i suoi beni e darli ai poveri, si sentì acceso da una cupidigia insaziabile e si lamentò col servo di Dio per le pietre, che un tempo gli aveva vendute, come se non gli fossero state pagate completamente. Francesco, osservando che l'animo del sacerdote era corroso dal veleno delI'avarizia, ebbe un sorriso di compassione. Ma, desiderando di portare in qualunque modo refrigerio a quella arsura maledetta, gli riempì le mani di denaro, senza contarlo.
 
           Prete Silvestro si rallegrò dei soldi ricevuti, ma più ancora ammirò la liberalità di chi donava. Ritornato a casa, ripensò più volte a quanto gli era accaduto, biasimandosi santamente e meravigliandosi di amare, pur essendo ormai vecchio, il mondo, mentre quel giovane disprezzava in tale modo tutte le cose. Quando poi fu pieno di buone disposizioni, Cristo gli aprì il seno della sua  misericordia, gli mostrò quanto valessero le opere di Francesco, quanto fossero preziose davanti a lui e come con il loro splendore riempissero tutta la terra.
 
           Vide infatti, in sogno, una croce d'oro, che usciva dalla bocca di Francesco: la sua cima arrivava  ai cieli, bracci protesi lateralmente cingevano tutto attorno il mondo.
 
           Il sacerdote, compunto a quella vista, scacciò ogni ritardo dannoso, lasciò il mondo e divenne perfetto imitatore dell'uomo di Dio. Cominciò a condurre nell'Ordine una vita perfetta e la terminò in modo perfettissimo con la grazia di Cristo.
 
           Ma, quale meraviglia che Francesco sia apparso crocifisso,  lui che ha amato tanto la croce? Non è certo sorprendente che, essendo così radicata nel suo cuore la croce, che opera cose mirabili, e venendo su da un terreno buono, abbia prodotto fiori, fronde e frutti meravigliosi! Nient'altro, di specie diversa, poteva nascere da questa terra, che la croce gloriosa fin da principio aveva presa in tale modo tutta per sé.
 
           Ma ritorniamo al nostro argomento.
 
 
 
 
CAPITOLO LXXVI
 
 
UN FRATE VIENE LIBERATO DAGLI ASSALTI DEL DEMONIO
 
 
 
 
697      110. Un frate era da lungo tempo gravemente molestato da una tentazione di spirito, la quale è più sottile e peggiore dello stimolo della carne. Finalmente, presentatosi a Francesco, si gettò umilmente ai suoi piedi. Ma, scoppiato in pianto dirotto e amarissimo, non era capace di dire parola, essendo impedito da forti singhiozzi. Il Padre ne sentì pietà, e comprendendo che era tormentato da istigazioni maligne: «Io vi ordino, o demoni,--esclamò--in virtù di Dio di non tormentare più d'ora avanti il mio fratello, come avete osato finora».
 
           Subito si dissipò quel buio tenebroso, il frate si alzò libero e non sentì più alcun tormento, come se ne fosse sempre stato esente.
 
 
 
 
CAPITOLO LXXVII
 
 
UNA SCROFA MALVAGIA UCCIDE A MORSI UN AGNELLO
 
 
 
 
698      111 Già da altre pagine risulta abbastanza chiaro che la sua parola era di una potenza sorprendente anche a riguardo degli animali. Tuttavia toccherò appena un episodio che ho alla mano.
 
           Il servo dell'Altissimo era stato ospitato una sera presso il monastero di San Verecondo, in diocesi di Gubbio, e nella notte una pecora partorì un agnellino. Vi era nel chiuso una scrofa quanto mai crudele, che, senza pietà per la vita dell'innocente, lo uccise con morso feroce.
 
           Al mattino, alzatisi, trovano l'agnellino morto e riconoscono con certezza che proprio la scrofa è colpevole di quel delitto. All'udire tutto questo, il pio padre si commuove, e ricordandosi di un altro Agnello, piange davanti a tutti l'agnellino morto: «Ohimé, frate agnellino, animale innocente, simbolo vivo sempre utile agli uomini! Sia maledetta quell'empia che ti ha ucciso e nessuno, uomo o bestia, mangi della sua carne!».
 
           Incredibile! La scrofa malvagia cominciò subito a star male, e dopo aver pagato il fio in tre giorni di sofferenze, alla fine subì una morte vendicatrice. Fu poi gettata nel fossato del monastero, dove rimase a lungo e, seccatasi come un legno, non servì di cibo a nessuno per quanto affamato.
 
 
 
 
CONTRO LE FAMILIARITÀ CON DONNE
 
 
 
CAPITOLO LXXVIII
 
 
SI DEVE EVITARE LA  FAMILIARITÀ CON DONNE.
 
COME SI COMPORTAVA CON LORO
 
 
 
 
699      112. Comandava che fossero evitate del tutto le familiarità con donne, dolce veleno che corrompe anche gli uomini santi. Temeva infatti che l'animo fragile si spezzasse presto e quello forte si indebolisse. E ripeteva che, se non si tratta di una persona di virtù più che sperimentata, intrattenersi familiarmente con esse senza esserne contagiati è tanto facile, quanto, secondo la Scrittura, camminare sul fuoco senza scottarsi i piedi.
 
           Per mostrare con i fatti ciò che diceva, presentava in se stesso un modello perfetto di virtù. Le donne infatti gli erano così moleste, da far credere che si trattasse non di cautela o di esempio, ma di paura o di orrore.
 
           Quando la loro loquacità importuna dava origine a contesa, induceva al silenzio con un parlare breve ed umile e il volto a terra. Altre volte fissava gli occhi al cielo, quasi volesse ricavarne ciò che avrebbe risposto a quelle cicale mondane. Quelle invece, che avevano reso il loro animo dimora della sapienza con una santa e perseverante devozione, le istruiva con meravigliosi, ma brevi discorsi.
 
           Quando si intratteneva con una donna, parlava ad alta voce, in modo che tutti potessero udire. Una volta confidò ad un compagno: «Ti confesso la verità, carissimo: se le guardassi in faccia, ne riconoscerei solamente due. Dell'una e dell'altra mi è noto il volto, di altre no »..
 
           Benissimo, Padre, perché guardarle non santifica nessuno. Ottimamente, ripeto, perché la loro presenza non porta alcun vantaggio, ma moltissimo danno anche di tempo. Sono, queste cose, un impedimento a chi vuole affrontare un viaggio arduo e contemplare il volto pieno di ogni grazia.
 
 
 
 
CAPITOLO LXXIX
 
 
UNA PARABOLA CONTRO GLI SGUARDI RIVOLTI ALLE DONNE
 
 
 
 
700      113. Era solito colpire gli occhi non casti con questa parabola.
 
           Un re potentissimo inviò, in tempi successivi, due nunzi alla regina. Ritorna il primo e riferisce semplicemente la risposta al suo messaggio. Ritorna l'altro, e dopo aver riferito in breve la risposta, tesse una lunga storia della bellezza della sovrana. «A dir vero, Signore, ho proprio visto una donna bellissima. Felice chi può goderne!».
 
           «Servo malvagio,--lo investe il re--hai fissato i tuoi occhi impudichi sulla mia sposa? È chiaro che tu avresti voluto far tuo un oggetto che hai esaminato così attentamente!».
 
           Fa richiamare il primo e gli chiede: «Che ti sembra della regina?». «Molto bene di certo,--risponde il messo --perché ha ascoltato in silenzio ed ha risposto con saggezza ». «E non ti sembra bella?». «Guardare a questo tocca a te. Mio compito era di riferire le parole ».
 
           Il re pronuncia allora la sentenza: «Tu casto di occhi, più casto di corpo, rimani nel mio appartamento. Costui invece, fuori di casa, perché non violi il mio talamo! ».
 
           Ripeteva poi il Padre: «Quando si è troppo sicuri di sé, si è meno prudenti di fronte al nemico. Se il diavolo può far suo un capello in un uomo, ben presto lo fa diventare una trave. E non desiste anche se per lungo tempo non è riuscito a far crollare chi ha  tentato, purché alla fine gli si arrenda. Questo è il suo intento, e non si occupa di altro giorno e notte ».
 
 
 
 
CAPITOLO LXXX
 
 
ESEMPIO DEL SANTO CONTRO L' ECCESSIVA FAMILIARITÀ
 
 
 
701      114. Una volta Francesco era diretto a Bevagna,  ma indebolito dal digiuno non era in grado di arrivare al paese. Il compagno allora mandò a chiedere umilmente a una devota signora del pane e del vino per il Santo. Appena la donna conobbe la cosa, assieme ad una figlia, vergine consacrata a Dio, si avviò di corsa, per portare al Santo quanto era necessario. Ristorato e ripreso alquanto vigore, rifocillò a sua volta madre e figlia con la parola di Dio. Ma nel parlare ad esse, non le guardò mai in faccia.
 
           Mentre quelle ritornavano a casa, il compagno gli disse: «Perché fratello, non hai guardato la santa vergine, che è venuta a te con tanta devozione? ». E il Padre: «Chi non dovrebbe aver timore di guardare la sposa di Cristo? Se poi si predica anche con gli occhi ed il volto, essa da parte sua poteva ben guardarmi, ma non occorreva che la guardassi io»..
 
           Spesso parlando di queste cose, asseriva che è frivolo ogni colloquio con donne, fatta eccezione della sola confessione o, come capita, di qualche brevissimo consiglio. E commentava: «Di cosa dovrebbe trattare un frate minore con una donna, se non della santa penitenza o di un consiglio di vita più perfetta, quando gliene faccia religiosa richiesta? ».
 
LE TENTAZIONI CHE AFFRONTÒ IL SANTO
 
 
 
CAPITOLO LXXXI
 
 
LE TENTAZIONI DEL SANTO E COME NE SUPERÒ UNA
 
 
 
 
702      115. Mentre crescevano i meriti di Francesco, cresceva pure il disaccordo con l'antico serpente. Quanto maggiori erano i suoi carismi, tanto più sottili i tentativi e più violenti gli attacchi che quello gli moveva. E quantunque lo avesse spesso conosciuto per esperienza come valoroso guerriero, che non veniva meno neppure un istante nel combattimento, tuttavia tentava ancora di aggredirlo, pur risultando quegli sempre vincitore.
 
           Ad un certo momento della sua vita, il Padre subì una violentissima tentazione di spirito, sicuramente a vantaggio della sua corona.  Per questo, era angustiato e pieno di sofferenza, mortificava e macerava il corpo, pregava e piangeva nel modo più penoso. Questa lotta durò più anni. Un giorno, mentre pregava in Santa Maria della Porziuncola, udi in spirito una voce: «Francesco, se avrai fede quanto  un granello di senapa, dirai al monte che si sposti ed esso si muoverà ».
 
           «Signore, -- rispose il Santo ---qual è il monte, che io vorrei trasferire?».
 
           E la voce di nuovo: «Il monte è la tua tentazione ».
 
           «O Signore, --rispose il Santo in lacrime--avvenga  a me, come hai detto».
 
           Subito sparì ogni tentazione e si sentì libero e del tutto sereno nel più profondo del cuore.
 
 
 
 
 
CAPITOLO LXXXII
 
 
IL DIAVOLO LO CHIAMA PER TENTARLO Dl LUSSURIA,
 
MA IL SANTO LO VINCE
 
 
 
 
703      116. Nell'eremo dei frati di Sarteano il maligno, che sempre invidia il progresso spirituale dei figli di Dio, ebbe addirittura questa presunzione.
 
           Vedendo che il Santo attendeva continuamente alla sua santificazione, e non tralasciava il guadagno di oggi soddisfatto di quello del giorno precedente, una notte, mentre pregava nella sua celletta, lo chiamò per tre volte:
 
           «Francesco, Francesco, Francesco».
 
           «Cosa vuoi?».
 
           E quello: «Nel mondo non vi è nessun peccatore, che non ottenga la misericordia di Dio, se pentito. Ma chiunque causa la propria morte con una penitenza rigida non troverà misericordia in eterno ».
 
           Il Santo riconobbe subito, per rivelazione, l'astuzia del nemico, come cercava di indurlo alla tiepidezza. Ma, cosa crederesti? Il nemico non tralasciò di rinnovargli un altro assalto. Vedendo che in tale modo non era riuscito a nascondere il laccio, ne prepara un altro, cioè uno stimolo carnale. Ma inutilmente, perché non poteva essere ingannato dalla carne, chi aveva scoperto l'inganno dello spirito. Gli manda dunque il diavolo, una violentissima tentazione di lussuria.
 
           Appena il Padre la nota, si spoglia della veste e si flagella con estrema durezza con un pezzo di corda. «Orsù, frate asino,--esclama--così tu devi sottostare, così subire il flagello! La tonaca è dell'Ordine, non è lecito appropriarsene indebitamente. Se vuoi andare altrove, va' pure ».
 
           
 
117. Ma poiché vedeva che con i colpi della disciplina la tentazione non se ne andava, mentre tutte le membra erano arrossate di lividi, aprì la celletta e, uscito nell'orto, si immerse nudo nella neve alta. Prendendo poi la neve a piene mani la stringe e ne fa sette mucchi a forma di manichini, si colloca poi dinanzi ad essi e comincia a parlare così al corpo:
 
           «Ecco, questa più grande è tua moglie; questi quattro, due sono i figli e due le tue figlie; gli altri due sono il servo e la domestica, necessari al servizio. Fa' presto, occorre vestirli tutti, perché muoiono dal freddo. Se poi questa molteplice preoccupazione ti è di peso, servi con diligenza unicamente al Signore ».
 
           All'istante il diavolo confuso si allontanò, ed il Santo ritornò nella sua cella, glorificando Dio.
 
           Un frate di spirito, che allora attendeva alla preghiera, osservò tutto, perché splendeva la luna in cielo. Ma, quando più tardi il Santo si accorse che un frate l'aveva visto nella notte, molto spiaciuto, gli ordinò di non svelare l'accaduto a nessuno, fino a che fosse in vita.
 
 
 
 
CAPITOLO LXXXIII
 
 
LIBERA UN FRATE TENTATO.
 
VANTAGGI DELLA TENTAZIONE
 
 
 
 
704      118. Una volta un frate, che era tentato, sedeva tutto solo vicino al Santo e gli disse: «Prega per me, Padre buono: sono convinto che sarò subito liberato dalle mie tentazioni, se ti degnerai di pregare per me. Sono proprio afflitto oltre le mie forze, e so che anche tu lo hai capito».
 
           «Credimi figlio -- gli rispose Francesco--: proprio per questo ti ritengo ancor più servo di Dio, e sappi che più sei tentato e più mi sei caro ». E soggiunse: «Ti dico in verità che nessuno deve ritenersi servo di Dio, sino a quando non sia passato attraverso prove e tribolazioni. La tentazione superata è, in un certo senso,  l'anello, col quale il Signore sposa l'anima del suo servo.
 
           «Molti si lusingano per meriti accumulati in lunghi anni, e godono di non avere mai sostenuto prove. Ma sappiamo che il Signore ha tenuto in considerazione la loro debolezza di spirito, perché ancor prima dello scontro, il solo terrore li avrebbe schiacciati. Infatti i combattimenti difficili vengono riservati solo a chi ha un coraggio esemplare».
 
 
 
 
LOTTA COI DEMONI
 
 
 
CAPITOLO LXXXIV
 
 
I DEMONI LO PERCUOTONO. BISOGNA EVITARE LE CORTI
 
 
 
 
705      119. Questo uomo non soltanto veniva attaccato da  Satana con tentazioni, ma anche si azzuffava con lui corpo a corpo.
 
           Una volta il signor Leone, cardinale di Santa Croce,  lo pregò di rimanere un po' di tempo con lui a Roma. Francesco scelse una torre solitaria, che essendo all'interno fatta a volta, presentava nove vani simili alle stanzette di un eremo.
 
           La prima notte, dopo aver pregato Dio, si accingeva a riposare, quando fattisi vivi i demoni gli mossero una lotta spietata. Lo fustigarono per lunghissimo tempo e tanto duramente da lasciarlo alla fine quasi mezzomorto.
 
           Quando se ne andarono, ripreso finalmente il respiro il Santo chiama il compagno, che dormiva sotto un'altra volta: «Fratello,--gli dice appena arrivato--voglio che tu rimanga vicino a me, perché ho paura ad essere solo. Poco fa i demoni mi hanno percosso». Il Santo era preso da tremore e da agitazione in tutto il corpo, come uno in preda ad una violentissima febbre.
 
           120. Passarono così tutta la notte svegli, e Francesco disse al compagno: « I demoni sono i castaldi di nostro Signore, ed egli stesso li incarica di punire le nostre mancanze. È segno di grazia particolare, se non lascia nulla di impunito nel suo servo, finché è vivo in questo mondo.
 
           «Io, a dir vero, non mi ricordo di una colpa, che per misericordia di Dio non abbia espiata col pentimento, perché, nella sua paterna bontà, si è sempre degnato mostrarmi, mentre meditavo e pregavo, cosa gli piacesse e cosa l'offendesse. Ma forse ha permesso che mi assalissero i suoi castaldi, perché non do buon esempio agli altri col fermarmi nel palazzo dei nobili.
 
           «I miei frati, che dimorano in luoghi miseri, vedendo che me ne sto con i cardinali penseranno che io abbondi di delizie. Perciò, fratello, ritengo più giusto che rifugga dai palazzi chi è posto ad esempio degli altri, e renda forti quelli che soffrono ristrettezza, condividendo gli stessi disagi».
 
           Giunti così al mattino raccontarono tutto al cardinale e lo salutarono.
 
           Lo ricordino bene i frati che vivono a palazzo, e sappiano che sono figli abortivi, sottratti al seno della loro madre.  Non condanno l'obbedienza, ma biasimo l'ambizione, l'ozio, le delizie. Infine, anche a tutte le obbedienze possibili metto innanzi nel modo più assoluto Francesco.
 
           Almeno si tolga ciò che, essendo gradito agli uomini, dispiace a Dio.
 
 
 
 
CAPITOLO LXXXV
 
 
UN ESEMPIO RIGUARDO ALLO STESSO ARGOMENTO
 
 
 
 
706      121. Mi viene a mente un episodio, che, a mio parere, non si può tralasciare.
 
           Un frate, vedendo che alcuni religiosi si intrattenevano in una corte, sedotto da non so quale vanagloria, volle anche lui farsi «palatino» come loro. E mentre bruciava dal desiderio di quella vita principesca, una notte vide in sogno i predetti confratelli, fuori della abitazione dei frati e separati dalla loro comunità. Inoltre, chini su un truogolo da maiali, lurido e ripugnante, stavano mangiando dei ceci, mescolati a sterco umano.
 
           A tale vista, il frate stupì altamente e, alzatosi alla prima luce dell'alba, non si curò più della corte.
 
 
 
 
CAPITOLO LXXXVI
 
 
TENTAZIONI CHE Il SANTO SUBI' IN UN LUOGO SOLITARIO.
 
VISIONE DI UN FRATE
 
 
 
 
707      122. Il Santo giunse una volta con il compagno ad una chiesa, lontano dall'abitato. Desiderando pregare tutto solo, avvisò il compagno: «Fratello, vorrei rimanere qui da solo questa notte. Tu va all'ospedale  e torna da me per tempo domattina ».
 
           Rimasto dunque solo, rivolse a Dio lunghe e devotissime preghiere, e alla fine guardò attorno, dove potesse reclinare  il capo per dormire. Ma subito turbato nello spirito cominciò a sentirsi oppresso dallo spavento e dal tedio e a tremare in tutto il corpo. Sentiva chiaramente che il diavolo dirigeva contro di lui i suoi assalti, e udiva folle di demoni che scorazzavano con strepito sul tetto dell'edificio.
 
           Immediatamente si alzò e, uscito fuori, si fece il segno della croce, esclamando: «Da parte di Dio Onnipotente vi comando, demoni, che riversiate sul mio corpo tutto ciò che è in vostro potere. Lo sopporto volentieri, perché non ho un nemico peggiore del mio corpo: mi farete così giustizia del mio avversario e gli infliggerete la punizione in vece mia ».
 
           Quelli, che si erano riuniti per atterrire il suo animo, incontrando uno spirito più pronto anche se in una carne debole, subito si dileguarono confusi dalla vergogna.
 
 
           123. Fattosi giorno, ritorna il compagno, e trovando il Santo prostrato davanti all'altare, aspetta fuori del coro e anche lui nel frattempo si mette a pregare fervorosamente, davanti ad una croce. Rapito in estasi, vede fra tanti seggi in cielo uno più bello degli altri, ornato di pietre preziose e tutto raggiante di gloria. Ammira dentro di sé quel nobile trono, e va ripensando tacitamente a chi possa appartenere. Ma nel frattempo sente una voce che gli dice: «Questo trono appartenne ad un angelo che è precipitato, ed ora è riservato all'umile Francesco ».
 
           Rientrato in se stesso, il frate vede Francesco che ritorna dalla preghiera. Gli si prostra subito dinnanzi, con le braccia in forma di croce, e si rivolge a lui non come ad uno che viva sulla terra, ma quasi ad un essere che regni già in cielo: « Prega per me il Figlio di Dio, Padre, che non tenga conto dei miei peccati ».
 
           L'uomo di Dio gli tende la mano e lo rialza, sicuro che nella preghiera ha ricevuto una visione.
 
           Alla fine, mentre si allontanano dal luogo, il frate chiede a Francesco: « Padre, cosa ne pensi di te stesso? ». Ed egli rispose: « Mi sembra di essere il più grande peccatore, perché se Dio avesse usata tanta misericordia con qualche scellerato, sarebbe dieci volte migliore di me».
 
           A queste parole, subito lo Spirito disse interiormente al frate: «Conosci che è stata vera la tua visione da questo: perché questo uomo umilissimo sarà innalzato per la sua umiltà a quel trono che è  stato perduto per la superbia ».
 
 
 
 
CAPITOLO LXXXVII
 
 
UN FRATE LIBERATO DALLA TENTAZIONE
 
 
 
 
708      124. Un frate di spirito e che viveva da molti anni nell'Ordine, era afflitto da una forte tentazione della carne e sembrava quasi inghiottito nel vortice della disperazione. Ogni giorno gli si raddoppiava la pena, mentre la coscienza, più scrupolosa che delicata, lo spingeva a confessarsi di un nonnulla. Perché, a dir vero, non ci si dovrebbe confessare con tanta premura di avere una tentazione, ma se mai di aver ceduto, anche poco, alla tentazione. Egli poi provava tanta vergogna, che per timore di rivelare tutto ad un solo sacerdote-- tanto più che erano solo ombre-- divideva in più parti le sue ansie e ne confidava un po' agli uni e un po' agli altri.
 
           Ma mentre un giorno stava passeggiando con Francesco, gli dice il Santo: «Fratello, ti ordino di non confessare più a nessuno la tua tribolazione. E non aver paura, perché ciò che avviene attorno a te, senza il tuo consenso, ti sarà attribuito a merito, non a colpa. Ogni volta che sarai nell'angustia, dì con il mio permesso sette Pater Noster ».
 
           Meravigliato come il Santo avesse conosciuto tutto, fu ricolmo di gioia e poco dopo si trovò libero da ogni tormento.
 
 
 
 
 
 
 
 
LA VERA LETIZIA DELLO SPIRITO
 
 
 
CAPITOLO LXXXVIII
 
 
LA LETIZIA SPIRITUALE E SUA LODE.
 
IL MALE DELLA MALINCONIA
 
 
 
 
709      125. Questo Santo assicurava che la letizia spirituale è il rimedio più sicuro contro le mille insidie e astuzie del nemico. Diceva infatti: «Il diavolo esulta soprattutto, quando può rapire al servo di Dio il gaudio dello spirito. Egli porta della polvere, che cerca di gettare negli spiragli, per . quanto piccoli della coscienza e così insudiciare il candore della mente e la mondezza della vita. Ma--continuava-- se la letizia di spirito riempie il cuore, inutilmente il serpente tenta di iniettare il suo veleno mortale. I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo vedono santamente giocondo. Se invece l'animo è malinconico, desolato e piangente, con tutta facilità o viene sopraffatto dalla tristezza o è trasportato alle gioie frivole ».
 
           Per questo il Santo cercava di rimanere sempre nel giubilo del cuore, di conservare l'unzione dello spirito e l'olio della letizia. Evitava con la massima cura la malinconia, il peggiore di tutti i mali, tanto che correva il più presto possibile all'orazione, appena ne sentiva qualche cenno nel cuore.
 
           «Il servo di Dio--spiegava--quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché, se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime.
 
 
 
 
CAPITOLO LXXXIX
 
 
ASCOLTA UN ANGELO SUONARE LA CETRA
 
 
 
 
710    126. Al tempo in cui soggiornava a Rieti per la cura degli occhi, chiamò un compagno che, prima d'essere religioso, era stato suonatore di cetra, e gli disse: «Fratello, i figli di questo mondo  non comprendono i piani di Dio. Perché anche gli strumenti musicali, che un tempo erano riservati alle lodi di Dio, sono stati usati dalla sensualità umana per soddisfare gli orecchi. Io vorrei, fratello, che tu in segreto prendessi a prestito una cetra, e la portassi qui per dare a frate corpo, che è pieno di dolori, un po' di conforto con qualche bel verso». Gli rispose il frate: «Mi vergogno non poco, padre, per timore che pensino che io sono stato tentato da questa leggerezza».
 
           Il Santo allora tagliò corto: «Lasciamo andare allora, fratello. È bene tralasciare molte cose perché sia salvo il buon nome ».
 
           La notte seguente, mentre il Santo era sveglio e meditava su Dio, all'improvviso risuona una cetra con meravigliosa e soavissima melodia. Non si vedeva persona, ma proprio dal continuo variare del suono, vicino o lontano si capiva che il citaredo andava e ritornava. Con lo spirito rivolto a Dio, il Padre provò tanta soavità in quella melodia dolcissima, da credere di essere passato in un altro mondo.
 
           Al mattino alzatosi, il Santo chiamò il frate e dopo avergli raccontato tutto per ordine, aggiunse: «Il Signore che consola gli afflitti, non mi ha lasciato senza consolazione. Ed ecco che mentre non mi è stato possibile udire le cetre degli uomini, ne ho sentita una più soave ».
 
 
 
 
CAPITOLO XC
 
 
QUANDO IL SANTO ERA LIETO Dl SPIRITO,
 
CANTAVA IN FRANCESE
 
 
 
 
711      127. A volte si comportava così. Quando la dolcissima melodia dello spirito gli ferveva nel petto, si manifestava all'esterno con parole francesi, e la vena dell'ispirazione divina, che il suo orecchio percepiva furtivamente traboccava in giubilo alla maniera giullaresca.
 
           Talora--come ho visto con i miei occhi--raccoglieva un legno da terra, e mentre lo teneva sul braccio sinistro, con la destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passava sopra accompagnandosi con movimenti adatti come fosse una viella, e cantava in francese le lodi del Signore.
 
           Bene spesso tutta questa esultanza terminava in lacrime ed il giubilo si stemperava in compianto della passione del Signore. Poi il Santo, in preda a continui e prolungati sospiri ed a rinnovati gemiti, dimentico di ciò che aveva in mano, rimaneva proteso verso il cielo.
 
 
 
 
CAPITOLO XCI
 
 
RIPRENDE UN FRATE TRISTE E
 
GLI INSEGNA COME DEBBA COMPORTARSI
 
 
 
 
712     128. Un giorno vide un suo compagno con una faccia triste e melanconica. Sopportando la cosa a malincuore, gli disse: «Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno. Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi. Ma quando ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri ». E poco dopo: «Gli avversari della salvezza umana hanno molta invidia di me e siccome non riescono a turbarmi direttamente, tentano sempre di farlo attraverso i miei compagni ».
 
           Amava poi tanto l'uomo pieno di letizia spirituale, che per ammonimento generale fece scrivere in un capitolo queste parole: « Si guardino i frati di non mostrarsi tristi di fuori e rannuvolati come degli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore, ilari e  convenientemente graziosi »..
 
 
 
 
CAPITOLO XCII
 
 
COME SI DEVE TRATTARE IL CORPO
 
PERCHÉ NON MORMORI
 
 
 
 
713      129.     Il Santo disse pure una volta: «si deve provvedere a frate corpo con discrezione, perché non susciti una tempesta di malinconia. E affinché non gli sia di peso vegliare e perseverare devotamente nella preghiera, gli si tolga l'occasione di mormorare. Potrebbe infatti dire: -- Vengo meno dalla fame, non posso portare il peso del tuo esercizio--. Se poi, dopo aver consumato vitto sufficiente borbottasse, sappi che il giumento pigro ha bisogno degli sproni e l'asinello svogliato attende il pungolo».
 
           Fu questo l'unico insegnamento, nel quale la condotta del Padre non corrispose alle parole. Perché soggiogava il suo corpo, assolutamente innocente, con flagelli e privazioni e gli moltiplicava le percosse senza motivo. Infatti il calore dello spirito aveva talmente affinato il corpo, che come l'anima aveva sete di Dio, così ne era sitibonda in molteplici modi anche la sua carne santissima.
 
 
 
 
LA LETIZIA FATUA
 
 
 
CAPITOLO XCIII
 
 
CONTRO LA VANAGLORIA E L' IPOCRISIA
 
 
 
 
714      130. Mentre teneva in grande pregio la gioia spirituale, evitava con cura quella vana, convinto che si deve amare diligentemente ciò che aiuta a progredire, e allo stesso modo si deve evitare ciò che è dannoso. La vanagloria, la stroncava ancora in germe, non permettendo che rimanesse neppure un istante ciò che potesse   offendere gli occhi del suo Signore.  Spesso infatti quando si sentiva molto elogiare, se ne addolorava e gemeva assumendo subito un aspetto triste.
 
           Un inverno, il Santo aveva il povero corpo coperto di una sola tonaca, rafforzata con pezze molto grossolane. Il guardiano, che era anche suo compagno, comprò. una pelle di volpe e gliela portò dicendo: « Padre, tu soffri di milza e di stomaco: prego la tua carità nel Signore di permettere di cucire all'interno della tonaca questa pelle. Se non la vuoi tutta, almeno accettane una parte in corrispondenza dello stomaco ». Francesco rispose: «Se vuoi che porti sotto la tonaca questa pelliccia, fammene porre un'altra della stessa misura all'esterno. Cucita al di fuori sarà indizio della pelle nascosta sotto ».
 
           Il frate ascoltò, ma non era del parere, insistette, ma non ottenne di più. Alla fine il guardiano si arrese, e fece cucire una pelliccia sull'altra, perché Francesco non apparisse di fuori diverso da quello che era dentro.
 
           O esempio di coerenza, identico nella vita e nelle parole! Lo stesso dentro e fuori, da suddito e da superiore! Tu non desideravi alcuna gloria né esterna né privata, perché ti gloriavi solamente del Signore. Ma, per carità, non vorrei offendere chi usa pellicce, se oso dire che una pelle prende il posto dell'altra. Sappiamo infatti che sentirono bisogno di tuniche di pelle, perché si trovarono spogli dell'innocenza.
 
 
 
 
 
CAPITOLO XCIV
 
 
SI ACCUSA DI IPOCRISIA
 
 
 
715      131. Una volta, intorno a Natale, si era radunata molta folla per la predica presso l'eremo di Poggio.  Francesco esordi a questo modo: «Voi mi credete un uomo santo e perciò siete venuti qui con  devozione. Ebbene, ve lo confesso, in tutta questa quaresima, ho mangiato cibi conditi con lardo.
 
           E così più di una volta attribuì a gola, ciò che invece aveva concesso alla malattia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO XCV
 
 
SI ACCUSA DI VANAGLORIA
 
 
 
 
716      132. Con eguale fervore subito svelava e confessava candidamente davanti a tutti il sentimento di vanagloria, che a volte si impossessava del suo spirito.
 
           Un giorno, una vecchierella gli andò incontro, mentre attraversava Assisi e gli chiese l'elemosina. Il Santo non aveva altro che il mantello e subito glielo donò generosamente. Ma, avvertendo che nell'animo stava infiltrandosi un sentimento di vano compiacimento, subito davanti a tutti confessò di averne provato vanagloria.
 
 
 
 
CAPITOLO XCVI
 
 
PAROLE DEL SANTO CONTRO I SUOI AMMIRATORI
 
 
 
717      133.     Cercava con ogni cura di nascondere nel segreto del suo cuore i doni del Signore, perché non voleva che, se gli erano occasione di gloria umana, gli fossero pure causa di rovina. E spesso quando molti lo proclamavano santo, rispondeva così: «Posso avere ancora figli e figlie: non lodatemi come fossi sicuro ! Non si deve lodare nessuno, fino a che è incerta la sua fine. Quando Colui che mi ha concesso il mutuo--così continuava--volesse ritirarlo, rimarrebbe solo il corpo e l'anima, come li hanno pure gli infedeli ». Questa era la risposta a chi lo lodava.
 
           Rivolto poi a sé diceva: « Se l'Altissimo avesse concesso grazie così grandi ad un ladrone, sarebbe più riconoscente di te, Francesco! ».
 
 
 
 
CAPITOLO XCVII
 
 
PAROLE DEL SANTO
 
CONTRO QUELLI CHE LODANO SE STESSI
 
 
 
 
718      134. Ripeteva spesso ai frati: « Nessuno deve lusingarsi con ingiusto vanto per quelle azioni, che anche il peccatore potrebbe compiere. Il peccatore--spiegava--può digiunare, pregare, piangere, macerare il proprio corpo. Ma una sola cosa non gli è possibile: rimanere fedele al suo Signore. Proprio di questo dobbiamo gloriarci, se diamo a Dio la gloria che gli spetta, se da servitori fedeli attribuiamo a lui tutto il bene che ci dona.
 
           «Il peggiore nemico dell'uomo è la sua carne: è del tutto incapace di ripensare al passato per pentirsene, niente sa prevedere per tutelarsi. Unica sua preoccupazione è approfittare senza scrupoli del tempo presente. E ciò che è peggio--aggiungeva--essa si usurpa e attribuisce a propria gloria quanto non è stato dato a lei, ma all'anima. La carne raccoglie lode dalle virtù e plauso, da parte della gente, dalle veglie e dalle preghiere. Niente lascia all'anima e anche dalle lacrime cerca profitto ».
 
 
 
 
 
 
OCCULTAMENTO DELLE STIMMATE
 
 
 
CAPITOLO XCVIII
 
 
RISPOSTA A CHI LO INTERROGAVA A QUESTO RIGUARDO
 
E CON QUANTA PREMURA LE COPRIVA
 
 
 
 
719      135. Non è possibile passare sotto silenzio con quanta premura ha coperto e nascosto i gloriosi segni del Crocifisso, degni di essere venerati anche dagli spiriti più grandi.
 
           Da principio, quando il vero amore di Cristo aveva già trasformato nella sua stessa immagine l'amante, cominciò a celare e ad occultare il tesoro con tanta cautela, da non farlo scoprire per lungo tempo neppure ai suoi intimi. Ma la divina Provvidenza non permise che rimanesse sempre nascosto e non giungesse agli occhi dei suoi cari. Anzi il fatto di trovarsi in punti delle membra visibili a tutti non permise che continuasse a rimanere occulto.
 
           Uno dei compagni una volta, vedendo le stimmate nei piedi, gli disse: «Cosa è ciò, buon fratello?».
 
« Pensa ai fatti tuoi », gli rispose.
 
 
720      136. Un'altra volta lo stesso frate gli chiese la tonaca per sbatterla. Vedendola macchiata di sangue, disse al Santo, dopo averla restituita: «Che sangue è quello, di cui sembra macchiata la tonaca?». Il Santo mettendosi un dito sull'occhio, rispose: «Domanda cosa sia questo, se non sai che è un occhio!».
 
           Per questo raramente si lavava tutte intiere le mani, ma bagnava soltanto le dita, per non manifestare la cosa ai presenti. Ancor più raramente si lavava i piedi, e quanto di raro altrettanto di nascosto. Se uno gli chiedeva di baciargli la mano, la presentava a metà: tendeva solo le dita e quel tanto indispensabile per porvi un bacio. Capitava anche che invece della mano porgesse la manica.
 
           Per non lasciare vedere i piedi, portava calzerotti di lana dopo aver posto sulle ferite una pelle per mitigarne la ruvidezza. E benché non potesse nascondere del tutto ai compagni le stimmate delle mani e dei piedi, sopportava però a malincuore che altri le osservasse. Per questo, anche gli stessi compagni con molta prudenza, quando per necessità il Santo scopriva le mani, volgevano altrove lo sguardo.
 
 
 
 
CAPITOLO XCIX
 
 
UN FRATE RIESCE A VEDERLE CON UN PIO INGANNO
 
 
 
 
721      137. Mentre Francesco si trovava a Siena, nell'inverno o nella primavera del 1226, giunse colà un frate da Brescia. Desiderava molto vedere le stimmate del Padre e scongiurò con insistenza frate Pacifico a ottenergli questa possibilità.
 
           Questi gli rispose: « Quando starai per ripartire di qui, gli chiederò che dia da baciare le mani. Appena le avrà date, io ti farò un cenno cogli occhi, e tu potrai vederle».
 
           Quando furono pronti per il ritorno, si recarono ambedue dal Santo. Inginocchiatisi, Pacifico dice a Francesco: «Ti preghiamo di benedirci, carissima madre, e dammi la tua mano da baciare!». Subito la bacia, mentre egli l'allunga con riluttanza, e fa cenno al compagno di guardarla. Poi chiede l'altra, la bacia e la mostra all'altro.
 
           Quando stavano allontanandosi, venne al Padre il sospetto che gli avessero teso un pio inganno, come era in realtà. E giudicando empia quella che era soltanto una pia curiosità, richiamò subito frate Pacifico: «Ti perdoni il Signore --gli disse --perché ogni tanto mi rechi grandi pene ».
 
           Pacifico si prostrò subito e gli chiese umilmente: «Quale pena ti ho recata, carissima madre?». Francesco non rispose e la cosa finì nel silenzio.
 
 
 
CAPITOLO C
 
 
UN FRATE VEDE LA FERITA DEL COSTATO
 
 
 
 
722      138. Le ferite delle mani e dei piedi erano note ad alcuni per la posizione stessa delle membra, accessibile alla vista di tutti. Nessuno invece fu degno di vedere, finché il Santo fu vivo, la ferita del costato, eccettuato uno solo e per una sola volta. Quando faceva sbattere la tonaca, si copriva col braccio destro la ferita del costato. Altre volte applicava al fianco trafitto la mano sinistra e così copriva quella santa ferita.
 
           Un suo compagno però mentre un giorno gli faceva un massaggio, lasciò scivolare la mano sulla ferita causandogli un grande dolore.
 
           Un altro frate  che cercava curiosamente di sapere ciò che era nascosto agli altri, disse al Santo: «Vuoi, Padre, che ti sbattiamo la tonaca?». «Ti ricompensi il Signore-- rispose Francesco--perché ne ho proprio bisogno».
 
           Mentre si spogliava, il frate osservando attentamente vide ben chiara la ferita sul costato. Costui è il solo che l'ha vista mentre era vivo; degli altri nessuno se non dopo morte.
 
 
 
 
CAPITOLO CI
 
 
LA VIRTU' DEVE RIMANERE NASCOSTA
 
 
 
 
723      139. In questo modo Francesco aveva rifiutato ogni  gloria che non sapesse di Cristo e aveva inflitto un ripudio radicale al plauso umano. Ben sapeva che il prezzo della fama diminuiva quello segreto della coscienza; e sapeva pure che non è minore perfezione custodire le virtù acquisite che acquistarne delle nuove.
 
           Ahimé! per noi invece la vanità è stimolo maggiore della carità ed il plauso del mondo prevale sull'amore di Cristo. Non distinguiamo gli affetti, non esaminiamo di che spirito siamo. Pensiamo che sia voluto dalla carità ciò che invece è frutto solo di vanagloria. Pertanto se abbiamo fatto anche solo un po' di bene, non siamo in grado di portarne il peso, ce ne liberiamo del tutto durante la vita e così lo perdiamo nel viaggio verso l'ultimo lido. Sopportiamo pazienti di non essere buoni, ma non ci rassegniamo a non sembrarlo né a non essere creduti tali. Così viviamo completamente nella ricerca della stima degli uomini, perché non siamo altro che uomini.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L'UMILTA'
 
 
 
 
CAPITOLO CII
 
 
UMILTA' Dl FRANCESCO NEL CONTEGNO, NEL SENTIRE
 
E NEI SUOI COSTUMI CONTRO L' AMOR PROPRIO
 
 
 
 
724      140. Di tutte le virtù è custode e decoro l'umiltà. Se questa non è messa come fondamento dell'edificio spirituale, quando esso sembra innalzarsi si avvia alla rovina.
 
           Francesco ne era provvisto con particolare abbondanza, affinché non mancasse nulla ad uno già ricco di tanti doni. Nella stima di sé non era altro che un peccatore, mentre in realtà era onore e splendore di ogni santità. Sulla virtù delI'umiltà cercò di edificare se stesso, per gettare un fondamento secondo l'insegnamento di Cristo. Dimentico dei meriti, aveva davanti agli occhi solo i difetti, mentre rifletteva che erano assai più le virtù che gli mancavano di quelle che aveva. Unica sua grande ambizione, diventare migliore in modo da aggiungere nuove virtù, non essendo soddisfatto di quelle già acquisite.
 
           Umile nel contegno, più umile nel sentimento, umilissimo nella propria stima. Da nulla si poteva distinguere che questo principe di Dio aveva la carica di superiore, se non da questa fulgidissima gemma, che cioè era il minimo tra i minori. Questa la virtù, questo  il titolo, questo il distintivo che lo indicava ministro generale. La sua bocca non conosceva alcuna alterigia, i suoi gesti nessuna pompa, i suoi atti nessuna ostentazione.
 
           Pur conoscendo per rivelazione divina la soluzione di molti problemi controversi, quando li esponeva metteva innanzi il parere degli altri. Credeva che il consiglio dei compagni fosse più sicuro ed il loro modo di vedere più saggio E affermava che non ha lasciato tutto per il Signore, chi mantiene il gruzzolo del proprio modo di pensare. Infine, per sé preferiva il biasimo alla lode, perché questa lo spingeva a cadere, la disapprovazione invece lo obbligava ad emendarsi.
 
 
 
 
CAPITOLO CIII
 
 
SUA UMILTA' COL VESCOVO DI TERNI E CON UN CONTADINO
 
 
 
 
725       141. Aveva predicato una volta al popolo di Terni ed il vescovo della città, mentre alla fine della predicazione gli rivolgeva parole di elogio davanti a tutti, si espresse così: «In questa ultima ora Dio ha illuminato la sua Chiesa con questo uomo poverello e di nessun pregio, semplice e senza cultura. Perciò siamo tenuti a lodare sempre il Signore, ben sapendo che non ha fatto così con nessun altro popolo ».
 
           Udite queste parole, il Santo accettò con incredibile piacere che il vescovo lo avesse indicato spregevole con parole tanto chiare, ed entrati in chiesa, si gettò ai suoi piedi, dicendo: «In verità, signor vescovo, mi hai fatto grande onore, perché mentre altri me lo tolgono, tu solo hai lasciato intatto ciò che è mio. Hai separato, voglio dire, il prezioso dal vile, da uomo prudente come sei, dando lode a Dio e a me la mia miseria».
 
 
726      142. Non soltanto con i maggiori di lui si mostrava umile il servo di Dio, ma anche con i pari e gli inferiori, più disposto ad essere ammonito e corretto, che ad ammonire gli altri.
 
           Un giorno, montato su un asinello, perché debole e infermo non poteva andare a piedi, attraversava il campo di un contadino, che stava lavorando. Questi gli corse incontro e gli chiese premuroso se fosse frate Francesco. Avendogli risposto umilmente che era proprio lui quello che cercava: «Guarda --disse il contadino -- di essere tanto buono quanto tutti dicono che tu sia, perché molti hanno fiducia in te. Per questo ti esorto a non comportarti mai diversamente da quanto si spera ».
 
           Francesco, a queste parole, scese dall'asino e, prostratosi, davanti al contadino, più volte gli baciò i piedi umilmente  ringraziandolo che si era degnato di ammonirlo.
 
           In conclusione, aveva raggiunto tanta celebrità da essere ritenuto da moltissimi santo, eppure si riteneva vile davanti a Dio e agli uomini. Non insuperbiva né della fama né della santità, che lo distingueva, ma neppure dei così numerosi e santi frati e figli che gli erano stati dati come inizio della ricompensa per i suoi meriti.
 
 
 
 
CAPITOLO CIV
 
 
IN UN CAPITOLO RINUNCIA AL GOVERNO DELL' ORDINE
 
E SUA PREGHIERA
 
 
 
 
727      143. Per conservare la virtù della santa umiltà, pochi anni dopo la sua conversione, rinunciò in un Capitolo alla presenza di tutti, all'ufficio di governo dell'Ordine: «Da oggi avanti sono morto per voi. Ma ecco fra Pietro di Cattanio,  al quale io e voi tutti dobbiamo obbedire ».
 
           E inchinatosi subito davanti a lui, promise «obbedienza e riverenza». I frati piangevano, prorompendo per il dolore in alti  gemiti, vedendosi come divenuti orfani di tanto padre.
 
           Francesco si alzò, e con le mani giunte e gli occhi elevati al cielo: «O Signore,--pregò--ti raccomando la famiglia, che sino ad ora tu mi hai affidata. Ed ora, non potendo io averne cura per le infermità che tu sai, dolcissimo Signore l'affido ai ministri. Siano tenuti a renderne ragione a te o Signore, nel giorno del giudizio, se qualche frate o per loro negligenza o cattivo esempio oppure anche per una severità eccessiva, sarà perito ».
 
           Da quel momento rimase suddito sino alla morte, comportandosi più umilmente di qualsiasi altro frate.
 
 
 
CAPITOLO CV
 
 
RINUNCIA AI SUOI COMPAGNI
 
 
 
 
728      144. In altra circostanza rinunciò, mettendoli a disposizione del vicario, a tutti i suoi compagni con queste parole: «Non voglio sembrare singolare con questo privilegio di libertà, ma i frati mi accompagnino di luogo in luogo, come il Signore li ispirerà ». E aggiunse: « Ho visto tempo fa un cieco che aveva come guida di viaggio un cagnolino».
 
           Questa era appunto la sua gloria: mettere da parte ogni  apparenza di singolarità e ostentazione, perché abitasse in lui la virtù di Cristo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO CVI
 
 
CONTRO QUELLI CHE AMBISCONO LE CARICHE.
 
DESCRIZIONE DEL FRATE MINORE
 
 
 
 
729      145. Vedeva che alcuni desideravano ardentemente le cariche dell'Ordine, delle quali si rendevano indegni, oltre al resto, anche per la sola ambizione di governare. E diceva che questi non erano frati minori, ma avevano dimenticato la loro vocazione ed erano decaduti dalla gloria. Confutava poi con abbondanza di argomenti alcuni miserabili, che sopportavano a malincuore di essere rimossi dai vari uffici, perché più che l'onere cercavano l'onore.
 
           Un giorno disse al suo compagno: « Non mi sembrerebbe di essere frate minore se non fossi nella disposizione che ti descriverò. Ecco--spiegò--essendo superiore dei frati vado al capitolo, predico, li ammonisco, e alla fine si grida contro di me: --Non è adatto per noi un uomo senza cultura e dappoco. Perciò non vogliamo che tu regni su di noi, perché non sei eloquente, sei semplice ed ignorante.  Alla fine sono scacciato con obbrobrio, vilipeso da tutti. Ti dico: se non ascolterò queste parole conservando lo stesso volto, la stessa letizia di animo, lo stesso proposito di santità, non sono per niente frate minore».
 
           E aggiungeva: « Il superiorato è occasione di caduta, la lode di precipizio. L'umiltà del suddito invece porta alla salvezza dell'anima. Perché allora volgiamo l'animo più ai pericoli che ai vantaggi, quando abbiamo la vita per acquistarci meriti?».
 
 
 
 
CAPITOLO CVII
 
 
VUOLE CHE I FRATI SIANO SOGGETTI AL CLERO
 
E NE SPIEGA IL MOTIVO
 
 
 
 
730      146. Francesco voleva che i suoi figli vivessero in pace con tutti e verso tutti senza eccezione si mostrassero piccoli.
 
           Ma insegnò con le parole e con l'esempio ad essere particolarmente umili coi sacerdoti secolari.
 
           «Noi - ripeteva - siamo stati mandati in aiuto del clero  per la salvezza delle anime, in modo da supplire le loro deficienze. Ognuno riceverà la mercede non secondo l'autorità, ma secondo il lavoro svolto. Sappiate - continuava - che il bene delle anime è graditissimo al Signore, e ciò si può raggiungere meglio se si è in pace che in discordia con il clero.
 
           «Se poi essi ostacolano la salvezza dei popoli, a Dio spetta la vendetta, ed egli darà a ciascuno la paga a suo tempo. Perciò siate sottomessi all'autorità, affinché, per quanto sta in voi, non sorga qualche gelosia. Se sarete figli della pace, guadagnerete al Signore clero e popolo. Questo è più gradito a Dio, che guadagnare solo la gente, con scandalo del clero».
 
           E concludeva: «Coprite i loro falli, supplite i vari difetti, e quando avrete fatto questo, siate più umili ancora ».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO CVIII
 
 
RISPETTO DIMOSTRATO AL VESCOVO DI IMOLA
 
 
 
 
731      147. Essendosi recato a Imola, città della Romagna,  si presentò al vescovo della diocesi per chiedergli il permesso di predicare.
 
           «Basto io--rispose il vescovo--a predicare al mio popolo». Francesco chinò il capo e uscì umilmente. Ma poco dopo, eccolo dentro di nuovo.
 
           «Che vuoi, frate? -- riprese il vescovo --. Cosa domandi ancora?».
 
           «Signore,--rispose Francesco--se un padre scaccia il figlio da una porta, deve necessariamente entrare da una altra ».
 
           Vinto dalla sua umiltà, il vescovo con volto lieto lo abbracciò, esclamando: «D'ora in poi tu e i tuoi frati predicate pure nella mia diocesi, con mio generale permesso, perché la tua santa umiltà lo ha meritato ».
 
 
 
 
CAPITOLO CIX
 
 
IL SUO CONTEGNO UMILE CON SAN DOMENICO E VICEVERSA.
 
IL LORO RECIPROCO AMORE
 
 
 
 
732     148. Si trovarono insieme a Roma, in casa del cardinale d'Ostia che poi fu Sommo Pontefice, le fulgide luci del mondo san Francesco e san Domenico.
 
           Sentendoli parlare fra loro del Signore con tanta dolcezza, alla fine il vescovo disse: « Nella Chiesa primitiva i pastori erano poveri e persone di carità, senza cupidigia. Perché--chiese-- tra i vostri frati quelli che emergono per dottrina e buon esempio, non li facciamo vescovi e prelati?».
 
           Fra i due Santi sorse una gara, non per precedersi nella risposta, ma perché l'uno proponeva all'altro l'onore ed anzi voleva costringerlo a parlare per primo. In realtà si superavano a vicenda nella venerazione che nutrivano reciprocamente.
 
           Alla fine vinse l'umiltà in Francesco, perché non si mise avanti e vinse pure in Domenico, perché ubbidì umilmente e rispose per primo.
 
           Disse dunque Domenico al vescovo: « Signore, i miei frati, se lo capiscono, sono già posti in alto grado, e per quanto sta in me non permetterò che ottengano altra dignità ». Dopo questa breve e convinta risposta, Francesco si inchinò al vescovo e disse a sua volta: « Signore, i miei frati proprio per questo sono stati chiamati Minori, perché  non presumano di diventare maggiori. Il nome stesso insegna loro a rimanere in basso ed a seguire le orme dell'umiltà di Cristo, per essere alla fine innalzati più degli altri al cospetto dei Santi. Se volete--continuò--che portino frutto nella Chiesa di Dio, manteneteli e conservateli nello stato della loro vocazione, e  riportateli in basso anche contro loro volontà. Per questo, Padre, ti prego: affinché non siano tanto più superbi quanto più poveri e non si mostrino arroganti verso gli altri, non permettere in nessun modo che ottengano cariche». Queste furono le risposte dei Santi.
 
 
733      149 Cosa ne dite, voi figli di santi? La gelosia   e l'invidia provano che siete figli degeneri, e non meno l'ambizione degli onori dimostra che siete spuri. Vi mordete e divorate a vicenda. Ma la guerra e le liti non provengono che  dalle passioni. Voi dovete lottare contro le potenze delle tenebre, avete una dura battaglia contro gli eserciti dei demoni, e invece vi combattete a vicenda.
 
            I Padri si guardano con affetto, pieni di saggezza, con la faccia rivolta verso il propiziatorio. I figli invece trovano gravoso anche solo vedersi. Cosa farà il corpo, se ha il cuore diviso? Certamente, l'insegnamento della pietà cristiana porterebbe nel mondo intiero maggior frutto, se un più forte vincolo di carità unisse i ministri della parola di Dio. Perché a dir vero, ciò che diciamo o insegniamo è reso sospetto da questo soprattutto, che in noi segni evidenti rendono palese un certo lievito di odio. So pure che non sono in causa i giusti, che vi sono dall'una e dall'altra parte, ma i malvagi. E a buon diritto crederei che si dovrebbero estirpare perché non corrompano i Santi.
 
            Cosa dovrei poi dire di quelli che hanno grandi aspirazioni? I Padri hanno raggiunto il regno non per la via della grandezza, ma dell'umiltà. I figli invece si aggirano nel cerchio dell'ambizione e non cercano neppure la via della città loro dimora. Ma cosa ne deriva? Se non seguiamo la loro via, non ne conseguiremo neppure la gloria.
 
           Non sia mai, Signore! Fa` che siamo umili sotto le ali di umili maestri, fa' che si vogliano bene quelli che sono consanguinei di spirito, e possa tu vedere i figli dei tuoi figli, la pace in Israele.
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